Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Colombano a cura di Ermes Dovico
IL CASO

I “lanzichenecchi”, figli della rivoluzione di Elkann & Co.

Ascolta la versione audio dell'articolo

Alain Elkann si lamenta su Repubblica per un viaggio in treno insieme a un gruppo di adolescenti sguaiati e licenziosi. Eppure è la rivoluzione dei costumi e la cultura liberal che lui rappresenta ad averli partoriti così.

Editoriali 29_07_2023

Classista. Questo è sicuramente l’epiteto più speso dai media e dai social nei confronti di Alain Elkann a seguito della sua lettera di protesta pubblicata su Repubblica, la cui redazione ha cercato di edulcorare inserendola nella sezione cultura sotto il titoletto Breve racconto d’estate. Una foglia di fico.

Il titolo della lettera dice tutto: Sul treno per Foggia con i giovani “lanzichenecchi”. Elkann sale su un treno Italo per andare da Roma a Foggia. Ovviamente è in prima classe, ma si stupisce di non essere sull’Orient Express descritto da Agatha Christie e così inarca un sopracciglio quando si accorge che accanto al suo sedile è sdraiato un adolescente che veste con «T-shirt bianca con una scritta colorata, pantaloncini corti neri, scarpe da ginnastica di marca Nike, capelli biondi tagliati corti, uno zainetto verde. E l’iPhone con cuffia per ascoltare musica». Il ragazzo è in compagnia con gente di uguale schiatta. Ridono, scherzano, non stanno mai fermi quasi fossero tarantolati, alzano la voce, non parlano ma ruttano parole che hanno attinenza con temi volgari quali il rimorchio delle ragazze e il calcio – nemmeno un accenno, puta caso, all’ilemorfismo aristotelico o alla teoria economica keynesiana – usano un linguaggio colorito, anzi sfociano nel turpiloquio, nel licenzioso, nel vero e proprio trivio.

Il dott. Elkann ne è disgustato. Ogni sua fibra prova ribrezzo di fronte a simil spettacolo. Loro non dovrebbero essere lì, occupare quella carrozza, perché quel vagone è destinato solo ad esemplari umani del suo ceto, quelli che – come da descrizione del suo outfit – indossano un «vestito molto stazzonato di lino blu [lo sgualcito a volte è molto glam] e una camicia leggera», portano «una cartella di cuoio marrone», da cui si possono estrarre solo giornali quali: «il Financial Times del weekend, New York Times e Robinson, il supplemento culturale di Repubblica». La cui lettura è consigliabile sia contrappuntata dalle pagine del «secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust e in particolare il capitolo “Sodoma e Gomorra”», ovviamente in lingua originale. Gli occupanti di quel vagone dovrebbero essere persone distinte, dal profilo internazionale, sobrie, eleganti nel vestire e nei modi, persone aliene il più possibile dalla tecnologia perché ancora inclini ad appuntare le proprie riflessioni su un diario cartaceo, ça va sans dire usando una stilografica, proprio come ebbe la ventura di fare il Nostro.

Il dott. Elkann, arrivato a destinazione, scende dal treno con la netta sensazione di essere stato una presenza ectoplasmatica tra loro. È lui alla fine a sentirsi fuori posto. I lanzichenecchi hanno invaso il suo regno e lui – sdegnato, snobisticamente irritato e schifato da questi paria – abbandona con cavalleresca e simulata indifferenza quel vagone al loro saccheggio.

Un paio di riflessioni. La prima a caldissimo: ma finora il dott. Elkann dove ha vissuto? Non ha mai avuto contatti con i ragazzi di oggi? Risposta: ha dimorato nella torre d’avorio dell’upper class, nell’hortus conclusus della nobilità radical chic di origine levantina, nel lounge club riservato solo agli intellettualoidi progressisti, nell’esclusivo privé che raccoglie selezionati accoliti della carta stampata i quali non vivono la realtà, ma amano disegnarla a tavolino.

Seconda riflessione: preferiamo – e il diritto naturale e il portato culturale cattolico ce ne dà ragione – la giacca di lino alla felpa Nike, la camicia a doppio ritorto alla T-shirt strappata, i gemelli ai bracciali dei vu’ cumprà, la cravatta con nodo alla Windsor alla bandana, Proust a Fortnite (è un videogioco), la stilografica e il diario all’iPad, la cartella di cuoio allo zaino. Purché tutto questo sia segno di ordine, di virilità, di amore per il proprio aspetto e corpo, di bellezza, pallido riflesso di quella celeste. Quando invece giacca e Proust – che, tra l’altro, proprio in Sodoma e Gomorra bolla l’omosessualità come “inversione” – diventano status symbol, ecco allora aleggiare lo spettro della superbia, tremare il baffetto nervoso della vanità, farsi glacialmente affilato lo sguardo del narcisismo e dello sprezzo per il prossimo che viene declassato a plebe.

Terza riflessione, che vorrebbe essere la più rilevante. Elkann rimane piccato e inorridito dai modi di questi giovani (ma forse più seccato di non essere stato riconosciuto). Eppure sono figli suoi. È la cultura che anche lui rappresenta ad averli partoriti così. Sono i princìpi ispiratori di Repubblica, dove egli scrive e di cui è editore di maggioranza il figlio John, che li hanno plasmati in questo modo. Voi liberal non avete sempre sostenuto la bontà dell’essere sé stessi e senza filtri? Ecco allora che i giovani compagni di viaggio di Elkann danno fondo al loro spontaneismo, non mettendo filtri né ad argomenti né alle modalità di esprimersi. Voi progressisti non avete tanto insistito sulla liberazione sessuale? Perché allora rabbrividire se le imberbi leve della rivoluzione ci vogliono provare con le ragazze sulla spiaggia dando sfogo ai loro ardori lombari? Voi amici della libertà perché vi irritate se i giovani, mettendo in pratica i vostri insegnamenti, vestono e parlano come vogliono? Chiedete il rispetto dell’etichetta proprio voi che odiate le etichette (eccetto quelle che voi stessi affibbiate). Seduti su ricercate chesterfield, esigete che le bestie siano trattate come uomini e viceversa e poi vi meravigliate del mondo ferino che una manciata di adolescenti hanno portato dentro un vagone ferroviario.

Il mantra decennale non è stato quello di liberarsi dalle sovrastrutture opprimenti, dalle mode, dagli stereotipi? Elkann ai loro occhi era il precipitato perfetto dell’uomo borghese, il paradigma del grigio ordine costituito da abbattere con l’energia, il colore e il chiasso dei vent’anni. Lui, il vecchio paludato da lasciarsi alle spalle con la sua loquela sofisticata; loro, il nuovo che avanza, informale, liquido, irrequieto, dominato da una dionisiaca fantasia dirompente. Avete voluto la rivoluzione nei costumi e poi su un treno per Foggia siete stati travolti da questa stessa rivoluzione che vi ha lacerato in più punti il vostro bellissimo completo in gabardine. Avete dichiarato guerra all’ordine naturale e ora vi trovate nel bel mezzo del conflitto con gli schizzi di sangue che hanno imbrattato le vostre Church’s. Chi è causa del suo mal, pianga sé stesso.

Ultima riflessione, legata alla precedente. Ma se il dott. Elkann & Co. hanno sempre lottato per tutto questo, perché loro vestono con la giacca di lino e non con la felpa, perché impugnano una stilografica e non una bomboletta spray? La risposta viene da Che Guevara. Ai suoi tempi non era remota la possibilità che Cuba venisse coinvolta in una guerra nucleare. Al Che e kompagni era stato destinato un bunker in caso di attacco. E tutto el pueblo? Che fine avrebbe fatto? Per il futuro del mondo bisognava salvare i rivoluzionari di professione. Che la marmaglia fosse pure annientata. E dunque Elkann sta nel bunker insieme a Proust, e tutti gli altri che si dissolvano pure vestendo Nike e ascoltando Boomdabash.