Gorizia e Nova Gorica, quel confine che separava due mondi
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Uno spazio culturale, economico e politico che era stato unito per secoli, dolorosamente diviso a metà del Novecento tra Italia ed ex Jugoslavia, tra il mondo libero e il mondo comunista. Una divisione che ha segnato la storia recente della città italo-slovena, lasciando traccia fino ai nostri giorni.
L’8 febbraio sono iniziate le celebrazioni a Gorizia e Nova Gorica come Capitale Europea della Cultura 2025. Gorizia deriva dalla parola slovena gorica che significa “piccolo monte” e all'inizio designava il colle del Castello di Gorizia, da cui in seguito si sviluppa la città di Gorizia; invece Nova Gorica significa Nuova Gorizia. La data prescelta è significativa per entrambe le parti, in quanto è il giorno della morte del più grande poeta sloveno, France Prešeren, e di un importante poeta italiano, Giuseppe Ungaretti (benché fosse iscritto all’anagrafe il 10 febbraio), che combatté sul fronte dell'Isonzo, sul Carso.
Già ovunque cartelli e maxiposter dicono che questo strano capoluogo è “borderless”, senza confini - più precisamente: GO!Borderless2025. GO è, ovviamente, il codice automobilistico sia di Gorizia che di Nova Gorica, ma il problema è che quell'etichetta “senza frontiere” non è più vera da un paio d'anni: i controlli di frontiera sono di nuovo presenti ai valichi, come avveniva regolarmente nella ex Jugoslavia.
Dicono che è tutto dovuto al pericolo del terrorismo (anche se gli immigrati clandestini non hanno problemi a entrare in Italia). Per controllare il confine, sono stati fatti arrivare nel Goriziano da tutta la penisola membri delle forze dell'ordine, che vengono ospitati in alberghi e altre strutture ricettive, non avendo più a disposizione le tante caserme di un tempo, quando il confine era più controllato anche da parte italiana, benché mai in maniera così rigida come dalla parte slovena o jugoslava. Anche nella parte slovena si ricorda il periodo tra le due guerre, quando numerosi dipendenti pubblici giungevano da tutta l'Italia, occupando i posti di insegnanti, ferrovieri e altri funzionari sloveni, perché il territorio doveva essere italianizzato il più possibile. Forse oggi si tende di più ad “anglicizzare” tutto, e c'è anche un'interessante e gradita tendenza degli italiani, che non hanno radici slovene, a imparare lo sloveno. Mandano anche i loro figli in istituti scolastici sloveni per imparare la lingua del paese confinante.
Eppure c'è ancora un'atmosfera strana, creata in passato soprattutto dalla generazione più anziana e da quella dei cosiddetti Baby Boomer. Da una parte, quella italiana, abbiamo i nostalgici del fascismo e del nazionalismo, dall'altra i nostalgici del comunismo, del titoismo e dell'era jugoslava. Nessuna delle due parti ha ancora fatto i conti con il proprio (semi)passato, e possiamo dire che ciò non avverrà per qualche tempo ancora. Poi, molti esuli sono stati artificialmente insediati anche a Gorizia, mentre dall'altra parte, a Nova Gorica sono stati dati appartamenti a meritevoli ex partigiani e membri del Partito Comunista, per favorire un certo grado di tensione e di attrito.
Diversi fattori hanno fatto sì che il confine sia così com'è. A metà del XX secolo, dopo il Trattato di pace di Parigi (1947), le potenze mondiali hanno invaso uno spazio culturale, economico e politico che era stato unito per secoli e lo hanno dolorosamente diviso con un nuovo confine nazionale tra l'allora Jugoslavia e l'Italia. Le persone potevano naturalmente decidere da che parte del confine vivere in un certo periodo di tempo, ma probabilmente non potevano immaginare quanti legami di parentela e amicizia sarebbero stati interrotti così drasticamente per parecchi anni, dato che il confine nazionale rimase praticamente sigillato fino al Trattato di Udine (1955). Al confine, le guardie di frontiera jugoslave sparavano ai disgraziati che fuggivano verso il “capitalismo marcio”. Gli italiani invece non sparavano, nemmeno sorvegliavano per davvero il confine, questo va detto. I contadini che avevano proprietà dall'altra parte del confine stavano meglio, perché avevano un lasciapassare speciale per attraversarlo. In quel periodo il confine venne aperto solo per un giorno, per la cosiddetta “Domenica delle scope” (13 agosto 1950), quando la gente non andò in Italia solo per comprare delle scope, che comunque mancavano sul lato jugoslavo, ma anche altre cose, come lo zucchero, il caffè e così via. Molte persone poterono finalmente rivedere i propri parenti e amici della parte jugoslava dopo molto tempo.
In seguito, dopo il già citato Accordo di Udine, la situazione cambiò, in meglio. Alle persone venivano concessi dei “lasciapassare” che consentivano il trasferimento di determinate quantità e tipi di merci, che comunque non bastavano mai. Iniziò il contrabbando di merci: alcune cose non erano disponibili in Jugoslavia, altre non erano disponibili in Italia, oppure erano difficili o costose da ottenere. All'inizio i lasciapassare erano validi per un'area di 10 km dal confine. Gli altri potevano viaggiare con un passaporto, se riuscivano a procurarselo o a conservarlo, cosa che non era così facile sul versante jugoslavo: si poteva perdere il passaporto molto rapidamente se non si era graditi alle autorità. Il confine fu stabilito definitivamente solo nel 1975 con gli accordi di Osimo.
La gente moriva fuggendo (illegalmente) attraverso quel confine fino alla fine! Così, fino al 1991, la JNA (Esercito popolare jugoslavo) ha “difeso” i confini della RSFJ (Repubblica socialista federale della Jugoslavia), dando la caccia ai "disertori" fino all'indipendenza della Slovenia. Nel farlo, i soldati usavano spesso armi da fuoco. E come ricompensa ricevevano una vacanza! Quando il confine fu inizialmente stabilito, molti di coloro che erano indesiderati in Jugoslavia furono cacciati dall'altra parte con la forza, cosa che accadde anche ad alcuni sacerdoti, soprattutto ad alcuni dignitari, come l'amministratore apostolico della parte dell'arcidiocesi di Goriška, rimasta in Jugoslavia, mons. Franc Močnik.
L'ultimo fuggitivo, un giovane emigrante economico, cittadino dello Sri Lanka, rimase ferito di striscio dalle guardie di frontiera jugoslave nella regione del Carso, a metà giugno 1991, pochi giorni prima dell'indipendenza della Slovenia. Secondo le informazioni finora disponibili, l'ultima vittima a cadere sotto i colpi delle armi delle guardie sul confine occidentale jugoslavo è morta all'inizio del 1990. Solo a Gorizia, le guardie di frontiera jugoslave hanno ucciso, secondo le stime, circa 150 persone che tentavano di fuggire attraverso il confine. Ricordo ancora come a scuola ci dicevano che bisogna stare attenti al confine, perché le guardie sparavano anche ai bambini. Per avere dati definitivi bisognerà comunque attendere l'apertura degli archivi di Belgrado.
1.continua