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Ora di dottrina / 133 – Il supplemento

Gli errori teologici di Marco Eugenico nell’opporsi al Filioque

Dalla lettura dei testi della disputa sul Filioque al Concilio di Ferrara-Firenze, si vede che il metropolita di Efeso, Marco Eugenico, era arroccato su una posizione antifilioquista che di fatto confondeva le persone divine.

Catechismo 13_10_2024

Oltre all'impostazione letteralista (vedi qui), un altro fattore portò il metropolita Marco Eugenico a chiudersi teoreticamente sulle barricate, ripetendo la propria opposizione al Filioque senza riuscire a comprendere l'argomentazione “latina”. Leggendo i testi della disputa che, durante il Concilio di Ferrara-Firenze, oppose il più importante rappresentante dei Greci al domenicano Giovanni da Montenero (†1445/6), al metropolita di Nicea, Bessarione (1403-1472), e al teologo bizantino, Giorgio Scolario (ca 1405-1472), si ha la netta sensazione che la parte greca anti-unionista avesse la necessità esistenziale di arroccarsi su una posizione, ormai poco difendibile, per evitare la temuta unione con la Chiesa latina: siccome non ci fidiamo del papa, non dobbiamo cedere sul Filioque...

La tesi, dal punto di vista teologico, di Marco Eugenico era infatti sempre sostanzialmente la stessa: i Latini, affermando la processione dello Spirito Santo anche dal Figlio, avrebbero introdotto una dualità di princìpi in Dio. Per difendere la posizione greca, egli tentava ogni volta di mostrare la contraddizione in cui, a suo avviso, cadrebbe qualunque filioquista. Vediamo un po' più da vicino il suo ragionamento. Se avessero ragione i Latini, allora ci troveremmo di fronte a due possibilità: o lo Spirito Santo procede dalla persona del Padre e dalla persona del Figlio, e così si avrebbero appunto due princìpi nella Trinità. Oppure, per salvare l'unico principio, lo Spirito Santo dovrebbe procedere dall'unica sostanza divina, e in questo modo si giungerebbe ad affermare che lo Spirito Santo procederebbe da sé stesso, in quanto anch'egli è Dio.

In realtà, all'Eugenico venne spiegato che non c'era alcun bisogno di separare nettamente le persone dalla sostanza divina; infatti, quando si parla della generazione del Figlio dal Padre, condivisa da Latini e Greci, si afferma che il Figlio è generato dal Padre (persona), ma anche che la divinità del Padre (sostanza) è il principio per cui è generato il Figlio, così da comunicargli appunto la stessa sostanza divina. A nessuno verrebbe in mente di dire che, siccome la divinità del Padre è il principio di questa comunicazione, allora vorrebbe dire che il Figlio genera sé stesso, in quanto anch'egli è Dio! Detto in altro modo: è il Padre (persona) che genera il Figlio, e la divinità (sostanza) è il principio per cui il Figlio viene generato; le due cose non si escludono affatto. Dunque, non o la persona o la sostanza, ma sia la persona che la sostanza, sotto due aspetti differenti ma tutt'altro che contraddittori. E dunque, mentre affermiamo le due distinte persone che spirano lo Spirito, così possiamo affermare l'unico principio della sostanza divina per cui procede lo Spirito.

Questo et-et, contrapposto all'aut-aut di Marco Eugenico, spiega come non si introduca affatto in Dio una dualità di principio – il principio è uno, ossia la sostanza divina –, mentre si afferma la dualità delle persone (Padre e Figlio) da cui lo Spirito procede. Marco, più o meno all'angolo, cercò allora di difendersi, alludendo ad un presunto sabellianesimo di Giovani da Montenero, ossia di non distinguere più le persone in Dio. Sospetto del tutto infondato e pretestuoso, data la chiarificazione ribadita più volte dal domenicano: principio unico, perché unica è la divinità, ma due persone distinte, una generante e l'altra generata.

A questo punto però Giovanni ebbe buon gioco a mostrare a Marco Eugenico che è la posizione greca a confondere le persone divine. Anche Bessarione cercò di spiegare per quale ragione sia proprio la necessaria affermazione della distinzione delle persone divine a portare al Filioque. Vediamo l'argomentazione, che cerchiamo di semplificare il più possibile. Il Figlio si chiama così perché “riceve” dal Padre nella generazione eterna; la distinzione tra Padre e Figlio è dunque marcata proprio dal fatto che il Padre è generante e il Figlio generato, ossia, come si dice in termini teologici, dalla loro relazione di opposizione. Ma come si distinguerebbero tra loro il Figlio e lo Spirito Santo se di entrambi si potesse dire solamente che provengono dal Padre come loro unico principio? Spiegava Bessarione: di certo non li distingue la materia, perché essa in Dio non esiste; non li distingue la specie, perché entrambi sono Dio. Dunque a distinguerli dev'essere necessariamente una relazione di opposizione; e dunque il Figlio spira lo Spirito e lo Spirito procede dal Figlio. Se non li distinguesse una tale opposizione, allora cos'altro li potrebbe distinguere? Se lo Spirito non si distinguesse dal Figlio per il fatto che procede da entrambi e non, come il Figlio, dal solo Padre, allora sì che lo Spirito sarebbe identico al Figlio, non essendoci tra i due alcun'altra possibile distinzione, essendo unica e identica la divinità.

Marco Eugenico decise allora di tentare la carta dell'«ineffabile» per uscire dalla stretta: la distinzione tra Figlio e Spirito Santo risiederebbe in una a noi ignota modalità ineffabile e non esprimibile di “provenienza”. Nella sua posizione si nota la sempre di moda critica all'impostazione metafisica, che pretenderebbe di esaurire il mistero; in questo caso, il dito è puntato contro le relazioni di opposizione, che sarebbero un'invenzione latina. Ma il ricorso all'ineffabile è qui del tutto fuori posto, perché tutta la spiegazione del mistero trinitario era sempre dipesa da una corretta metafisica. Se non fosse chiara la distinzione tra persone e sostanza divina, allora cadrebbe qualsiasi possibilità di comunicare la fede cristiana, cosa che invece i Padri dei primi concili ecumenici hanno fatto.

Quanto alle relazioni di opposizione, è proprio un greco, Bessarione, a mostrare a Marco la sua ignoranza. Le persone della Trinità, infatti, non possono distinguersi che per le relazioni opposte: paternità-filiazione, spirazione-processione. Nient'altro le può distinguere, perché una è la sostanza divina; eppure, se queste persone devono essere reali, come vuole la fede, allora ci dev'essere una vera distinzione. E tale distinzione sta proprio ed esclusivamente nelle reciproche relazioni opposte. E dunque, ancora una volta, se lo Spirito non procedesse anche dal Figlio, non vi sarebbe alcuna relazione di opposizione (e dunque alcuna distinzione) tra il Figlio e lo Spirito Santo. Invece, il Filioque permette una perfetta distinzione, senza compromissione dell'unità divina: il Padre e il Figlio si distinguono come il generante e il generato; il Padre e lo Spirito come colui che spira e colui che procede, e così il Figlio e lo Spirito. Nessuna confusione tra il Padre e il Figlio, affermandone l'unico principio di spirazione, perché tra loro la differenza è già marcata dalla generazione; inoltre il Figlio è unito nella spirazione precisamente perché ha ricevuto dal Padre la divinità, che di tale spirazione è l'unico principio.

La questione del Filioque era – ed è – in realtà teoreticamente chiusa, ma questo non bastava per far cessare l'ostilità dei Greci all'unificazione.



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