Gli islamisti non mollano Asia Bibi, Pakistan in fiamme
Da tre giorni si susseguono enormi manifestazioni di piazza nelle principali città pakistane, organizzate dai radicali islamici per protesta contro l'assoluzione di Asia Bibi, che resta ancora in carcere. Per sicurezza le chiese sono state chiuse e i cristiani non escono. Malgrado le smentite ufficiali sono insistenti le voci su un accordo tra governo e partito islamista, che avrebbe ottenuto la possibilità di un ricorso contro la Corte Suprema e di impedire l'espatrio di Asia. L'avvocato di Asia Bibi fuggito all'estero.
- IL DOSSIER ASIA BIBI
AGGIORNAMENTO ore 10.00: L'avvocato di Asia Bibi è riparato all'estero (clicca qui)
Asia Bibi è stata assolta, ma libera non è ancora e salva non lo sarà mai in Pakistan. Dal 31 ottobre, giorno in cui i giudici della Corte Suprema hanno reso nota la sentenza di assoluzione decisa l’8 ottobre, si è scatenata la rabbia di una parte della popolazione, influenzata dai radicali islamici. Decine di migliaia di persone hanno risposto all’appello del principale partito islamista, il Tehreek-i-Labbaik Pakistan, Tlp, e si sono riversate per le strade delle principali città. Vogliono Asia Bibi morta, acclamano il Tlp che ha giurato di uccidere i giudici che l’hanno assolta e l’avvocato che l’ha difesa.
Si sapeva che sarebbe successo. Il silenzio dei giudici si credeva servisse al governo pakistano proprio per organizzare l’espatrio di Asia Bibi e dei suoi famigliari, di nascosto, in maniera che il giorno dell’annuncio della sentenza fossero già al sicuro in uno dei paesi che hanno offerto loro asilo.
Invece Asia Bibi è ancora in Pakistan. Dal 1° novembre, racconta suo fratello James Masih, si trova in un luogo segreto per ragioni di sicurezza, in attesa di essere rilasciata: “Poi dovrà lasciare il paese al più presto – dice – non ci sono alternative”. Il marito di Asia, Ashiq Masih, è rientrato a metà ottobre con i figli dalla Gran Bretagna. Anche loro si nascondono temendo per la vita, in attesa di riunirsi ad Asia. Intanto stanno pensando a come uscire incolumi dal paese: “Non abbiamo avuto contatti né con le autorità pachistane – sostiene il cognato Nedeem Masih – né con altre straniere”.
Il 2 novembre, venerdì giorno di preghiera per gli islamici, le manifestazioni sono entrate nel terzo giorno. Le principali strade di Lahore, Islamabad, Karachi e di altre città sono state bloccate. I dimostranti hanno sfilato bruciando fotografie di Asia Bibi, altre ne mostravano, con un cappio disegnato attorno alla testa e la scritta “impiccatela!”. Le proteste si sono inasprite estendendosi al governo dopo che il primo ministro Imran Khan ha difeso i giudici che hanno assolto Asia in un messaggio televisivo, ha esortato la popolazione a non aderire agli appelli dei gruppi radicali islamici accusandoli di non servire l’islam, ma di agire per fini politici, “per aumentare il loro bacino di voti”.
Le autorità delle città più coinvolte nelle manifestazioni hanno disposto agenti di polizia a guardia delle chiese. In alcune località tutti gli edifici religiosi cristiani sono rimasti chiusi. Chiuse già nei giorni precedenti anche le scuole, a tempo indeterminato. Tuttavia per ridurre il rischio di aggressioni e attentati, le diocesi di tutto il paese hanno cancellato le messe in programma per la commemorazione dei defunti, i cimiteri sono stati chiusi. Le autorità religiose hanno invitato i fedeli a pregare individualmente, restando a casa.
Nel corso della giornata sono circolate voci che hanno accresciuto ansia e tensione. Il DawnNewsTV ha diffuso la notizia che, per indurre il Tlp a interrompere le proteste, il governo, nonostante le dichiarazioni del premier del giorno precedente, ha acconsentito alla richiesta del querelante nel caso di Asia, l’imam Qari Muhammad Saalam, di avviare il procedimento legale per inserire il nome di Asia Bibi nella Lista di controllo delle uscite dal paese, l’elenco nazionale delle persone a cui è proibito lasciare il Pakistan. Secondo il Dawn, inoltre, il governo ha dichiarato di non opporsi a una petizione inoltrata dallo stesso Saalam contro la sentenza della Corte Suprema.
Secondo altre voci, il governo si era impegnato a intraprendere azioni legali in favore delle eventuali vittime causate dalle proteste e a rilasciare tutte le persone fermate in relazione alle proteste stesse. In cambio il Tpl si è scusato per “aver urtato i sentimenti o aver creato disagi a qualcuno senza motivo”. L’accordo tra governo e Tlp, dicevano le voci, è stato firmato dal ministro degli affari religiosi e dal ministro della giustizia del Punjab, per il governo, e da due alti dirigenti del Tlp.
Tuttavia quasi subito è arrivata la smentita del partito di governo, il Pakistan Tehreek-i-Insaf del premier Khan: il governo federale – ha dichiarato tramite un portavoce – non intende “inserire il nome di Asia Bibi nella Lista di controllo delle uscite o accogliere un ricorso contro la sentenza della Corte Suprema”. In un comunicato successivo il Pakistan Tehreek-i-Insaf ha aggiunto che la petizione di Salaam “era stata inoltrata dal Tlp che non ha nulla a che vedere con il governo”.
Alcuni mass media hanno ripreso anche un tweet del presidente del Tlp, Khadim Hussain Rizvi, in cui il leader da parte sua avrebbe annunciato il totale fallimento dei colloqui con il governo, precisando che vi avevano partecipato agenzie di sicurezza e rappresentanti governativi.
Eppure gli ultimi lanci di agenzia tendono a confermare l’accordo tra governo e Tlp.
Nell’attesa di notizie certe, il dato sicuro è che la liberazione di Asia Bibi è rimandata. Se Khan difende la sentenza di assoluzione meglio sarebbe stato allontanare Asia e la sua famiglia, mettendo peraltro in conto rappresaglie contro i cristiani e vendette da parte dei radicali islamici. Se ha ceduto alle loro pressioni, il destino di Asia Bibi e della sua famiglia è segnato.