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LA "PIAZZA" ARABA

I Fratelli Musulmani: via Mubarak in una settimana

Egitto per aria, Giordania inquieta, Marocco in piazza. E al Qaeda tace. Troppo. - I cinque volti dell'islam e il futuro dell'Egitto, di M. Introvigne

Attualità 09_02_2011
Fretelli Musulmani

 

In Egitto gli scontri fra manifestanti e forze governative non si placano. È di almeno otto feriti il bilancio degli scontri avvenuti nella città di al-Wadi al-Jadid, nel sudovest del Paese, che sono iniziati la scorsa notte per poi proseguire fino all’alba.

Alla terza settimana di manifestazioni, la “piazza” resta ancora fortemente inquieta. Del resto le proteste, dicono apertamente da qualche giorno i manifestanti, non cessarono fino alle complete dimissioni del raís. La soluzione a metà adottata da Hosni Muabarak, che in un primo momento sembrava avere almeno parzialmente accontentato gli oppositori, viene infatti oggi apertamente rigettata. I manifestanti chiedono l’immediata uscita di scena di Mubarak e non solo l’attuale congelamento sostanziale della situazione attraverso l’affidamento del governo al numero due del regime, Omar Suleiman, e ciò fino alle prossime elezioni, alle quali né Mubarak né i suoi figli dicono di volersi candidare. Mubarak ha intanto incaricato Suleiman di formare una commissione con «il compito di emendare la Costituzione». Attualmente la legge concentra i poteri nelle mani del presidente e la revisione nel 2007, che imponeva restrizioni notevoli per le candidature alle elezioni presidenziali, viene da sempre giudicata una mossa atta a favorire solo la rielezione dello stesso Mubarak o quella del figlio, Gamal. Ma, appunto, le opposizioni non sono paghe.

Dal canto proprio, quello che molti giudicano il “grande assente” della scena (viste le consuetudini delle crisi internazionali), cioè gli Stati Uniti, ammettono che celebrare elezioni subito, come comporterebbero le dimissioni immediate di Mubarak chieste dai manifestanti, è «un obiettivo complicato». Lo ha affermato il portavoce dei Dipartimento di Stato, Philip Crowley. In base alla costituzione egiziana, le dimissioni del governo innescherebbero le elezioni entro 60 giorni, ma nessuno sul territorio sembra essere pronto. O forse solo i soliti noti, cioè i Fratelli Musulmani, l’unica realtà dell’opposizione strutturata ed efficace, come dicono indistintamente da tempo tutti gli osservatori. Strutturata ed efficace, ma anche temuta. L’incognita sul peso che la Fratellanza avrà nell’Egitto post-Mubarak è legata alle inquietudini, poco celate e comunque emergenti anche tra i commentatori più possibilisti e “aperturisti”, sul ruolo che l’islamismo politico assumerà per suo tramite nei complessi scenari mediorientali, fra aspirazione alla democrazia, crisi sociale, “modello iraniano” e spinte jihadiste.

Soprattutto perché dal circondario c’è chi non perde occasione per gettare benzina sul fuoco. Per esempio Hassan Nasrallah, leader dello sciita e filoiraniano Hezbollah, il “Partito di Dio” libanese, che ha accusato Mubarak di essere un “servo” d’Israele e Stati Uniti. Quindi l’ayatollah Ali Khamenei, Guida Suprema del regime iraniano e “maestro” di Hezbollah, che da giorni auspica la creazione nella regione - Egitto, cioè, e non solo - di governi islamici. Ad ascoltare il ministro degli Esteri egiziano, Husam Zaki, intervistato dal quotidiano saudita al-Watan, Nasrallak e Khamenei vorrebbero in questo modo «incendiare l’intera regione», forzando mano e intenzioni delle diverse “piazze” arabe per cercarne il salto di qualità a dimensione panislamista. Dal Marocco alla Gordania, l’intera regione nordafricana e mediorientale continua del resto a essere in rivolta aperta contro i propri governi o comunque pervasa da profondi e ancora indecifrabili malumori.

Ieri i Fratelli Musulmani, per bocca del loro esponente Essam al-Aryan, hanno concesso ancora una settimana di tempo, l’ultima, a Mubarak. A chi gli rinfaccia che intanto però la Fratellanza sta trattando con il regime, Al-Aryan replica: «I vietcong negoziavano a Parigi, mentre combattevano in Vietnam». Cosa accadrà allo scadere dell’ultimatum? Oltre le intemerate di Hezbollah, le intenzioni del regime iraniano e le mosse dei Fratelli Musulmani, ciò che allarma di più sembra infatti essere al Qaeda. Silenziosa. Troppo. Nota acutamente Guido Olimpio sul Corriere della Sera di oggi che probabilmente Osama bin Laden e Ayman al Zawahiri (egiziano, esiliato da Mubarak) «vogliono capire come andrà a finire. Cercano le parole giuste, magari le troveranno presto».

Decisivo, forse, sarà quanto succederà nel resto del Medioriente e del Nordafrica.
Ad Amman ora è nel mirino delle proteste antigovernative la regina Rania, accusata d’insensibilità e di corruzione. Solo pochi giorni fa il sovrano Abdallah II, che regna dal 1999 un Paese di 6 milioni circa di abitanti più della metà dei quali di origine palestinese e il 40% di origini tribali e beduine, è stato costretto a sostituire il primo ministro Samir Rifai con Maarouf Bakhit promettendo riforme.

Dopo vari casi di suicidi con il fuoco, e dopo la rivolta nel campo saharawi di Layooune di novembre, anche il Marocco potrebbe finire per scoppiare. Il 20 febbraio si svolgerà la prima grande manifestazione di piazza, indetta via Facebook  dal "Movimento liberale per la democrazia" per «la dignità del popolo e per le riforme democratiche». Alla loro iniziativa si è subito aggiunta quella del movimento islamista “Justice et bienfaisance”, formalmente fuorilegge, ma di fatto tollerato dalle autorità. Chiede il «cambiamento fondamentale democratico urgente». Il movimento - distinto dal partito islamico "Giustizia e Sviluppo" (braccio marocchino dei Fratelli Musulmani), che è presente in Parlamento - potrebbe contare 200mila aderenti. Lo guida l’83enne Abdessalamn Yassine.