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OPERA VASTA

Gli scritti di san Colombano, profeta della vera Europa

Regole monastiche e penitenziali, lettere, sermoni e testi poetici: la produzione scritta del missionario irlandese è stata molto ampia. Oltre alle virtù che devono essere coltivate dai monaci, nelle sue opere è possibile riscontrare l’idea di un’Europa permeata da fede e cultura.

Ecclesia 23_11_2022

San Colombano, lucente prisma di colori, quadro dalle mille sfumature, diamante unico e prezioso: così si potrebbe definire il santo irlandese in virtù della sua esistenza peregrina per le vie dell’Europa medioevale, in virtù della vastità degli scritti che ci ha lasciato; san Colombano, del quale oggi ricorre la memoria liturgica, è «un santo “europeo”, perché come monaco, missionario e scrittore ha lavorato in vari Paesi dell’Europa occidentale, (...) consapevole dell’unità culturale dell’Europa» tanto che «in una sua lettera, scritta intorno all’anno 600 ed indirizzata a papa Gregorio Magno, si trova per la prima volta l’espressione “totius Europae – di tutta l’Europa”, con riferimento alla presenza della Chiesa nel Continente» (Benedetto XVI, Udienza generale, Piazza San Pietro, 11 giugno 2008).

Ma dove risiede la sua profetica idea d’Europa? Prima di tutto, nella sua specifica «peregrinatio pro Domino»: dalla natia Irlanda, il monaco approderà in Francia, Svizzera, fino a raggiungere l’Italia settentrionale, creando comunità e fondando monasteri (fra i più noti Luxeuil e Bobbio). Ma c’è anche il frutto che proprio questa peregrinatio ha prodotto: la sua vasta opera, da considerarsi un vero e proprio substrato dell’idea d’Europa; e di questa poliedrica produzione è interessante sottolineare non solo il carattere religioso (fondamentale, profondamente ascetico, alto e illuminante); in san Colombano vive infatti una vena del tutto letteraria nella quale è possibile riscontrare l’ampia visione intellettuale di un’Europa fatta di scrittori, poeti, pensatori: oltre ai testi sacri - la Sacra Scrittura e le pagine dei Padri della Chiesa - Colombano aveva studiato, scandagliato, gli autori della letteratura classica come Virgilio, Orazio, Ovidio, Stazio e Giovenale.

La vastissima opera di san Colombano può essere divisa in quattro categorie: le regole monastiche e penitenziali; le lettere; i sermoni e i testi poetici. Dopo aver fondato l'abbazia di Luxeuil (590), il santo volle fornire ai suoi monasteri una Regola; questa si compone di due scritti, la Regula Monachorum (Regola per i Monaci) e la Regula Coenobialis (Regola Cenobiale). La prima Regula, divisa in dieci capitoli, potrebbe considerarsi un ampio manuale sulle basilari virtù che gli stessi monaci devono seguire su queste tematiche: l’obbedienza; il silenzio; il cibo e la bevanda; la povertà e il dovere di vincere la cupidigia; il dovere di vincere la vanità; la castità; l'ufficio divino; il discernimento; la mortificazione e, infine, la perfezione del monaco. Nella Regula Coenobialis troviamo, invece, una sorta di “vademecum” delle punizioni stabilite per i religiosi in caso di violazione della disciplina monastica.

Inoltre, san Colombano scrisse il Poenitentiale che, fra i vari argomenti trattati, introdusse nell'Europa continentale la pratica della confessione privata e reiterata: avvenne così che «a fianco delle austerità, prese origine e sviluppo nei monasteri d’Irlanda, la confessione delle colpe, anche quotidiana, intesa non soltanto come espressione di umiltà spontanea, ma associata al vero e proprio sacramento della penitenza. In questo consiste il fatto nuovo o che perlomeno diventa generale, in quanto applica anche ai laici che vengono a chiedere all’abate o ai preti in che modo è possibile espiare le proprie colpe» (Dattrino Lorenzo, Il primo monachesimo, Edizioni Studium, Roma, 1984).

Ma c’è anche un altro dato da sottolineare: anche se i citati documenti non richiedono - in maniera diretta o punitiva - attività legate allo studium, viene sottolineata comunque l’importanza dell’attività intellettuale per l’accrescimento spirituale di ogni monaco: è l’inizio della proliferazione dei cosiddetti scriptoria, i luoghi dove gli amanuensi - gli scriptores - si riuniranno per eseguire il lavoro di trascrizione di alcuni testi; fra questi, oltre alla produzione dei codici di argomento religioso (che saranno poi conosciuti come “codici bobiensi” o “di Bobbio”), si affiancherà anche la trascrizione di altri volumi, di diversa natura: testi scientifici, letterari, storici, di medicina e d’arte.

Le Lettere giunte fino a noi sono sette; sono lettere indirizzate a papa Gregorio Magno, ai vescovi francesi, a papa Sabiniano, «a un giovane discepolo», a papa Bonifacio III, ai suoi monaci di Luxeuil, a papa Bonifacio IV; scritte per determinate esigenze politiche o spirituali dell’epoca, trovano nella Bibbia il loro punto focale; è la Parola ad essere messa al centro di tutte le dissertazioni contenute nelle lettere; tra le Lettere più polemiche, spicca quella indirizzata a papa Gregorio Magno: Colombano affronta il delicato tema della celebrazione della Santa Pasqua, motivo di controversie tra Irlanda e Gallia.

Le Instructiones (o Sermones) - molto probabilmente risalenti agli ultimi anni di vita di Colombano, ovvero tra il 612 e il 615, periodo della fondazione dell'abbazia di Bobbio - rappresentano, per registro stilistico, veri e propri capolavori della letteratura cristiana. In questi scritti, lo stile di Colombano denota una raffinatezza senza pari: le argomentazioni teologiche vengono districate nel testo con uno stile ad ampio respiro, diventando - in alcuni passaggi - vera e propria poesia; e, «se da un lato offrono una diagnosi non pietosa e non compiacente della volontà “infetta”, che non riesce mai a purificarsi, dell'uomo “letamaio immondo” (...), dall'altro sono colme, in profondità, di equilibrio e di esortazioni liberatorie, compresa l'insistenza sulla vita presente come “strada”, come ombra che passa, e sulla quale l'uomo cammina nel suo pellegrinaggio» (mons. Inos Biffi, La disciplina e l'amore. Profilo spirituale di san Colombano, Jaca Book, 2002).

Il suo animo, sempre rivolto all’elevazione verso Dio, non poteva non sfociare anche in alcuni componimenti poetici; la critica attribuisce a san Colombano cinque Carmina: sono versi di una bellezza sconvolgente, espressioni di un misticismo monastico dalle altissime vette; rappresentano, del santo, un lato inedito, per nulla inferiore - per profondità - agli altri suoi scritti. Fra i temi trattati in queste pagine, non poteva mancare quello della fugacità della vita, della sua piccolezza di fronte all’eternità di Dio: «Passerà questo mondo,/ giorno dopo giorno declina;/ nessuno continuerà nella vita,/ nessuno è sopravvissuto. [...] Il volto splendente di Cristo,/ desiderabile sopra ogni cosa:/ questo dev'essere amato/ più del fiore della fragile carne./ Dopo la morte i beati/ vedranno il beatissimo Re./ Allora il Re dei re, il Re santo/ dai santi sarà contemplato».