I grillini sono divisi. E dunque in buona compagnia
Luigi Di Maio è il nuovo candidato premier e capo politico del M5S, come era scontato. Ma il Movimento è ancora diviso sulla sua concentrazione di poteri. Anche nel centrodestra e centrosinistra restano spaccature su leader e legge elettorale.
L’esito era scontato. Luigi Di Maio è il candidato premier del Movimento Cinque Stelle, di cui assume anche il ruolo di capo politico, come da recentissime decisioni di Grillo e Casaleggio. Ha raccolto 30.936 preferenze su un totale di 37.442 votanti. A Rimini, dove oggi si chiude la kermesse “Italia a cinque stelle”, sono stati resi noti i risultati delle primarie online tra gli iscritti pentastellati.
Il vicepresidente della Camera ha stravinto, non avendo peraltro avversari di peso, e su di lui ora si concentrano le due cariche, di candidato alla Presidenza del Consiglio e di responsabile della linea politica del Movimento. E’ un po’ lo stesso modello del Pd, il cui statuto ha sancito anni fa la coincidenza tra la figura del candidato a Palazzo Chigi e quella di segretario, punto assai contestato dalla minoranza dem. E tra i Cinque Stelle i malumori dell’ala ortodossa che fa capo al Presidente della Commissione di vigilanza Rai, Roberto Fico, riguardano proprio questa concentrazione di poteri nelle mani di un unico soggetto, ritenuta eccessiva.
A gettare acqua sul fuoco delle polemiche interne Alessandro Di Battista, trattenuto a Roma dall’imminente nascita del figlio, che ha lanciato al popolo pentastellato riunito a Rimini, un forte appello all’unità e alla compattezza del movimento, definendo in un videomessaggio Luigi Di Maio “un patriota”.
Ma sulla regolarità della consultazione online che ha designato Di Maio candidato premier si allunga l’ombra dell’hacker “Rogue 0”, che è tornato a farsi vivo dopo che già quest’estate aveva violato la piattaforma Rousseau. L’hacker, per screditare il sistema di voto in Rete e dimostrarne la vulnerabilità, ha asserito di aver votato per ben 10 volte e sempre per Di Maio, ma i vertici grillini smentiscono contaminazioni e manomissioni nelle procedure di voto e si dicono convinti che il plebiscito per Di Maio è davvero espressione della volontà della base grillina. Anche su questo fronte si notano delle affinità con il Partito democratico, visto che anche le primarie celebrate in più occasioni da quel partito sono state seguite da code velenose con presunti brogli e molteplici accessi ai seggi da parte delle stesse persone, al fine di votare più volte per il candidato preferito.
L’impressione è che le elezioni regionali siciliane del 5 novembre incideranno sul futuro del Movimento Cinque Stelle, svelandone lo stato di salute. Una vittoria nell’isola proietterebbe i grillini verso un successo nazionale; viceversa, una sconfitta potrebbe spegnere gli entusiasmi e scatenare fin da subito il tiro al bersaglio verso lo stesso Di Maio.
Ma se nel mondo pentastellato l’unità rimane un traguardo ancora tutto da raggiungere, non meno lacerati si presentano i due principali schieramenti. Il centrodestra, che, secondo i sondaggi, sarebbe maggioranza nel Paese se si presentasse con un listone unico, si è riunito ieri ad Atreju, nella prima delle due giornate della tradizionale festa dei giovani di destra, promossa dalla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Li’ alcuni dei principali big del centrodestra, da Matteo Salvini agli azzurri Paolo Romani e Giovanni Toti, da Raffaele Fitto a Stefano Parisi, hanno fatto le prove generali di unità, ma senza superarle, visto che sia sulla leadership che sulla legge elettorale continuano a parlare lingue diverse.
Se sulla leadership tutto rimane in sospeso fino alla pronuncia di Strasburgo circa l’incandidabilità di Silvio Berlusconi a seguito della condanna per l’applicazione della legge Severino, sulla riforma elettorale ultima versione (Rosatellum 2.0) si registrano spaccature perfino all’interno dei singoli partiti del centrodestra. In Forza Italia l’ala nordista appare favorevole perché nei collegi potrebbe stravincere sul centrosinistra, grazie ai voti della Lega, mentre l’ala meridionalista teme la debacle e frena, preferendo l’attuale Consultellum. Pd, centristi alfaniani, socialisti, Lega e la maggioranza di Forza Italia hanno sulla carta margini stretti ma sufficienti per far approvare la nuova legge, tanto da volerne accelerare l’iter, affinchè non interferisca del tutto con la discussione in Parlamento sulla legge di bilancio. Nei progetti dei sostenitori del Rosatellum 2.0. è previsto l’inizio della discussione alla Camera il 4 ottobre e il “si” definitivo al Senato a fine novembre. In caso di naufragio di quell’iter parlamentare, non resterebbe altro da fare se non uniformare i due sistemi di voto attuali di Camera e Senato e andare al voto.
Anche il centrosinistra è spaccato sul Rosatellum 2.0. Mdp fa sapere di essere favorevole al Mattarellum, che incentiva fino in fondo le coalizioni, e si dice perfino disponibile ad allearsi con Renzi qualora quest’ultimo accettasse di fare le primarie. Pierluigi Bersani auspica primarie tra Renzi e Pisapia, ma non vuole sentir parlare di Rosatellum 2.0. né di alleanze tra Pd e Alfano o Verdini. Il timore che Renzi trovi un sistema elettorale per spazzare via la minoranza dem e marginalizzare gli scissionisti è concreto ed è per questo che Bersani conferma la linea dura contro una legge “figlia di un nuovo patto del Nazareno”. Forse anche nel centrosinistra, così come tra i Cinque Stelle, lo spartiacque potrebbe essere il voto siciliano: una sconfitta cocente come quella che si profila per il candidato Pd, Micari potrebbe costringere Renzi a trattare con gli scissionisti, il cui candidato Fava viene accreditato di più del doppio dei voti del Rettore dell’Università di Palermo, scelto da Renzi e Alfano.