Groenlandia, scoppia il nuovo caso di eugenetica razzista
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La “campagna della spirale”, in Groenlandia, è stata condotta dal 1966 alla metà degli anni 70: la pratica di applicare la spirale contraccettiva a inconsapevoli ragazzine di etnia inuit, appena entrate nella pubertà. Oggi scoppia il caso, con la richiesta di risarcimento di 67 vittime.
Talvolta, ancora oggi, riemergono gli errori e gli orrori dei programmi eugenetici scandinavi. L’ultimo in ordine di tempo è in Groenlandia, tuttora territorio della Danimarca anche se pienamente autonomo dal 2009. La “campagna della spirale” è stata condotta dal 1966 alla metà degli anni 70: la pratica di applicare la spirale contraccettiva a inconsapevoli ragazzine di etnia inuit, appena entrate nella pubertà.
Il governo di Copenaghen e quello autonomo della Groenlandia hanno aperto un’inchiesta all’inizio dell’anno, dopo che un podcast di successo aveva rispolverato il caso. Ma un gruppo di 67 donne, vittime della pratica contraccettiva, ha deciso di far causa da subito, senza attendere i tempi (almeno due anni) dell’inchiesta, chiedendo l’equivalente di 40mila euro di risarcimento al governo. Perché in molti casi, la loro vita è stata rovinata.
In tutto le ragazzine a cui è stata applicata la spirale contraccettiva, senza informarle e senza neppure consultare i genitori, sono almeno 4500, tutte di etnia inuit. La prima donna che ha raccontato la sua esperienza sei anni fa ed ora guida la class action contro il governo è Naja Lyberth, psicologa. Quando aveva 13 anni, nei primi anni 70, un medico disse a Naja di recarsi all’ospedale locale per un piccolo intervento, in seguito a una visita medica scolastica di routine. “Non sapevo bene di cosa si trattasse perché non mi ha mai spiegato né chiesto il permesso”, racconta Naja, che all'epoca viveva a Maniitsoq, una piccola città sulla costa occidentale della Groenlandia. “Avevo paura. Non potevo dirlo ai miei genitori”, racconta alla BBC. “Ricordo i dottori [in] camice bianco, e forse c'era un'infermiera. Ho visto le cose metalliche [staffe] dove si dovevano aprire le gambe. Era molto spaventoso. L'attrezzatura usata dai medici era così grande per il mio corpo di bambina: era come avere dei coltelli dentro di me”.
Le applicazioni di contraccettivi sono avvenute soprattutto in Groenlandia, ma anche in territorio danese su ragazze di etnia inuit provenienti dalla Groenlandia. Come Arnannguaq Poulsen a cui è stata applicata la spirale quando aveva 16 anni, sull’isola di Bornholm. Nel 1974 studiava in un collegio per studenti groenlandesi in Danimarca. “Non mi hanno chiesto nulla prima dell'intervento e non avevo idea di cosa si trattasse o di cosa fosse la spirale”, racconta oggi.
La spirale è un metodo contraccettivo reversibile. La Lyberth ha avuto un figlio (dopo molte complicazioni) all’età di 35 anni. Per molte donne sottoposte a questo intervento contraccettivo involontario, tuttavia, la pratica è risultata pari a una sterilizzazione. Negli anni 60 e 70 le spirali erano più grandi di quelle usate oggi e nel corpo di una bambina potevano provocare danni più frequentemente. La mancanza assoluta di informazione e di vigilanza medica successiva all’applicazione, hanno fatto sì che, pur incredibile che sembri, molte donne non erano consapevoli neppure di avere la spirale. Ad esempio, Katrine Jakobsen, di Nuuk, ha tenuto la spirale, applicata nel 1974, per quasi due decenni, soffrendo di dolori e di una serie di complicazioni. Alla fine le fu asportato l’utero. Fino a poco tempo fa, i ginecologi groenlandesi trovavano la spirale in donne che non ne conoscevano la presenza. Una donna ha scoperto solo l'anno scorso che le era stata applicata, secondo quanto riferisce Lyberth. Anche l'assistenza post-operatoria era molto carente. Molte donne sono rimaste con forti dolori, emorragie interne e infezioni addominali, mentre molte hanno dovuto farsi rimuovere l'utero o hanno perso la capacità di avere figli.
La contraccezione involontaria e la sterilizzazione forzata sono pratiche frequenti nei programmi eugenetici scandinavi. Il caso più eclatante è quello della Svezia, che ha eseguito operazioni di sterilizzazione forzata dal 1934 al 1975, su persone portatrici di disabilità o semplicemente considerate “non convenzionali” nei loro comportamenti. Si poteva perdere la propria capacità riproduttiva anche solo per una denuncia di comportamento deviante da parte di un vicino di casa. Anche negli Usa la sterilizzazione forzata venne praticata, soprattutto nella prima metà del Novecento, per eliminare la fertilità di svariate categorie di cittadini: malati di mente, albini, alcolizzati, talassemici, epilettici, immigrati come irlandesi e italiani, afroamericani e messicani.
L’eugenetica è stata condannata, moralmente e poi anche politicamente, solo molti anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando si realizzò che era alla base delle purghe del regime nazista. Eutanasia e sterilizzazione obbligatoria erano pratica comune per migliorare la “razza” ariana. Condannata dopo la sconfitta della Germania, è stato però molto più difficile realizzare che anche i sistemi sanitari di Paesi democratici seguivano esattamente la stessa logica e per gli stessi fini.
Il caso danese permette ancora una volta di capire quali siano le due principali caratteristiche della politica eugenetica. È una pratica legata strettamente al welfare state: la giustificazione economica, in un sistema in cui il benessere dipende dalla redistribuzione dei beni, è che lo Stato non può occuparsi di tutti. Meno si è, più ampia sarà la fetta di benessere che potrà essere distribuita a ciascuno. La seconda caratteristica è il razzismo: se vuoi poter godere dei servizi dello Stato non c’è posto per le minoranze. E poi devi “meritarti” l’appartenenza alla comunità, perciò non puoi riprodurti se sei malato e quindi sei un peso. Lo Stato, dunque, elimina i corpi estranei e procede con la purga dei suoi cittadini per migliorarne la "razza", nel pieno e razzista senso del termine. A farne le spese, dunque, sono stati anche gli inuit della Groenlandia.