PRISMA
I Balcani e l'assenza dell'Italia
"... Nel resto d’Europa come altrove le cose vanno avanti senza di noi ...
Prisma
27_11_2010
"... Nel resto d’Europa come altrove le cose vanno avanti senza di noi anche quando ci riguardano da vicino. E’ questo il caso innanzitutto dell’approssimarsi dell’ingresso nell’Unione Europea della Serbia, e più in generale dell’Europa sud-orientale, insomma dei Balcani. Si tratta di una questione di primaria importanza per l’Italia. Insieme a quella danubiana l’Europa balcanica è chiamata dalla geografia e dalla storia ad essere per noi quanto la Polonia e i Paesi baltici già sono per la Germania
Se però andiamo a vedere che cosa dopo la caduta del muro di Berlino la Germania fece per stabilizzare e poi far entrare nell’Unione Europa Polonia e Paesi Baltici (gestendo nel frattempo l’assorbimento della Repubblica Democratica Tedesca e garantendo la fine pacifica e incruenta della Cecoslovacchia), e che cosa non facemmo noi riguardo ai Balcani, c’è da restare senza fiato. E i risultati si vedono: la Germania è riunificata, Polonia e Paesi Baltici sono ormai una parte consolidata dell’Unione Europea, la Cecoslovacchia è svanita senza spargimento di sangue lasciando il posto a due Stati che dentro l’Unione Europea completano una mezzaluna di economie gravitanti sulla Germania che si estende dal Baltico alla valle del Danubio.
Nel Sudest europeo invece la Jugoslavia si è disfatta in modo disastroso; la questione del Kosovo resta ancora aperta; per quattro Stati (Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Montenegro e Albania) l’Unione Europea non è ancora nemmeno all’orizzonte; la Croazia e la Serbia si avvicinano all’ingresso nell’Unione in modo scoordinato e qua e là antagonistico, sicuro seme di future frizioni. Non soltanto dunque abbiamo sprecato i quasi vent’anni sin qui trascorsi dalla caduta del muro di Berlino, che invece la Germania ha saputo spendere benissimo, ma nemmeno adesso diamo l’impressione di voler finalmente cambiare strada. Pur essendo, non foss’altro che per motivi di prossimità, l’unico grande Paese europeo in grado di farlo, a suo tempo non sapemmo ma prima ancora non volemmo orientare verso sviluppi non violenti il processo di disgregazione della Jugoslavia. Perciò, osservo qui per inciso, siamo moralmente corresponsabili delle lacrime e del sangue della guerra civile che ne conseguì.
E come se non bastasse continuiamo anche adesso a non avere un adeguato progetto organico di politica estera verso questa parte dell’Est europeo che sta alle nostre porte e della quale potremmo con comune vantaggio costituire il primario motore di sviluppo. Nell’immediato occorre vegliare attivamente sul processo di avvicinamento all’Unione della Serbia e della Croazia in modo che avvenga senza frizioni malgrado i reciproci rancori, eredità di una guerra recente e feroce. E altrettanto attivamente occorre vegliare sull’equa stabilizzazione e sul rafforzamento della Bosnia-Erzegovina che altrimenti diventerà il campo del loro indiretto scontro.
Poi c’è la questione del Kosovo senza dimenticare il preoccupante atteggiamento della Grecia nei riguardi della Macedonia. E’ certamente una situazione complessa, ma proprio per questo irrisolvibile con mezzi soltanto diplomatici. Il groviglio non si scioglie se non si è in grado di offrire anche e innanzitutto un programma di sviluppo generale concordato: una prospettiva credibile soltanto nella misura in cui prossimità geografica e legami storici s’intrecciano con una moderna capacità operativa. Qualcosa che nel caso specifico ha soltanto l’Italia. Chiaro, dobbiamo farlo a nome non solo nostro ma anche dell’intera Unione Europea, ma non possono farlo al nostro posto, nemmeno se lo volessero (ma comunque non lo vogliono), delle équipes di alti euro-burocrati provenienti dal Nord Europa, latori di programmi di assistenza ma non di sviluppo.