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ANNIVERSARIO

I crimini della Cina, la cecità dell'Occidente

Oltre 500 milioni di morti solo in Cina: questo è il vero bilancio di cento anni di storia del Partito Comunista Cinese. Il presidente Xi Jinping rivendica con orgoglio questa storia. E in Occidente, invece di chiedere un processo per crimini contro l'umanità, si prende la Cina come "modello".

Editoriali 03_07_2021

Non c’è dubbio che le parole del presidente Xi Jinping nel discorso per celebrare i cento anni del Partito Comunista Cinese - il 1° luglio in una piazza Tienanmen gremita e osannante – siano state dure. «Non accetteremo predicazioni ipocrite da parte di coloro che sentono di avere il diritto di darci lezioni – ha detto Xi, che per l’occasione vestiva una divisa simil-maoista -, chiunque tenti di fare il bullo con noi si troverà in rotta di collisione con una grande muraglia d’acciaio forgiata da oltre 1.4 miliardi di cinesi».

Pur facendo la tara per l’ovvia retorica della celebrazione, certamente le parole di Xi riflettono un progetto politico e militare di egemonia nella regione e nel mondo e la presunzione di trattare con gli avversari da una posizione di forza. Esemplare da questo punto di vista il passaggio dedicato a Taiwan, particolarmente duro nel sostenere che sarà annientato «qualsiasi tentativo di indipendenza» dell’isola dove nel 1949 trovò rifugio e costituì un governo alternativo l’esercito nazionalista in rotta di Chiang Kai-shek. Previsto anche l’uso della forza per riannettere l’isola ribelle, cosa che oggi non è più solo una minaccia politica visto che la Cina ha in questi decenni costruito una flotta militare di tutto rispetto.

Ma a dover preoccupare, ancor più dell’aggressività della Cina deve essere la debolezza di Europa e Stati Uniti che, anche quando riconoscono la minaccia che essa rappresenta, hanno sempre un certo timore reverenziale quando non una vera e propria ammirazione. Non parliamo tanto di casi come quello di Beppe Grillo e dei 5Stelle che, per quanto pericolosi al governo, sono dei fenomeni da baraccone. Parliamo invece delle élites che guidano l’Occidente e che vedono con molta simpatia il centralismo del regime comunista e addirittura considerano un modello il socialismo cinese che coniuga una certa libertà economica con un rigido controllo sociale e politico.

Non è un segreto che in Occidente si faccia il tifo per la stabilità dell’attuale regime cinese, perché fa molta più paura l’implosione di un sistema politico e sociale dalle conseguenze totalmente imprevedibili, ma certamente pericolose per tutto il mondo. La Cina è un vero e proprio continente e conta da solo per circa il 20% della popolazione mondiale, senza considerare che è anche una potenza nucleare e condiziona l’economia mondiale: le conseguenze militari ed economiche di una sua improvvisa disgregazione sarebbero enormi. Ma negli ultimi decenni a questa considerazione si è aggiunto anche uno spirito di emulazione perché la democrazia viene sempre più vista come uno scomodo impaccio per raggiungere certi obiettivi politici o ideologici. La deriva totalitaria a cui stiamo assistendo in Occidente non è casuale.

Come ben sappiamo dal fascino che esercita la Cina comunista non è esente l’attuale diplomazia vaticana, ingenua se non irresponsabile nel pensare che davvero la dirigenza comunista possa firmare un accordo sulla nomina dei vescovi cattolici riconoscendo pari dignità alla Santa Sede. Così i cattolici se la passano sempre peggio mentre ci sono autorevoli vescovi che vanno in giro impuniti ad affermare che la Cina «è il paese che meglio applica la Dottrina sociale della Chiesa».

Questo miscuglio di paura, ideologia, ammirazione impedisce così di approfittare di questo centenario per fare un bilancio reale e confrontarsi seriamente con questa leadership. Il punto di partenza ineliminabile è che, come ha scritto l’analista Steven Mosher, il Partito Comunista Cinese è «la più grande macchina di morte della storia umana». Si comincia con i milioni di morti della guerra civile cinese (1927-1949); poi si prosegue con le purghe finalizzate ad eliminare ogni opposizione interna e neutralizzare le varie minoranze etniche, una politica che dura tuttora: tra cinesi, tibetani, mongoli, uiguri, Mosher stima circa 80 milioni di morti (senza contare gli internati nei campi di rieducazione); ovviamente non si deve dimenticare che vittime della repressione sono anche le religioni – cristiani, musulmani, buddhisti, taoisti ma anche Falun Gong e Chiesa di Dio onnipotente -; a questo si deve aggiungere  il folle piano economico noto come “Grande Balzo in Avanti” che tra il 1958 e il 1962 provocò la morte per fame di decine di milioni di persone (dai 30 ai 45, a seconda delle stime); bisogna ricordare anche i disastri provocati dalla Rivoluzione Culturale (1968-1978) che alle perdite umane ha aggiunto la distruzione della cultura.

Ma il crimine più grande di tutti è stata la “politica del figlio unico”, varata nel 1979 e solo in anni recenti, davanti ai risultati sociali catastrofici provocati, è stata revocata. La ferocia con cui è stata applicata - compresi gli aborti forzati al nono mese e bambini nati vivi uccisi - per stessa ammissione del governo (che se ne vanta) ha provocato 400 milioni di morti (ha evitato 400 milioni di nascite, secondo il linguaggio ufficiale). Stiamo parlando quindi di un Partito Comunista, e quindi di un governo, che è direttamente responsabile di ben oltre 500 milioni di morti, cosa che al confronto il nazismo tedesco e la Russia sovietica impallidiscono.
E come non bastasse questo stesso regime è responsabile anche della diffusione del coronavirus che tanto sta spaventando il mondo.

Ebbene, Xi Jinping il 1° luglio ha rivendicato con orgoglio la storia gloriosa di questi cento anni. Invece di chiedere un processo a Xi e a tutta la dirigenza del Partito Comunista per crimini contro l’umanità, siamo qui a raccontare ammirati la «moderata prosperità» raggiunta dal popolo cinese. È questa cecità dell’Occidente, spacciata per realismo politico, a fare davvero paura.