I giudici Usa danno il via ai matrimoni gay
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha espresso parere favorevole sui “matrimoni” gay. Più precisamente ha respinto i ricorsi di cinque Stati - Indiana, Oklahoma, Utah, Virginia e Wisconsin – che avevano a lei appellato alcune sentenze di giudici di grado inferiore.
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha espresso parere favorevole sui matrimoni gay. Più precisamente ha respinto i ricorsi di cinque Stati - Indiana, Oklahoma, Utah, Virginia e Wisconsin – che avevano a lei appellato alcune sentenze di giudici di grado inferiore. Questi ultimi avevano annullato il divieto di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso esistente nei loro Stati. I giudici della Corte di appello federale non avevano fatto altro che applicare la decisione della stessa Corte Suprema del giugno del 2013 la quale aveva dichiarato incostituzionale il Defense of Marriage Act, legge federale che prevedeva espressamente che il vincolo coniugale potesse sorgere solo tra un uomo e una donna. Prevedibile quindi la decisione dei giudici della Corte Suprema – che tecnicamente non hanno preso nemmeno in considerazione i ricorsi – dato che appunto già un anno e mezzo fa aveva spalancato le porte alle “nozze” omo.
La decisione interessa non solo i cinque Stati ricorrenti ma anche altri sei che si trovano negli stessi circuiti giudiziari dei giudici della Corte d’Appello le cui sentenze erano state impugnate. Quindi anche in North Carolina, South Carolina, West Virginia, Colorado, Kansas e Wyoming i “matrimoni” tra persone dello stesso sesso potrebbero diventare legali portando così a 30 gli Stati dove le persone omosessuali sarebbero legittimate a convolare a “nozze”, Stati che in quanto a popolazione rappresentano il 60% dei cittadini americani. Il provvedimento di non ricezione dei ricorsi sarebbe poi in grado anche di influenzare le sentenze di alcuni casi pendenti in altri nove Stati. Insomma l’effetto domino è iniziato e forse si concluderà presto. Infatti, a molti osservatori pare arrivato il momento non di procedere alla legalizzazione delle unioni gay stato per stato, ma di arrivare ad un’unica legge vincolante per tutta la nazione. Se la Corte Suprema, la cui competenza abbraccia tutti gli States, ha espresso parere favorevole su questa materia, non si vede perché – così argomentano molti – temporeggiare ancora per avere una normativa unitaria che legittimi le “nozze” gay e che spazzi via le resistenze degli stati più conservatori.
Chad Griffin, presidente dell’Human Rights Campaign, la più grande organizzazione Usa per la tutela delle rivendicazioni dei gay, ha infatti affermato: «É insostenibile questa situazione a mosaico di carattere discriminatorio che la Corte Suprema ha fatto perdurare fino ad oggi. L’unica soluzione accettabile è avere il matrimonio per tutti in tutta la nazione». Griffin quindi in un certo qual modo tira le orecchie alla stessa Corte Suprema la quale avrebbe da tempo potuto fare di più, ma non lo ha fatto. I giudici dell’alta corte sono comunque potuti arrivare a simili determinazioni assai gay friendly perché forti dell’appoggio del presidente Obama, sempre presente nei momenti topici della comunità gay. Pensiamo, per rimanere ai tempi recenti, ai Gay Games di agosto dove l’inquilino della Casa Bianca ha dato il via ai giochi (clicca qui) oppure alla serata di gala organizzata da gruppi di attivisti Lgbt del 16 giugno scorso in occasione del Comitato Nazionale Democratico svoltosi a New York in cui dichiarò di fronte ad una sala gremita e a favore di molti portafogli: «Ho dato istruzioni al mio staff affinché prepari un decreto esecutivo rivolto ai privati che fanno affari con il governo, decreto che vieta la discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere. Perché negli Stati Uniti d'America chi siete e chi ami non dovrebbero essere considerati un reato» (clicca qui e qui)
Il decreto è in itinere e se passerà quelle aziende di ispirazione religiosa che hanno relazioni commerciali con il governo potranno passare seri guai giudiziari se non si allineeranno alle direttive delle lobby gay. Obama poi si è segnalato per la guerra diplomatica che sta facendo all’Uganda, rea di aver emanato una legge contro l’omosessualità, vincolando gli spostamenti dei dignitari ugandesi sul suolo americano e tagliando i fondi per la lotta all’HIV in quel paese.
La vicenda Usa che ha interessato la Corte Suprema non è un episodio isolato ma è invece paradigmatica di una strategia gender mondiale che si muove su due fronti. Da una parte abbiamo la richiesta ai governi di aprire alle “nozze” gay. L’Italia non è immune da questo pericolo perché in Parlamento c’è all’esame un testo di legge che vuole legittimare il para-matrimonio gay. L’altro fronte è dato dalle leggi sulla cosiddetta omofobia. Il primo corno del problema mira in buona sostanza ad ottenere pieni diritti agli omosessuali. Il secondo persegue invece lo scopo di tacitare gli avversari a suon di manette sventolate sotto gli occhi. La doppia strategia molto probabilmente convergerà nella meta finale: considerare i gay come l’unica categoria di persone che hanno diritto di cittadinanze nella società. Gli altri via nei gulag. Una storia già nota.