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A 70 ANNI DALL’ENCICLICA

Humani Generis, l’errore va combattuto

Il 12 agosto 1950 Pio XII promulgava l’Humani Generis, un’enciclica “circa alcune false opinioni che minacciano di sovvertire i fondamenti della dottrina cattolica”. Si tratta di un documento di grande attualità, che dà le coordinate per un retto rapporto tra fede e ragione, e indica il compito di filosofi e teologi cattolici di fronte al pensiero moderno

Ecclesia 12_08_2020

Per un errato concetto di misericordia, negli ultimi tempi sembra che la parola “tolleranza” voglia dire che tutto è permesso. “Vietato vietare”, dicevano gli agitatori del Sessantotto. Ecco che allora ci fa molto pensare un documento promulgato esattamente settant’anni fa dal grande Pio XII: Humani Generis (12 agosto 1950), “circa alcune false opinioni che minacciano di sovvertire i fondamenti della dottrina cattolica”.

Questa enciclica, emanata durante un Anno Santo, può essere considerata uno dei grandi documenti di questo Pontefice, che ci ha lasciato un tesoro magisteriale veramente imponente. Pensiamo alla Mediator Dei per quel che riguarda la liturgia.

Nell’introduzione dell’Humani Generis, Pio XII spiega che la ragione umana può arrivare razionalmente a concepire l’esistenza di Dio, ma avverte che errori di tutti i tipi possono insinuarsi negli animi dei fedeli. Nonostante la grazia di Dio sia sempre all’opera, siamo sempre vittime del peccato originale. Papa Pacelli affronta da subito le questioni importanti che minacciano la dottrina cattolica, quali l’evoluzionismo, il comunismo, l’esistenzialismo, lo storicismo, e via dicendo.

Un’affermazione molto saggia del Pontefice è la seguente:

«Ora queste tendenze, che più o meno deviano dalla retta strada, non possono essere ignorate o trascurate dai filosofi e dai teologi cattolici, che hanno il grave còmpito di difendere le verità divine ed umane e di farle penetrare nelle menti degli uomini. Anzi, essi devono conoscere bene queste opinioni, sia perché le malattie non si possono curare se prima non sono bene conosciute, sia perché qualche volta nelle stesse false affermazioni si nasconde un po’ di verità, sia infine, perché gli stessi errori spingono la mente nostra a investigare e a scrutare con più diligenza alcune verità sia filosofiche che teologiche».

Pio XII ci invita quindi a ben conoscere queste opinioni, queste deviazioni, perché soltanto conoscendole bene potremo affrontarle. Ma il Papa presenta bene anche un problema che consegue all’affermazione citata; cioè il fatto che molti studiosi non affrontavano quelle deviazioni con lo spirito che lui suggeriva, ma quasi le sposavano, le sostituivano a quei precetti e fondamenti della dottrina cristiana che fino a quel momento erano stati sempre creduti come certi e immutabili.

Nella prima parte dell’enciclica, Pio XII affronta la questione del dogma e del suo svilimento da parte di coloro che ritengono il dogma un ostacolo al dialogo ecumenico. Tutto questo mi fa personalmente pensare alla battaglia di monsignor Antonio Livi, che sulla questione del ritorno al dogma ha speso tanti studi fino alla fine della sua vita. Certamente, nei tempi moderni abbiamo assistito ad una preminenza della pastorale sul dogma, il che ha portato alla confusione attuale che si vive in tutte le discipline teologiche.

Nella seconda parte, il Papa affronta gli attacchi alle Sacre Scritture, al modo di interpretarle secondo il pensiero della Chiesa. Mette in luce anche errori che stravolgono la dottrina:

«Da alcuni poi si mette in discussione se gli angeli siano persone; se vi sia una differenza essenziale fra la materia e lo spirito. Altri snaturano il concetto della gratuità dell’ordine sovrannaturale, quando sostengono che Dio non può creare esseri intelligenti senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica. Né basta; poiché, messe da parte le definizioni del Concilio di Trento, viene distrutto il vero concetto di peccato originale e insieme quello di peccato in genere, in quanto offesa di Dio, come pure quello di soddisfazione data per noi da Cristo. Né mancano coloro che sostengono che la dottrina della transustanziazione, in quanto fondata su un concetto antiquato di sostanza, deve essere corretta in modo da ridurre la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia ad un simbolismo, per cui le specie consacrate non sarebbero altro che segni efficaci della presenza di Cristo e della sua intima unione nel Corpo mistico con i membri fedeli».

Nella terza parte, egli affronta il problema delle deviazioni che riguardano la mente umana, la ragione. Secondo alcuni, essa deve essere completamente indipendente dalla fede, in quanto con essa inconciliabile. Il Papa dimostra che così non può essere, essendo Dio stesso il creatore dell’intelletto umano. Pacelli dimostra che un razionalismo così concepito non può che portare in un vicolo cieco. Questa è la questione della filosofia, di come sia importante - come dice il Pontefice - che i sacerdoti siano istruiti in quella filosofia che si basa su fondamenti certi, prima di poter accedere alle altezze della teologia.

Nella quarta parte affronta il rapporto che c’è fra la Chiesa e le scienze. In realtà, come lo stesso Pio XII ha più volte affermato (anche in un famoso discorso del 1939 alla Pontificia Accademia delle Scienze), la scienza è nata in seno alla Chiesa e ad essa deve tanto. Vi si affronta la questione dell’evoluzionismo: il Papa non respinge questa teoria ma invita a trattarla, appunto, come una teoria, cioè un qualcosa su cui si può discutere e non come un dogma indiscutibile.

Nella quinta parte il Papa parla dell’interpretazione dei libri storici dell’Antico Testamento, particolarmente dei racconti della creazione, cercando di sfatare una certa svalutazione degli stessi alla luce, come si diceva prima, di un apparente contrasto con quelle che erano le ultime scoperte scientifiche.

Nella conclusione leggiamo un’affermazione ancora molto importante del Pontefice, riguardante gli insegnanti degli istituti ecclesiastici:

«Cerchiamo con ogni sforzo e con passione di concorrere al progresso delle scienze che insegnano; ma si guardino anche dall’oltrepassare i confini da Noi stabiliti per la difesa della fede e della dottrina cattolica. Alle nuove questioni, che la cultura moderna e il progresso hanno fatto diventare di attualità, diano l’apporto delle loro accuratissime ricerche, ma con la conveniente prudenza e cautela; infine, non abbiano a credere, per un falso “irenismo”, che si possa ottenere un felice ritorno nel seno della Chiesa dei dissidenti e degli erranti, se non si insegna a tutti, sinceramente, tutta la verità in vigore nella Chiesa, senza alcuna corruzione e senza alcuna diminuzione».

La Humani Generis è un documento importante e attuale. Un documento che ci insegna che l’errore va guardato in faccia, affrontato, confutato, mai accettato bonariamente. L’errore non ha diritti, li ha soltanto la verità. Purtroppo, negli ultimi decenni si è pensato che andare a braccetto con l’errore avrebbe fatto tornare gli erranti all’ovile, ma nessuno può pensare di tornare all’ovile se non gli viene mostrato che il motivo per cui se ne teneva lontano era basato su fondamenti falsi.