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I "detti non scritti" del cardinale Giacomo Biffi

A dieci anni dalla morte del cardinale, un volume raccoglie un centinaio di aneddoti del cardinale, le cui battute capaci di unire profondità e leggerezza ne rivelano spirito d’ironia e senso dell’umorismo radicati in Cristo.

Ecclesia 11_07_2025

«L’umorismo è arte rara, e deve saper comporre, in una sola attitudine dello spirito, distacco e partecipazione, oggettivazione e coinvolgimento, trascendenza e immanenza; cosa che riesce bene solo a Dio». Umorismo e senso dell’ironia sono la chiave per comprendere detti e aneddoti del compianto cardinale e arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi. Ne ha raccolti un centinaio una persona che ha vissuto a lungo e collaborato a stretto contatto con lui nel volume Detti non scritti (ESD 2025, pp. 144), ma “scritti perché detti”, come recita il sottotitolo.

Un aneddoto racconta con ironia l’amore del cardinale per la Chiesa: «Mario, un giovane parrocchiano, per tutta la sera parlò male della Chiesa, criticandola su tutti i fronti. Al termine della seduta, il prevosto Biffi si rivolge a Mario: “Sono venuto a sapere che ti sei fidanzato con l’Anna. Certo è proprio brutta, capelli crespi, viso asimmetrico, naso storto e sproporzionato, ciglia cispose”. Mario, stupito ed esterrefatto, interrompe Biffi e gli dice: “Ma cosa sta dicendo signor prevosto: cispose? È solamente bella la mia Anna [ed era proprio vero], è bellissima”. Riprende il prevosto Biffi: “Vedi, tu hai parlato male – falsamente – tutta la sera della Sposa di Cristo. Non posso io ora parlar male, falsamente, della tua Anna?”».

Il cardinal Biffi manifesta un’ironia che ha nella fede in Cristo il suo fondamento - come rileva padre Giorgio Carbone nella prefazione al volume - in virtù della quale egli gode di una libertà intellettuale, talvolta dissacrante e spregiudicata, che gli consente di mettere in discussione luoghi comuni e slogan e di giudicare con schiettezza e senza finzioni qualsiasi cosa. 

Ai sacerdoti e vescovi pronti a fare obiezione rispetto alle spese militari, Biffi afferma con chiarezza che «se invece avessero dichiarato di far obiezione fiscale alle spese sanitarie per l’aborto, che è la pena di morte inflitta a un innocente e indifeso da parte della madre, avrebbero avuto ben diversa accoglienza nel mondo dei media e nella diffusa cultura radicale di sinistra». 

Appena nominato vescovo di Bologna nel 1984, un giornalista gli chiede: «“Quale sarà il suo piano pastorale verso i cattolici non‑praticanti?”. “La mia priorità pastorale saranno i praticanti non‑cattolici”: rispose a bruciapelo monsignor Biffi. D’altra parte egli amava ripetere e parafrasare Charles Journet: i confini della Chiesa passano attraverso i nostri cuori e ci sono in noi interi continenti nei quali non abbiamo voluto che sia piantata la Croce di Cristo». Con una sagace battuta liquida le false speculazioni dei teologi, lodando quanti si premurano per un’autentica intelligenza della fede: «I teologi sono come i funghi o i serpenti. Alcuni come i serpenti sono innocui e altri velenosi. Alcuni come i funghi sono letali e altri ottimi al palato». 

A un vescovo che auspica una società multireligiosa, Biffi replica con la schiettezza che lo contraddistingue: «Significa che ha letto male o non ha per nulla capito cosa intenda Gesù risorto, quando dice: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra (Mt 28,18). Il programma di Cristo è chiarissimo: Un solo gregge sotto un solo pastore (Gv 10,16). Gesù Cristo desidera che tutti gli uomini divengano cristiani».

Rispetto alle derive pauperistiche che intaccano anche l’architettura sacra, egli afferma: «In nome della Chiesa povera e per i poveri, in questi ultimi sessant’anni hanno costruito edifici sacri di cemento armato, che si fatica a chiamare chiese. La definizione più adeguata sarebbe: spazi coperti per celebrazioni rituali. Artisticamente orribili con una gran quantità di vetrate, che non aiutano al raccoglimento, bensì a sbirciare quel che succede fuori. Con tali materiali si registra un freddo polare d’inverno e un caldo infernale d’estate, con spese stratosferiche di riscaldamento, e dove c’è, spese di corrente altrettanto alte, per l’aria condizionata».

E ancora sulla degenerazione della musica sacra, riguardo a un noto Alleluia, osserva che «alcuni testi sono proprio sbagliati. “La nostra festa non deve finire, non deve finire e non finirà”. E fin qui è di una banalità disarmante. Ma il resto è peggio: “Perché la festa siamo noi che camminiamo verso Te”. No! La nostra festa è Cristo che con l’incarnazione è venuto fino a noi e con la sua passione, morte e risurrezione ci ha salvati. Perché noi eravamo incapaci di salvarci da soli. Qui come in molta parte delle liturgie odierne si è sostituito al Cristo l’uomo: sono liturgie antropocentriche, anziché cristocentriche. Siamo noi che celebriamo noi stessi. Noi la festa di noi stessi. La comunità che festeggia il ritrovarsi. Cristo può diventare marginale e opzionale».

Nel predicare sui novissimi, egli sgombera il campo da false credenze con una battuta di spirito: “L’inferno c’è sicuramente perché è dogma della Chiesa cattolica. Se è vuoto, non lo so. Guarda però di non essere tu quello che lo inaugura!».

«“Chiedo scusa per il disturbo che reco con la mia morte”: così il cardinal Giacomo Biffi chiude il suo testamento olografo», senza smarrire il senso dell’ironia anche dopo che, a causa di problemi vascolari, devono amputargli una gamba. Eppure chi l’ha incontrato racconta che «nonostante questo, era di una serenità impressionante» e consapevole, leggendo in particolare i teologi russi, che tutto è integralmente e simultaneamente presente allo sguardo di misericordia di Dio».