Gorizia-Nova Gorica, il futuro oltre le cicatrici della storia
Ascolta la versione audio dell'articolo
Ieri il sangue di chi cercava una via di fuga dal comunismo; oggi lo spopolamento e il declino. E un barlume di speranza perché l'eredità della Capitale europea della cultura è più forte delle ferite e delle divisioni imposte nel Novecento.

(Seconda parte di: Gorizia e Nova Gorica, quel confine che separava due mondi)
Il confine attraverso Gorizia e il Carso era geograficamente il più facile da attraversare per chi fuggiva dal comunismo in Europa orientale e centrale e cercava una vita migliore in Occidente. Gli anziani dei nostri villaggi nella campagna goriziana raccontano ancora di come, nei primi anni dopo la creazione del confine, si sentissero degli spari praticamente ogni notte. Il giorno dopo nei loro campi si potevano vedere tracce di sangue sul terreno. Nei primi anni, a Gorizia, i fuggitivi fucilati venivano seppelliti nella foresta di Panovec, che dal 1950 viene attraversata da una galleria con la strada principale per Nova Gorica, mentre nella regione del Carso venivano gettati nelle voragini carsiche – le famose foibe. È noto il caso della grotta di Jelenca, vicino al villaggio di Kobjeglava.
Il confine ha inciso anche sulla struttura ecclesiastica, decapitando in qualche modo due diocesi: la diocesi di Trieste-Capodistria e l'arcidiocesi di Gorizia. La diocesi di Trieste-Capodistria rimase senza quasi tutta l'Istria e il Carso, mentre sul lato occidentale del confine rimase solo la città di Trieste e i suoi dintorni più prossimi. Nell'arcidiocesi di Gorizia, la maggior parte del territorio (con il 70% della popolazione) rimase in Jugoslavia. La crisi ecclesiastica ebbe un effetto profondo anche sulla popolazione cattolica slovena rimasta in Italia. Quest'ultima è sempre stata curata da sacerdoti sloveni, ma ora ce ne sono rimasti pochissimi. L'area è piuttosto vasta per i pochi sacerdoti, e le numerose chiese sono piuttosto vuote. Anche il clero è ormai piuttosto anziano e le nuove vocazioni sono pochissime, se non addirittura nulle, soprattutto quelle locali.
Nel territorio che poi divenne completamente italiano rimasero circa 130.000 sloveni (il Territorio Libero di Trieste divenne italiano nel 1957). Nel corso del tempo, il processo di smembramento e assimilazione ha portato all'attuale numero di circa 50.000 sloveni in tutto il Friuli Venezia Giulia – 10.000 in provincia di Udine, 10.000 in provincia di Gorizia e 30.000 in provincia di Trieste. Un numero molto elevato di esuli istriano-dalmati fu poi insediato artificialmente nel territorio di Trieste e Gorizia. Se l'insediamento è ancora in qualche modo comprensibile per Trieste, data la gravitazione di gran parte dell'Istria verso questa città portuale, non lo è per Gorizia. L'italianizzazione di nomi e cognomi fu ampiamente praticata sotto il fascismo, poi in seguito, chi lo desiderava, poteva farsi restituire il nome e il cognome originario, o almeno il cognome - non tutti lo fecero. Va anche detto che, in questa triste storia, non furono solo le persone di lingua italiana o veneta a lasciare i territori dalmati e istriani, ma anche molti sloveni, croati e membri di altre nazioni che vi abitavano. Molti di loro hanno cognomi sloveni o croati ancora oggi.
Durante l'indipendenza slovena nel 1991 ci furono anche degli scontri sul confine, ma fortunatamente la guerra durò solo dieci giorni. Gli anziani ripensarono subito alla guerra e avevano paura di quello che sarebbe potuto succedere. Le forze della JNA (Esercito popolare jugoslavo) si recarono verso tutti i principali valichi di frontiera per mettere in sicurezza i confini, e un’intera guarnigione circondò il valico di Rožna Dolina/Casa Rossa, dove avvene uno dei peggiori scontri. La popolazione assistette con fischi e disapprovazione e rifiutò di andarsene, perché si era dichiarata a favore dell'indipendenza slovena e quindi considerava miliziani e soldati federali come occupanti. La Teritorialna obramba slovena (Difesa territoriale - Esercito della nuova repubblica) dapprima chiuse tutti i collegamenti con la zona per impedire i rinforzi dalle caserme, e poi un gruppo di sabotatori composto da nove membri compì un’azione lampo, sorprendendo sia le truppe armate jugoslave sia i cittadini che si trovavano sul posto. I cittadini fuggirono impauriti e sei di loro rimasero feriti, mentre i sabotatori sloveni portarono rapidamente a termine l'azione, inevitabile dopo il rifiuto delle truppe jugoslave di ritirarsi. Tre soldati furono uccisi, 16 vennero feriti, due carri armati distrutti e 98 soldati vennero catturati. Alcuni proiettili attraversarono il confine “senza documenti” e finirono nelle pareti delle case sul lato italiano. Tuttavia, la volontà del popolo sloveno, l'organizzazione, la determinazione e anche gli armamenti e la combattività delle unità militari e poliziesche slovene furono decisivi: di fatto, tutti i vertici federali riconobbero l'indipendenza slovena, e in ogni caso non avevano obiettivi a lungo termine sulla Slovenia, bensì su Croazia e Bosnia-Erzegovina, come tristemente noto.
Dopo l'indipendenza slovena, abbiamo assistito a una grande cooperazione e a un avvicinamento tra le popolazioni lungo il confine in tutti i settori. I problemi di oggi non riguardano una città o una parte soltanto, ma entrambe. Il grande problema è sicuramente l'emigrazione, particolarmente acuta sul versante italiano, perché di fatto Gorizia ha perso 10 000 abitanti rispetto agli anni '70, quando aveva la popolazione più numerosa (cosa che vale anche per Trieste). Anche Nova Gorica ha questo problema, ma non così grave. La popolazione autoctona su entrambi i lati del confine sta invecchiando e diminuendo e gli immigrati stanno prendendo il loro posto. Assistiamo a una sorta di declino in tutti i settori, ecclesiastico, culturale, economico e sportivo. Molti vedono nella Capitale europea della cultura un punto luminoso che potrebbe dare un barlume di speranza per il futuro. Se non altro, almeno darà un po' di visibilità. Ed è ora che questi inutili controlli ai vecchi valichi di frontiera vengano finalmente aboliti, perché, più che frenare le persone problematiche provenienti da altre parti d'Europa e del mondo, costituiscono un problema molto grande per la popolazione di confine e non hanno senso nemmeno in termini economici.