I 5 Stelle gettano la maschera e scelgono le poltrone
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Da forza antisistema a forza di governo con chiunque, la fine della favola grillina era già scritta. Modificato il codice etico e svuotato il vincolo dei due mandati, il Movimento è ora un partito identico a quelli che diceva di voler rottamare, ma con più giravolte.

Il Movimento 5 Stelle è nato con il fuoco sacro dell’antipolitica, con l’ossessione manichea della “diversità” rispetto agli altri partiti, con il mito purificatore della “gente comune” che si fa Stato e caccia i professionisti della politica dal tempio delle istituzioni. Per anni hanno usato parole d’ordine come “uno vale uno”, “mandato zero”, “via i corrotti”, “via i poltronari”, “nessuno può fare carriera politica”, “dopo due mandati si torna a casa”, brandendo questi dogmi come clava morale contro chiunque avesse osato trasformare la politica in una professione.
Ma oggi, dopo anni di retorica integralista, si assiste a uno spettacolo sconcertante: la trasformazione genetica dei 5 Stelle è compiuta. Il partito di Conte, con una modifica chirurgica e spudorata al proprio codice etico, ha spalancato le porte al “poltronismo di ritorno”, consentendo a oltre 200 ex parlamentari esclusi dalla politica attiva per via del famigerato vincolo dei due mandati di potersi ricandidare alle prossime elezioni politiche. È l’ennesima giravolta, l’ennesima smentita in diretta dei proclami che per anni hanno innalzato come totem. Da Roberto Fico ad Alfonso Bonafede, da Vito Crimi a Paola Taverna: tutti nomi che per il Movimento rappresentavano la purezza originaria, la lotta alla casta, e che oggi sono pronti a rientrare in gioco. Ha prevalso la crisi d’astinenza.
Dopo aver passato anni a spiegare che la politica non deve essere un mestiere, oggi accettano con disinvoltura che la politica possa essere tranquillamente una carriera a tempo indeterminato, esattamente come negli odiati partiti tradizionali. Anzi, in certi casi, peggio. Perché almeno nei partiti tradizionali l’ipocrisia è minore, la coerenza non è mai stata una pretesa morale assoluta. Invece i 5 Stelle hanno fatto della diversità una religione, e ora si rimangiano tutto, sputando sul proprio stesso vangelo.
Il vincolo dei due mandati, che era considerato intoccabile, una sorta di muraglia etica invalicabile, è stato svuotato con una manovra da azzeccagarbugli: basta che il terzo mandato non sia consecutivo rispetto ai due precedenti e magicamente si può tornare a candidarsi. Non solo in Parlamento, ma anche in Regione, al Comune, ovunque ci sia un’istituzione da occupare. E per non farsi mancare nulla, è stata prevista persino la possibilità di concedere deroghe: fino al 5% dei candidati potranno godere dell’eccezione, per decisione del capo politico, cioè Giuseppe Conte. Il quale, come leader assoluto del Movimento, ne sta riscrivendo le regole con il cinismo di un consumato politico di professione.
Siamo di fronte a una restaurazione silenziosa, a un ritorno all’antico, mascherato da modernità. I 5 Stelle hanno finalmente accettato quello che hanno sempre negato: che fare politica richiede esperienza, continuità, radicamento, che governare un paese non è un passatempo da cittadini indignati. Eppure, non hanno il coraggio di dirlo apertamente. Si nascondono dietro formule ambigue, decisioni di comitati, modifiche di codici etici votati da organismi interni, per fare quello che prima avrebbero bollato come tradimento. La base, un tempo sovrana, oggi è spettatrice passiva. E chi gioisce? Proprio quelli che un tempo erano stati messi in panchina, come Buffagni, Crimi, Taverna, Bonafede, Di Stefano, Fico, i quali ora fiutano il ritorno alla ribalta.
Hanno aspettato nell’ombra, mantenendo in alcuni casi posizioni di sottogoverno o di segreteria, sperando nel colpo di spugna, e ora si preparano a risalire sul carro del Movimento, diventato a tutti gli effetti un partito come gli altri. Anzi, peggio degli altri, perché tradisce i propri stessi principi. La morale è chiara: quando si tratta di potere, di incarichi, di visibilità, la coerenza è un lusso che nessuno può permettersi. Neanche i grillini. E allora ecco che la rivoluzione promessa diventa restaurazione, che l’onestà sbandierata si piega alla convenienza, che la militanza civica si trasforma in carriera politica. Il sogno della diversità si è infranto contro la realtà del potere.
Del resto, era già tutto scritto: bastava guardare alla metamorfosi progressiva del Movimento, passato in pochi anni da forza antisistema a forza di sistema, da opposizione intransigente a governo con tutti: con Salvini, con il Pd, con Draghi, con chiunque offrisse un ministero, un posto, una poltrona. Il codice etico è solo l’ultimo tassello di un processo che ha distrutto le fondamenta originarie del Movimento. Oggi i 5 Stelle non sono più né movimento né stelle: sono un partito come un altro, che ha deciso di adeguarsi alle regole non scritte della politica italiana, dove nessuno si accontenta mai di due mandati, dove si vive di politica e grazie alla politica, dove l’etica si piega alle esigenze del momento.
La favola è finita, e chi credeva nella rivoluzione grillina ora si ritrova con un partito identico a quelli che Beppe Grillo e i suoi accoliti dicevano di voler rottamare. Nessuna differenza, nessuna purezza, nessuna coerenza. Solo una grande, gigantesca, inesorabile voglia di restare dove conta: nelle stanze del potere.
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