Green pass, anche Confindustria perde la testa
Non si entra in azienda senza vaccino: l'assurda proposta dell'associazione degli industriali. È solo l'ultima perla di una campagna estremistica - dal governo alle Regioni - volta a obbligare la vaccinazione. E intanto a pagare caro sono già gli operatori turistici.
In pochi immaginavano che l’estate sarebbe stata peggiore di quella dell’anno scorso, con più divieti, maggiori restrizioni e soprattutto asfissianti controlli alla mobilità delle persone. Eppure sembrano in dirittura d’arrivo nuove misure limitative delle libertà personali, nonostante la situazione epidemiologica non giustifichi in alcun modo allarmismi e messaggi terroristici.
Ieri si sono riunite le Regioni, che hanno proposto giustamente la revisione dei parametri per i passaggi tra le zone. Una regione dovrà passare dalla zona bianca (attualmente tutte sono in zona bianca) alla zona gialla solo se i reparti di terapia intensiva si riempiranno al 15% e gli altri reparti Covid al 20%, quindi sarà rilevante il livello di ospedalizzazione, non quello dei contagi. Questa novità dovrebbe essere discussa oggi nella riunione tra Regioni e Governo, dopo di che cabina di regia e consiglio dei ministri dovranno perfezionare il testo del nuovo decreto Covid, che entrerà in vigore già la prossima settimana o al massimo a inizio agosto.
Ma mentre sui livelli di rischio hanno puntato i piedi, le Regioni sembrano in realtà pronte a cedere sull’obbligatorietà del green pass, anzi stanno già alzando spontaneamente le barriere ai propri confini. La Sicilia, ad esempio, ha già ripristinato i tamponi obbligatori per chi arriva sull’isola. L’aeroporto di Catania dovrà verificare la negatività al Covid di tutti i turisti che arriveranno nelle prossime ore. Si va ancora una volta verso la regionalizzazione della gestione dei divieti, a prescindere dalla pericolosità delle situazioni dei singoli territori. Una babele di norme che manderà in tilt il Paese e rovinerà la stagione turistica.
Si profilano all’orizzonte pasticciatissime soluzioni all’italiana, figlie di una confusione cosmica sui rimedi da adottare per gestire la variante delta, più contagiosa ma meno letale, che sta colpendo fasce di popolazione molto giovane e dunque senza rischi reali per la tenuta del sistema ospedaliero e con inesistenti pericoli di incremento dei decessi.
Le evidenze scientifiche al momento dicono questo, poi la situazione può sempre evolvere in modo imprevedibile. Certo è che non si può frenare un Paese nel pieno di una stagione turistica, vissuta dagli operatori come l’ultima chance prima del fallimento e della chiusura delle attività.
Per riaprire le scuole e gli uffici in sicurezza a partire da settembre, non ha senso chiudere tutto ora. E’ un prezzo troppo salato quello di eventuali limitazioni alle aperture e al normale funzionamento di ristoranti, bar, esercizi commerciali, stabilimenti balneari, discoteche. Si ricorderà che già il turismo invernale ha praticamente saltato un anno, con l’annunciata riapertura degli impianti sciistici subito dopo Natale, poi revocata dal governo Conte II poco prima della sua caduta.
Occorre prevenire eventuali nuove ondate di Covid preparandosi alla stagione autunnale con il potenziamento dei mezzi di trasporto, la sanificazione degli ambienti scolastici, la predisposizione di calendari flessibili e in grado di diluire gli accessi degli alunni nelle aule. Ma, soprattutto, bisogna affrontare il tema della tutela della salute in modo completamente diverso, affiancando ai vaccini gli altri farmaci e gli anticorpi monoclonali e affrontando tutti i molteplici aspetti della cura delle persone rispetto ad altre patologie trascurate per un anno e mezzo e destinate ad esplodere molto presto, non ultime quelle psichiatriche e mentali. Approcci chiusuristi e punitivi rischiano invece di uccidere l’economia, esasperare la conflittualità tra vaccinati e non vaccinati, ritardare il ritorno alla normalità.
Nella girandola di indiscrezioni su nuovi divieti si parla di accesso consentito nei ristoranti dopo una dose di vaccino e di partecipazione ai grandi eventi e ingresso nelle discoteche solo dopo due dosi.
La vicenda green pass si sta caricando di significati ideologici e di contenuti alquanto discutibili, che rischiano di compromettere i capisaldi stessi della democrazia. Le università che ospitano nelle loro residenze migliaia di studenti starebbero per blindarsi e per imporre il green pass ai loro ospiti. Dunque, niente possibilità di andare nei collegi universitari senza essere vaccinati.
Confindustria addirittura agita il green pass per cacciare i lavoratori. In una lettera firmata da Francesca Mariotti, direttore generale della confederazione guidata da Carlo Bonomi, si preannuncia la stretta: «Nonostante la campagna vaccinale nazionale abbia registrato finora un buon andamento – scrive la Mariotti - numerose imprese associate hanno segnalato la presenza di percentuali consistenti di lavoratori che scelgono liberamente di non sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid19, esponendo di fatto ad un maggior rischio di contrarre il virus se stessi e la pluralità di soggetti con cui, direttamente o indirettamente, entrano in contatto condividendo in maniera continuativa gli ambienti di lavoro». Poi l’affondo: «Al fine di tutelare tutti i lavoratori e lo svolgimento dei processi produttivi nel pieno rispetto delle libertà individuali, Confindustria ha proposto l'estensione dell'utilizzo delle certificazioni verdi - cd. green pass - per accedere ai contesti aziendali/lavoristici, avviando interlocuzioni con il governo ai fini di una soluzione normativa in tal senso. E l'intento è quello di consentire ai datori di lavoro di richiedere l'esibizione di una certificazione verde valida ai fini di regolare l'ingresso nei luoghi di lavoro e/o lo svolgimento delle mansioni lavorative dei vari soggetti>.
In altre parole, il certificato verde rientrerà tra gli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede che il codice civile indica come imprescindibili nei rapporti di lavoro. Sottinteso: violazioni di tali obblighi possono portare addirittura alla sospensione della retribuzione o al licenziamento del lavoratore. Ce n’è abbastanza per avere la percezione della pessima aria che tira.