Hong Kong: Chiesa partecipe al grido di dolore del popolo
Appello della Commissione diocesana di Giustizia e Pace di Hong Kong, perché il mondo ascolti la voce del popolo della piccola Cina. Continua la preoccupazione per la nuova legge sull'estradizione, che potrebbe portare cittadini della città-Stato ad esser processati anche in Cina. Perché la legge è sospesa, non è detto che sia revocata.
La piccola Cina, la città-Stato di Hong Kong, si trova in un angoscioso limbo politico. La legge sull’estradizione è stata sospesa dal governo, dopo le manifestazioni oceaniche di protesta di metà giugno. Sospesa non necessariamente vuol dire revocata. Se un giorno dovesse passare, cittadini di Hong Kong potrebbero essere estradati anche nella Repubblica Popolare Cinese per essere processati dalla magistratura del regime comunista. Proprio perché la legge è in sospeso, i manifestanti continuano a tenere le autorità sotto pressione. E ieri anche la Chiesa, tramite la Commissione diocesana di Giustizia e Pace di Hong Kong ha lanciato il suo appello.
Le ultime manifestazioni avvengono in coincidenza con l’inizio del vertice del G20, che si tiene in questi giorni a Tokyo, per richiamare su Hong Kong l’attenzione mondiale. La presidente dell’esecutivo, Carrie Lam, voleva introdurre la legge sull’estradizione con urgenza, ma dopo le manifestazioni oceaniche del 9 giugno e del 16 giugno (2 milioni di persone in piazza, secondo le stime degli organizzatori), ha dovuto “sospendere” la discussione in parlamento. La “sospensione” ufficiale potrebbe anche essere una revoca di fatto. Ma i manifestanti vogliono vederci chiaro e le manifestazioni di protesta continuano. A questa crisi se ne aggiunge una seconda: quella sull’azione della polizia contro i manifestanti. Il 12 giugno, infatti, gruppi di giovani hanno cercato di entrare nell’edificio del parlamento e la polizia li ha caricati. Il risultato è stato di 82 feriti (comprese decine di poliziotti). Per questa azione di polizia, la Lam ha espresso le sue scuse “profonde e personali”, dicendo che avrebbe “migliorato” la comunicazione con la popolazione di Hong Kong. Le autorità, per giustificarsi hanno comunque definito l’intera manifestazione una “rivolta”, che rendeva, dunque, necessaria la violenza esercitata. Fra le domande degli oppositori, dunque, si trova sia la revoca anche formale della legge sull’estradizione, sia l’istituzione di una commissione di inchiesta indipendente sull’operato della polizia e, da ultimo, anche la cancellazione della definizione “rivolta” per i fatti del 12 giugno.
Anche la Chiesa di Hong Kong si unisce a queste richieste, come già avevano fatto il card. John Tong, amministratore apostolico della diocesi cattolica, e Eric So Shing-it, presidente del Consiglio cristiano (protestante) di Hong Kong. Ieri, la Commissione diocesana di Giustizia e Pace, ha sollecitato le Commissioni asiatiche dell’organismo di pregare per loro e ascoltare la voce della popolazione di Hong Kong (qui il testo integrale della lettera). Lo stesso appello è rivolto ai Paesi del G20, riuniti ad Osaka. «Sotto la Fugitive Offenders and Mutual Legal Assistance Legislative (Amendment) Bill 2019 (“il disegno di legge sull’estradizione”) proposto dal governo di Hong Kong – recita la lettera della Commissione diocesana di Giustizia e Pace - i cittadini del Territorio e gli stranieri che vi soggiornano o transitano potrebbero essere estradati non solo in Cina, ma anche in qualsiasi altra giurisdizione del mondo; sono compresi i Paesi che non hanno ancora firmato o attuato il Patto internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr)», fra cui anche la Corea del Nord. «Come risultato del disegno di legge sull'estradizione si prevede la rottura del principio “Un Paese, due sistemi”, la già fragile parete che protegge Hong Kong dalla Cina continentale». Il casus belli che ha innescato la crisi è un delitto avvenuto a Taiwan ad opera di un cittadino di Hong Kong. Da qui è iniziata la manovra per introdurre rapidamente l’emendamento alla legge sull’estradizione nel modo più celere possibile. La Commissione diocesana riconosce la gravità del delitto che ha causato il processo legislativo, ma: «Mentre la giustizia dovrebbe essere sostenuta nel doloroso caso di omicidio a Taiwan, non è saggio trovare giustizia con una soluzione ingiustificata, che comporterebbe il sacrificio del bene più grande per il pubblico in generale». Anche sulle violenze del 12 giugno, la lettera afferma: «Nonostante il dissenso generale, il 12 giugno 2019 la polizia ha risposto reprimendo manifestanti pacifici e disarmati con pugno di ferro, causando vittime sproporzionate e le proteste di una popolazione infuriata».
L’appello si conclude con tre richieste. La prima: «Istituire una Commissione d'inchiesta del tutto imparziale ed indipendente sulle circostanze degli incidenti avvenuti il 12 giugno 2019 e la condotta delle Forze di polizia». Poi: «Ritrattare la descrizione ufficiale della protesta del 12 giugno 2019, definita come “una rivolta”». E infine: «accogliere le richieste del pubblico ritirando subito dal Consiglio legislativo il disegno di legge sull’estradizione».
Benché talvolta, anche in ambienti ecclesiastici, si tenda a considerare la Cina popolare come la “miglior realizzatrice” della Dottrina Sociale della Chiesa, la Commissione diocesana, per opporsi a una legge che introdurrebbe un po’ più di regime di Pechino anche a Hong Kong, cita proprio la Dottrina Sociale: «Secondo il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa cattolica» – si legge nell’appello - «“l'autorità deve emanare leggi giuste, cioè conformi alla dignità della persona umana e ai dettami della retta ragione”. “La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza”».