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I martiri di Casamari che diedero il sangue per l'Eucaristia

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Maggio 1799: sei monaci massacrati tentando di opporsi alla profanazione delle sacre specie da parte di un gruppo di soldati francesi. La fama di martirio crebbe al punto che per tenere a bada la folla si fece ricorso a un rimedio drastico.

Ecclesia 16_05_2024

Il 16 maggio 1799 dopo tre giorni di agonia moriva fra’ Zosimo Maria Brambat, l’ultimo dei sei monaci cistercensi dell’abbazia di Casamari uccisi in odium fidei da un gruppo di soldati francesi che nella notte del 13 maggio avevano seminato morte e profanazione. Suoi compagni di martirio furono il priore padre Simeone Cardon, il maestro dei novizi padre Domenico Zawrel, fra' Albertino Maisonaide, fra' Maturino Pitri e fra' Modesto Burgen. Un milanese (fra’ Zosimo), un boemo (padre Domenico) e quattro francesi.

La soldataglia imbevuta di odio anticristiano proveniva da Napoli, dove la locale “Repubblica” giacobina era prossima a cadere. Durante la ritirata verso nord, parte dei francesi prese la via dell’interno, saccheggiando l’abbazia di Montecassino e seminando il terrore. A Isola Liri ci fu una vera e propria strage con centinaia di vittime del «gallico furore» che non risparmiava nulla, «non gregge, non armento», «non uomo che scappasse da morte; non donna, ancorché fanciulla, risparmiata dalla militare licenza brutale», come scrisse il canonico Giuseppe Nicolucci, spiegando perché il libro dei defunti «registri 500 e più nomi di trapassati nel solo e medesimo giorno 12 maggio 1799» (cit. da padre Federico Farina O.Cist., I martiri di Casamari, oggi “giorno della memoria”, in La Provincia, 13 maggio 2017)

La sera del 13 maggio bussarono alla porta di Casamari, la storica abbazia cistercense sita nel territorio di Veroli. L’abate Romualdo Pirelli si trovava a Palermo dall’anno precedente, per cui a guidare la comunità era il priore padre Simeon Cardon, il quale era giunto a Casamari proprio per sfuggire alla Rivoluzione nella natia Francia, così come altri due confratelli d’Oltralpe: fra’ Albertino Maisonaide e fra’ Modesto Burgen. Ironia della sorte, il Venerdì Santo padre Cardon era stato arrestato anche dagli uomini del brigante Gaetano Mammone perché sospettato di essere filo-giacobino: lo condussero e imprigionarono a Sora, per liberarlo la notte stessa poiché l’accusa era infondata. Al contrario, fra’ Maturino Pitri in Italia era giunto come soldato, ma ammalatosi gravemente e ricoverato a Veroli, si era confessato da padre Cardon: in caso di guarigione sarebbe divenuto monaco e vestì l’abito cistercense per soli quattro mesi, fino al giorno del martirio.

Malgrado le notizie preoccupanti che accompagnavano l’avanzare delle truppe, padre Cardon decise di superare gli indugi iniziali e di restare. Accolsero e diedero da mangiare ai soldati francesi, che “ricambiarono” l’ospitalità monastica accanendosi sulle sacre specie e sugli arredi sacri e poi infierirono a colpi di sciabola e baionetta sui monaci accorsi a impedire la profanazione. In preda al terrore alcuni religiosi ripararono presso i Redentoristi della vicina Scifelli. In un primo tempo anche padre Cardon tentò di sfuggire al «gallico furore» nascondendosi nell’orto, ma poi decise di rientrare e fu circondato dai soldati che lo perquisirono in cerca di denaro. Finirono l’anziano monaco, che invano cercava di difendersi con le braccia.

Il maestro dei novizi, padre Domenico Maria Zawrel, corse a raccogliere le ostie consacrate e tentò di nasconderle nell’infermeria, ma i francesi fecero irruzione anche lì: « vi trovarono alcuni monaci: padre Domenico, fra’ Albertino Maria Maisonade, fra’ Dosideo Maria Coci, che in lacrime pregavano il Signore di perdonare il crudele sacrilegio» (Pierdomenico Volpi, OCist, Les Martyrs de Casamari, in Collectanea Cistercensia, 82, 2020). Sacrilegio che i soldati prontamente reiterarono, quindi «uccisero padre Domenico, che morì pronunciando i nomi di Gesù e di Maria, e fra’ Albertino, mentre fra’ Dosideo fu ferito a un fianco e si finse morto», potendo così mettersi in salvo. «Altri furono uccisi nei corridoi: fra’ Modesto Maria Burgen e fra’ Maturino Maria Pitri, che riuscì a raggiungere la sua cella prima di morire».

Fu il generale Paul Thiébault a trovare padre Cardon ancora agonizzante, come racconta nelle sue Memorie. Pensava infatti di passare la notte a Casamari, dopo che altri avevano «vantato l’ospitalità dei padri», dicendogli che «nessun francese aveva mancato di esservi alloggiato e rifocillato secondo i suoi desideri o necessità» (probabilmente alla tradizionale ospitalità monastica si aggiungeva anche la solidarietà del priore francese verso i connazionali, pur schierati sul fronte opposto). Ma si imbatté in un silenzio tombale e alla luce delle torce scoprì il massacro operato dai soldati che lo avevano preceduto: un altare distrutto, vetri rotti... e un sacerdote ucciso. Poi «un nuovo cadavere che ancora grondava sangue» e «un terzo, caduto sul suo crocifisso». «Infine, sempre guidato dalla scia di sangue» giunse in una cella dove un monaco ancora respirava: «Non temete», lo rassicurò. «Non ho più nulla da temere», rispose il moribondo padre Cardon. Thiébault, che ne rimase scosso e ammirato, raccolse anche le parole di perdono del martire: «Perdono coloro ai quali devo questa notte di espiazione». Fu poi un domestico dell’abbazia, trovato dagli uomini di Thiébault, a raccontare loro che «quattordici soldati, dopo aver cenato nel monastero vi avevano commesso tutti quei crimini». Dopo che il domestico ebbe rifocillato anche loro, il generale volle tornare a visitare l’anziano morente, il quale «prossimo a morire, offrì dei piccoli doni a quanti si trovavano presso di lui e spirò verso le sette del mattino».

L’ultimo fu fra’ Zosimo: pur essendo rimasto gravemente ferito da colpi di archibugio e sciabola sulle scale del refettorio, era ancora vivo e, dopo essersi nascosto per tre giorni, al mattino del 16 provò a trascinarsi verso Boville Ernica per ricevervi l’estrema unzione, ma le forze gli bastarono appena a oltrepassare le mura dell’abbazia, dove morì. Passata la tempesta, i monaci sopravvissuti si radunarono in abbazia per dare sepoltura ai confratelli uccisi. Tutti e sei sono stati elevati agli altari soltanto nel 2021, ma sin dall’inizio sono stati venerati come “martiri dell’Eucaristia” e con tale afflusso di devoti che nel 1854, per ripristinare la quiete monastica, l’abate di Casamari dovette imporre “per obbedienza” ai confratelli martiri di non concedere più grazie (il singolare episodio è citato anche nella Relazione della Postulatrice generale). Tempo qualche anno e, archiviato il divieto, i martiri tornarono a elargire grazie. E lo fanno tuttora, ma sempre in nome dell’obbedienza.



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