Gli errori del lockdown, Sunak fra i primi a pentirsi
Sulle politiche di lockdown c’è aria di pentimento, almeno nel Regno Unito. L’ex ministro Rishi Sunak è stato il primo a rompere il muro del silenzio e a raccontare alla stampa come sia stata presa la decisione di chiudere in casa decine di milioni di cittadini nel marzo 2020. E quanto questa decisione sia stata sbagliata.
Sulle politiche di lockdown c’è aria di pentimento, almeno nel Regno Unito. L’ex ministro Rishi Sunak (Cancelliere dello Scacchiere, equivalente del ministro dell’Economia), è stato il primo a rompere il muro del silenzio e a raccontare alla stampa come sia stata presa la decisione di chiudere in casa decine di milioni di cittadini nel marzo 2020. E quanto questa decisione sia stata sbagliata e foriera di conseguenze veramente nefaste.
Sunak ormai non ha nulla da perdere. Ha rassegnato le dimissioni, il governo Johnson, di cui era il numero due, è a sua volta dimissionario e nella lotta alla successione alla carica di premier, ha già vinto Liz Truss, salvo imprevisti. Quindi, forse per questo motivo, ha deciso di essere franco nella sua intervista rilasciata alla rivista The Spectator, al giornalista Fraser Nelson. Prima di tutto ha raccontato come il processo decisionale sia stato ristretto a poche persone, fra cui lo stesso Sunak. Un altro ministro del governo uscente (che mantiene l’anonimato) ha infatti confidato a Fraser di essere stato tenuto all’oscuro di tutte le decisioni politiche anti-Covid.
Secondo l’ex titolare all’Economia, inizialmente il consiglio dei “tecnici” era cauto. Si doveva tenere aperto il più possibile, il più a lungo possibile. Fu l’arrivo di Neil Ferguson e del suo team di esperti dell’Imperial College a determinare le decisioni fondamentali. Ferguson, con il suo modello matematico, aveva previsto mezzo milione di morti se non fossero state adottate subito misure di stampo cinese contro il Covid. Il suo “Rapporto 9” fu la causa della grande paura che determinò tutte le scelte successive.
Una volta che si optò per la politica restrittiva più dura, ai ministri venne di fatto ordinato di non fare più domande. Si doveva solo “seguire la scienza”. Non si poteva neppure discutere di eventuali (ed ovvi) effetti collaterali di una politica così invasiva. «Il copione prevedeva di non prenderli neppure in considerazione. Era solo: non c’è alcun calcolo costi e benefici, farlo (il lockdown, ndr) per la nostra salute fa bene anche all’economia». A fare domande, secondo il ministro uscente, non si ottenevano risposte: «era come un muro». In una riunione di governo pose la questione degli effetti della chiusura delle scuole: «Ero molto indignato su questo punto, dissi: lasciate perdere l’economia, sicuramente siamo tutti d’accordo sul fatto che tenere a casa i ragazzi da scuola sia un incubo, o dissi qualcosa di simile. Ci fu un grande silenzio. Era la prima volta che qualcuno lo faceva notare, ero così furioso!».
Sunak sollevò anche il problema di una campagna di informazione basata sul terrore e delle sue possibili conseguenze di lungo periodo. Diffondendo la paura di uscire, l’economia (che si basa sui consumi, sul movimento, sui contatti fra persone, in ultima istanza) sarebbe ripartita molto più difficilmente. «In ogni riunione, cercavamo di dire: basta con la narrazione del terrore. Era sbagliata sin dall’inizio. Ho sempre detto che fosse sbagliata». La paura, diffusa a piene mani dai media e dalla comunicazione governativa, si era però impossessata dello stesso governo. E qui subentra il secondo aspetto grave della testimonianza di Sunak: la delega di tutte le decisioni più importanti al Sage, l’equivalente britannico del nostro Comitato Tecnico Scientifico.
Il Sage, da organo consultivo, venne di fatto elevato al rango di ente governativo, con il potere di decidere quando il Paese avrebbe potuto riaprire o no. Per un anno determinò le sorti di decine di migliaia di persone e dell’economia britannica nel suo complesso. Oggi Sunak riconosce: «Non avremmo dare tutto quel potere agli scienziati, così come abbiamo fatto». E l’altra lezione che trae dall’esperienza è: «Dovresti calcolare il rapporto fra costi e benefici, sin dall’inizio. Se lo avessimo fatto, oggi saremmo in un posto molto diverso».
«Non è stato solo un problema di virus» – commenta Lord Sumption (ex giudice della Corte Suprema) sul Sunday Times dopo aver letto l’intervista a Sunak – «un’autocrazia strisciante si è impossessata del governo e ha sopraffatto un premier debole. E lo ha fatto perché le difese della nostra democrazia sono saltate». Almeno però in quel di Londra qualcuno recita il mea culpa. In Italia no, anzi i responsabili di una politica ancor più dura sono tuttora intenti a vantare il loro presunto ruolo salvifico.