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Hacker cinesi sanzionati in Usa e Regno Unito, ignorati in Italia

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Nel corso della settimana è sfuggita ai più una notizia di esteri che pure ci riguarda da vicino. Gli Usa e la Gran Bretagna impongono sanzioni ad hacker cinesi. Stesso spionaggio anche in Italia, ma nessuna reazione. 

Esteri 29_03_2024
hacker

Nel corso della settimana è sfuggita ai più una notizia di esteri che pure ci riguarda da molto vicino. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno reagendo, con una nuova sventagliata di sanzioni e cause penali, a una rete di cyber-spionaggio cinese. Le indagini hanno portato a conoscere un po’ più da vicino l’attività ostile promossa da Pechino nei nostri paesi. Ed è molto più vasta di quanto si pensasse. Succede anche nel nostro paese, però latita (almeno per ora) la reazione del governo.

L’amministrazione Biden ha annunciato lunedì l’inizio di una causa penale e di sanzioni contro hacker cinesi, accusati di aver condotto una pesca a strascico di dati sensibili, ai danni di aziende e uffici del governo. E di averlo fatto per conto del regime di Pechino. Il Dipartimento del Tesoro ha imposto sanzioni all’azienda di scienza e tecnologia Xiaoruizhi di Wuhan accusandola di funzionare come copertura dello Ministero della Sicurezza di Stato cinese, conducendo migliaia di attacchi informatici ai sistemi americani. Altre sanzioni sono state imposte a due cittadini cinesi, Zhao Guangzong e Ni Gaobin, legati alla stessa compagnia di Wuhan e accusati di aver preso di mira infrastrutture critiche. Sanzioni analoghe sono state approvate dal governo britannico.

Sia Stati Uniti che Regno Unito avrebbero subito, non solo il furto di dati, ma anche lo spionaggio ai danni dei parlamentari membri dell’Ipac, l’alleanza interparlamentare della Cina. Pechino, insomma, starebbe attentamente monitorando i suoi nemici politici all’estero.

Il governo britannico ha dichiarato che lo stesso ampio gruppo di hacker cinesi ha “molto probabilmente” violato la Commissione elettorale britannica nel 2021 e nel 2022 e ha spiato i parlamentari britannici. L’attività non ha influito sul processo elettorale del Regno Unito, né sulla registrazione degli elettori, ha dichiarato il ministero degli Esteri britannico. Piuttosto il governo Sunak ha accusato Pechino di aver violato il registro elettorale del Regno Unito per rubare i dati personali: i nomi e gli indirizzi di circa 40 milioni di elettori, nonché il sistema di posta elettronica della commissione e le informazioni sui donatori politici. Il governo britannico ha inoltre dichiarato di essere "quasi certo" che un gruppo di hacker legato allo Stato cinese, noto come APT31 (con APT viene indicata una minaccia hacker persistente), abbia intrapreso anche “attività di ricognizione” nel tentativo di violare le e-mail di un gruppo di legislatori britannici critici nei confronti di Pechino.

Sarebbero nel mirino dello spionaggio cinese anche parlamentari italiani, almeno sette. L’opposizione vuole saperne di più. Il senatore Enrico Borghi e il deputato Roberto Giachetti, entrambi di Italia Viva, hanno depositato alle due Camere un’interrogazione, sottoscritta anche dalla deputata del Partito democratico Lia Quartapelle. Il senatore Borghi vuole sapere se il governo fosse al corrente dell’hackeraggio e quanto ne fossero consapevoli i sevizi di intelligence. In un’intervista rilasciata al quotidiano Il Foglio, Lia Quartapelle ritiene che sia particolarmente importante capire la causa dello spionaggio cinese ai danni dei nostri politici: «vuol dire fare una lista di amici e non-amici: è un segnale, quasi un avvertimento, e per questo che serve una reazione da parte del governo esplicita che dica che non ignoriamo, non lasciamo correre sulle potenziali interferenze. Un tema su cui si discute ovunque pubblicamente, tranne che in Italia».

Ed è la seconda volta, in un anno, in cui una questione sospetta che riguarda la Cina passa stranamente sotto silenzio. La prima riguardava le stazioni di polizia cinesi all’estero, di cui l’Italia è stata pioniera. Proprio ai tempi del governo Renzi (che ora, all’opposizione, parrebbe il più preoccupato) sono stati aperti i primi uffici, teoricamente per aiutare i cinesi in Italia a sbrigare pratiche burocratiche, come il rinnovo della patente. Quando, altrove in Europa, hanno indagato sul ruolo della polizia “oltremare”, si è scoperto che funzionavano anche come strumenti di repressione dei dissidenti in esilio, soprattutto per costringerli a rientrare in patria. In Italia la vicenda non ha avuto seguito.