Grande parata per nascondere guai più grandi
In una Cina minacciata dal fantasma del tracollo finanziario con 5 mila miliardi di dollari bruciati in pochi giorni nelle Borse e con una dirigenza sospettata di aver falsato per anni i dati reali su Pil e produzione industriale non c’è nulla di meglio di una gigantesca parata militare per flettere i muscoli e mostrare al mondo orgoglio e potenza.
A Pechino il 3 settembre come a Mosca il 9 maggio, la parata militare che celebra i 70 anni della vittoria nella Seconda guerra mondiale assume i toni di uno sfoggio muscolare e patriottico teso più a rafforzare l’immagine nazionale di fronte alle crisi di oggi che a celebrare le glorie del passato. In una Cina minacciata dal fantasma del tracollo finanziario con 5 mila miliardi di dollari bruciati in pochi giorni nelle Borse e con una dirigenza sospettata di aver falsato per anni i dati reali su crescita del Pil e produzione industriale non c’è nulla di meglio di una gigantesca parata militare per flettere i muscoli e mostrare al mondo orgoglio e potenza.
Uno show utile anche a far dimenticare l’ancora inspiegato disastro nel complesso industriale chimico del porto di Tianjin, città in cui il tasso di sostanze velenose nell’aria sembra aver indotto le autorità a chiudere l’accesso al centro urbano. A differenza di Mosca, dove il 9 maggio la parata fu una vera festa di popolo che ha coinvolto tutte le generazioni, dai bambini agli ultimi reduci di guerra rimasti in vita, a Pechino la popolazione è stata invece allontanata dal dentro città. Un segnale importante inspiegabilmente non molto sottolineato dai media, ma che potrebbe indicare l’accresciuto scollamento tra popolazione e regime già ampliatosi negli ultimi anni per i continui casi di corruzione registratisi nella pubblica amministrazione e nel Partito e che non hanno certo risparmiato le forze armate. La preoccupazione del regime è stata invece quella di presentare al mondo una città pulita, libera persino dagli uccelli il cui volo avrebbe potuto provocare incidenti ad aerei ed elicotteri che hanno sorvolato la città durante la parata. Per eliminare i volatili distruggendone persino i nidi sono stati mobilitati falchi, cani e persino macachi addestrati dai militari a distruggere uova e nidi.
É stato limitato l’uso delle macchine per i residenti, svuotati i quartieri centrali e chiuso 7 parchi, diversi ospedali, i 2 aeroporti della città e una linea della metropolitana al punto che il South China Morning Post ha definito Pechino «una città fantasma». La parata ha visto sfilare 12 mila militari con 200 velivoli e 500 veicoli dei quali, come ha riferito l’agenzia Nuova Cina, «l’84 per cento nuovi o mai mostrati in pubblico». Il più atteso è stato senza dubbio il missile balistico anti-portaerei Dong Feng DF-21D, versione antinave del missile balistico a medio raggio DF-21 modificato per colpire le portaerei statunitensi. Un’arma dal valore strategico, difficile da intercettare per la sua elevata velocità e che, se risultasse davvero così efficace come dicono i cinesi, potrebbe inibire l’accesso al Mar Cinese alle portaerei statunitensi rovesciando gli equilibri strategici nel Pacifico. La sua gittata è compresa tra i 1.500 e i 2mila chilometri e quindi comprende tutti gli arcipelaghi contesi con i Paesi vicini (Spratly, Paracel, Senkaklu….) ma alla parata ha sfilato anche il DF-26, missile balistico con un raggio d’azione di 4mila chilometri che secondo lo speaker è stato a sua volta modificato come arma antinave e che potrebbe quindi colpire navi nemiche a distanze considerevoli tenendo sotto tiro anche la grande base statunitense sull’isola di Guam.
Il potenziamento militare cinese, specie sul fronte navale e missilistico, non sembra però dispiacere del tutto alla Marina statunitense che ha oggi una freccia in più al suo arco per cercare di invertire la tendenza alla riduzione del budget del Pentagono voluta da Barack Obama, Con l’occasione Xi Jimping ha annunciato, come previsto, la riforma delle Forze Armate cinesi i cui organici verranno ridotti da 2,3 a “solo” 2 milioni di militari consentendo di dedicare maggiori risorse ad addestramento e ammodernamento di un apparato militare secondo per spesa finanziaria solo a quello statunitense. Xi ha lanciato però segnali distensivi verso i vicini affermando che «l’esperienza della guerra rende la pace ancora più importante. Ecco perché, nonostante i grandi progressi, la Cina non cercherà mai l’egemonia o tanto meno infliggerà mai ad altre nazioni le tragedie che abbiamo sofferto».
Segnali raccolti dal Vietnam ma non dal Giappone che ha disertato la parata accusando Pechino di averla impostata in «chiave anti-giapponese». Fra i leader stranieri vi erano il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, il presidente russo Vladimir Putin, il sudafricano Jacob Zuma, il pakistano Mamnoon Hussain e il sudanese Omar Hassan al-Bashir, ricercato per crimini di guerra dalla Corte penale internazionale. L’unico europeo era il presidente ceco Milos Zeman, mentre l’ex premier britannico Tony Blair era presente, ma senza incarichi ufficiali. Francia e Italia hanno mandato i ministri degli Esteri; Stati Uniti, Canada e Germania membri delle missioni diplomatiche. Pechino non ha invece apprezzato lo scarso livello della partecipazione della Corea del Nord, rappresentata per la prima volta da un membro di basso livello del Politburo di Pyongyang. Una reazione forse spiegabile con l’invito formulato dai cinesi a Seul e accolto dalla presidente sudcoreana Park Geun-hye che ha assistito dal palco alla parata.