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RU486

I manifesti di Pro Vita, censurati da chi è contro la libertà

Strappati e imbrattati dal vandalismo ideologico in diverse città italiane e in almeno tre (Bergamo, Milano, Trento) addirittura rimossi dalle giunte comunali. Nonostante fossero regolarmente autorizzati. I manifesti di Pro Vita contro gli effetti deleteri della Ru486, sia per i bambini che per le donne, confermano le contraddizioni degli abortisti. L’associazione prepara i ricorsi. E si organizzano veglie contro la censura.

Attualità 17_12_2020

La storia si ripete: quelli della “libertà” non amano la libertà, se stride con le proprie idee. Così, anche questa volta i manifesti di Pro Vita & Famiglia hanno fatto emergere tutte le contraddizioni del mondo abortista, che pure gode di una galassia di media e politici sempre pronti ad assecondarne le pretese. Manifesti strappati e imbrattati impunemente in diverse città, e in almeno tre Comuni fatti rimuovere dalle rispettive giunte, nonostante fossero stati tutti regolarmente autorizzati.

Nell’occasione, l’obiettivo della campagna di Pro Vita (che prosegue) è la Ru486, pillola che a causa di una decisione in piena estate del ministro Roberto Speranza è stata liberalizzata fino a nove settimane di gravidanza e in regime di day hospital, dunque senza più ricovero.

Un nuovo pericolo per i bambini e le loro stesse madri, molto spesso non messe al corrente dei drammi psico-fisici aggiuntivi che l’aborto con mifepristone (e, in seconda battuta, prostaglandine) reca con sé, tanto più se senza assistenza e in solitudine. «Prenderesti mai del veleno? Stop alla pillola abortiva RU486: mette a rischio la salute e la vita della donna e uccide il figlio nel grembo», si legge significativamente nei manifesti di Pro Vita.

Immediatamente dopo l’inizio, nella prima settimana di dicembre, della campagna #dallapartedelledonne, i manifesti sono stati oggetto delle ire di gruppi radicali come Non una di meno, di voci come Selvaggia Lucarelli, David Parenzo, Roberto Saviano, seguiti a ruota da alcuni zelanti politici di sinistra. A Milano, dopo le rimostranze delle femministe della Casa delle Donne, si è attivata la consigliera Diana De Marchi e, su suo impulso, l’assessore al Bilancio e al Demanio, Roberto Tasca.

Il risultato? Pressioni, o “moral suasion” per dirla elegantemente, sul concessionario di pubblicità, e il maxi-manifesto di Pro Vita tra via Vigoni e via Mercalli è stato rimosso. Con tanto di giubilo via Facebook della stessa De Marchi, nel giorno dell’Immacolata Concezione. «Ho fatto un’interrogazione in Consiglio a cui l’assessore al Bilancio, dopo avermi detto in modo informale che “si fa così”, deve rispondere in modo formale. Ho chiesto che risponda sui precedenti, e soprattutto sulle procedure seguite per rimuovere il manifesto», ci dice al telefono il consigliere Matteo Forte (Milano Popolare). «Basta che uno conosca l’email dell’assessore e si lamenti con lui per fare rimuovere un manifesto autorizzato? Lo ritengo un precedente pericoloso perché qui si entra in un rapporto tra privati - tra il concessionario e chi ha comprato lo spazio pubblicitario - perciò in forza di cosa ha agito l’amministrazione pubblica?», si chiede Forte.

La censura è avvenuta anche a Trento, per decisione del sindaco Franco Ianeselli, e a Bergamo. Qui - dopo l’azione coordinata di alcuni politici del luogo, Non una di meno e Bergamo Pride - il primo cittadino Giorgio Gori si è interessato personalmente della questione e con un post su Facebook, la mattina dell’11 dicembre, ha comunicato di aver fatto rimuovere i manifesti di Pro Vita con questa motivazione: «Nonostante il farmaco sia sicuro e approvato dall’Aifa, i manifesti miravano a ingenerare allarme per la salute e la vita delle donne che ne facciano uso». Ma sicuro per chi?

Se per il bambino, a cui Gori non fa nemmeno cenno, non c’è solitamente scampo (anche se in extremis, tra la prima e la seconda pillola, si può ancora tentare di invertire il processo di morte), per le madri si hanno effetti collaterali comuni documentati in letteratura quali nausea, vomito, diarrea, vertigini, oltre a possibili infezioni ed emorragie gravi. La morte per la donna, seppur rara in termini assoluti, sopraggiunge con una probabilità di diverse volte maggiore rispetto all’aborto chirurgico, intervento che chiaramente sul piano morale è sempre un delitto. Strano che il sindaco di Bergamo, il quale pure si professa cattolico, non consideri questi elementi e faccia credere che gli allarmi siano ingiustificati.

Secondo il consigliere d’opposizione Filippo Bianchi (Lega), «Gori all’inizio si voleva appellare alla questione del sessismo ma poi si è probabilmente reso conto che non sarebbe stato credibile, non avendo censurato - come in quel caso sarebbe stato giusto fare - i manifesti del Bergamo Sex, che mercificavano le donne, mezze nude, con immagini volgari. E così ha dato la giustificazione ufficiale dell’allarmismo».

A parte l’intervento diretto delle autorità comunali, ci sono stati ordinari episodi di privato vandalismo ideologico. «In altre città i manifesti sono stati strappati o imbrattati», ci conferma Jacopo Coghe, vicepresidente di Pro Vita. «A Genova, le femministe di Non una di meno hanno attaccato degli striscioni propri sui nostri manifesti. A Roma ne sono stati strappati una trentina su duecento, a Palermo sono durati un paio d’ore, li avevamo messi alle fermate degli autobus e li hanno strappati. A Verona hanno imbrattato il camion-vela e poi in altre città ci sono state situazioni simili». Coghe annuncia che saranno presentati ricorsi «contro i Comuni che hanno proceduto alla rimozione, perché riteniamo che lo abbiano fatto al di fuori dei termini di legge. Quando si fa un’affissione, il concessionario manda al Comune una copia della grafica e, se il Comune non obietta nulla in tempo, scatta il silenzio-assenso. Su quale base hanno rimosso i manifesti?».

Intanto, alla luce dell’ennesimo attacco alla possibilità di esprimere un pensiero diverso da quello politically correct, sono state organizzate alcune manifestazioni di protesta. A Bergamo è in programma una veglia delle Sentinelle in Piedi sabato 19 dicembre, a partire dalle 11, in Piazza Vittorio Veneto. L’associazione Ora et labora in difesa della vita ha organizzato una manifestazione a Milano per lunedì 21 (alle 10 del mattino), in Piazza della Scala, anche qui per protestare contro la censura messa in atto dall’amministrazione comunale ai danni del diritto alla vita e della libertà d’espressione.