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Gli angeli nelle Sacre Scritture - Il testo del video

L’angelologia dell’Antico Testamento è incentrata soprattutto sull’unicità di Dio, con gli angeli al Suo servizio. Nel Nuovo Testamento risalta il loro ruolo di mediatori di Cristo, vero Dio e vero uomo. A ciò si contrappone l’azione degli angeli decaduti, su cui parlano chiaro sia l’AT che il NT.

Catechismo 25_06_2023

Proseguiamo la nostra catechesi sugli angeli. La scorsa volta abbiamo fatto una riflessione più generale, per capire l’importanza di tornare a parlare degli angeli, di reinserire l’angelologia all’interno del discorso teologico, anche per il particolare contesto in cui viviamo, un contesto di secolarizzazione, demitizzazione, eccetera.

Oggi entriamo un po’ di più nell’argomento e vediamo la testimonianza delle Sacre Scritture riguardo alla presenza degli angeli. È sempre un discorso su due versanti: gli angeli buoni e gli angeli cattivi. Quindi cerchiamo di rispondere alla domanda: qual è la testimonianza dei libri sacri, dei libri della Bibbia, relativamente all’esistenza, alla presenza, alla missione degli angeli?

La nostra lezione si dividerà, classicamente, in due parti: ci occuperemo prima dell’Antico Testamento e poi del Nuovo Testamento. Non abbiamo la pretesa di esaurire il discorso, ma di dare alcune linee, alcune coordinate, anche qualche esempio per permettere di capire.

Per quanto riguarda l’Antico Testamento, lo dobbiamo suddividere in due periodi importanti, due periodi della storia d’Israele, ma anche della compilazione dei libri sacri dell’AT, cioè: 1) il periodo pre-esilico; 2) il periodo post-esilico.

L’evento spartiacque della storia di Israele è appunto l’esilio di Babilonia (597-538 a. C.), gli anni dell’esilio - lontano dalla terra di Israele, lontano dal Tempio - che hanno segnato chiaramente la storia di Israele.

Quando ci occupiamo del periodo pre-esilico, troviamo che l’angelo viene espresso con la parola ebraica mal’ak, che indica generalmente il messaggero: dunque, è il messaggero di Dio, messaggero di Yahweh o solo il messaggero. Con questo termine viene evidenziata la sua missione, cioè il suo essere portatore di un messaggio, il suo essere inviato, piuttosto che la sua natura vera e propria. La prima indicazione importante che ci forniscono i testi già del periodo pre-esilico è la subordinazione di questi spiriti celesti, di questi messaggeri, a Dio. Di fronte a un mondo pagano che in qualche modo conosceva una pluralità di divinità e attribuiva a queste entità spirituali una vera e propria natura divina, nell’AT l’affermazione dell’unicità di Dio prevale in modo netto. E dunque gli angeli, questi messaggeri, sono posti al servizio di Dio e sono subordinati a Dio.

La seconda caratteristica di questo gruppo di scritti riferiti al periodo pre-esilico sta nel fatto che molto spesso l’angelo è identificato con Dio stesso; non sempre e non in tutti i testi c’è una distinzione dell’angelo come qualcuno di diverso da Dio, dall’unico Dio. Per esempio, tra i testi più classici c’è il libro della Genesi, dove, al capitolo 31, viene narrata la lotta di Giacobbe con l’angelo: ora, questo angelo, in realtà, si rivela come Dio stesso. Dunque, Giacobbe lotta con Dio: quando lotta con l’angelo, lotta con Dio. E la stessa cosa l’abbiamo in un altro libro importantissimo, il libro dell’Esodo, dove si parla della teofania (cap. 3), la manifestazione di Dio a Mosè nel roveto ardente; e anche qui si parla dell’angelo, ma in realtà poi nel testo si comprende che è Dio stesso che parla.

Questo aspetto particolare dell’AT - di questi testi precisi, tratti come abbiamo visto dalla Genesi e dall’Esodo in particolare, che sono testi importanti, centrali - ha dato origine a due filoni interpretativi dei Padri della Chiesa e dei grandi Dottori. E cioè: 1) il primo filone ritiene che l’angelo di Dio, in questi episodi, in questi testi dove non è chiara la distinzione, sia una manifestazione anticipatoria del Verbo, che avrebbe poi assunto la natura umana, che si sarebbe dunque rivelato con delle sembianze umane: non che non fosse vero uomo, intendiamoci, ma poteva apparire riconoscibile come uomo; 2) un altro filone ritiene invece che si tratti veramente di creature angeliche, quindi non di manifestazioni del Figlio di Dio, ma rivestite dell’autorità di Dio; e dunque, in questo senso, ritenute Dio stesso, non in virtù di loro stesse, ma in virtù dell’autorità di cui erano state rivestite.

C’è un discorso di sant’Agostino, il Discorso 7, che è stato da lui tenuto nel periodo della Quinquagesima, proprio sull’episodio del roveto ardente (Esodo 3). Ora, in questo Discorso, sant’Agostino dimostra di conoscere queste due linee interpretative e dice che sono entrambe legittime. Leggiamo un testo importante per questa questione, vedendo come sant’Agostino risolve il “problema” dell’identificazione dell’angelo in questi testi dell’AT.

Scrive sant’Agostino: «Se poi colui che parlava a Mosè, chiamato sia angelo del Signore sia Signore, fosse la stessa identica persona, è molto difficile stabilirlo; non lo si può affermare temerariamente ma bisogna prudentemente investigare. Due sono le opinioni che qui si possono portare; qualunque delle due sia la vera, tutte e due sono secondo la fede». Cioè, sant’Agostino dice che in entrambi i casi non andiamo contro la fede, contro la regula fidei. E infatti sant’Agostino aggiunge che «non dobbiamo ritenere un senso contrario alla regola della fede, alla regola della verità, alla regola della pietà» queste due opinioni. Vediamo quindi l’importanza del riferimento alla regola della fede.

1) Prima ipotesi. Dice Agostino: «Alcuni affermano che è stato chiamato sia angelo del Signore che Signore perché si trattava di Cristo, di cui chiaramente afferma il profeta che è angelo del gran consiglio (Is 9, 6 ). Angelo è un nome che indica l’ufficio, non la natura. In greco infatti si chiama angelo chi in latino è detto messaggero. Messaggero è nome che indica azione: chi agisce, cioè annunzia qualcosa, si chiama messaggero. Chi negherà che Cristo ci abbia annunziato il regno dei cieli?». Cioè, Cristo è realmente messaggero e dunque propriamente lo si può chiamare angelo: questa è la giustificazione del primo filone, che identifica l’angelo di questi testi con Cristo.

2) Seconda ipotesi. Scrive ancora sant’Agostino: «Altri affermano che fu veramente un angelo del Signore, non Cristo, ma un angelo inviato; costoro debbono provare perché è stato chiamato Signore». Come gli altri hanno dovuto provare perché il Signore è stato chiamato angelo, questi altri devono provare perché l’angelo viene chiamato Signore. «Ed essi spiegano: “Come nelle Scritture parla il profeta e si dice che è il Signore a parlare, non perché il profeta è il Signore ma perché il Signore è nel profeta, così quando il Signore si degna di parlare attraverso un angelo, come attraverso un apostolo, come attraverso un profeta, si può rettamente chiamare angelo per se stesso e Signore perché Dio è in lui”».

Dunque, come visto, sant’Agostino spiega le due linee interpretative e dice che nessuna delle due è contraria alla fede.

Dopo l’esilio, c’è un’esplosione della presenza angelica nei testi dell’AT. E l’angelologia si sviluppa probabilmente - si tratta di un’ipotesi dal punto di vista storico - per il venir meno in qualche modo del rischio di politeismo, che suggeriva più prudenza nella fase pre-esilica. Come sappiamo, Israele era stato punito con l’occupazione, la distruzione del Tempio e l’esilio a causa della sua idolatria. Dunque, in questa prima fase c’è una certa titubanza a parlare molto liberamente degli angeli. Nella seconda fase c’è invece, per così dire, un’esplosione della presenza angelica nei testi sacri. Ora, se confrontiamo questi due periodi, troviamo che caratteristica del periodo pre-esilico è il fatto che gli angeli sono menzionati anzitutto come coro: un coro che celebra le lodi di Dio, che adora Dio e, nei testi, viene chiamato assemblea dei santi, figli di Dio, consiglio dei santi. I santi, in questi testi, non sono i santi come li intendiamo noi, cioè uomini che si sono salvati, sono stati deificati, sono entrati nella gloria di Dio, ma gli angeli in senso proprio, che ovviamente partecipano della santità di Dio e perciò sono detti anche santi. Oppure, un’altra configurazione è quella di schiera, esercito incaricato di compiere l’ordine di Dio.

Quindi, sono due presenze collettive: la prima, una presenza liturgica, di lode, di glorificazione, come leggiamo nei Salmi, «lodate Dio, voi angeli...»; l’altra è la presenza, invece, di questo esercito di Dio: da qui, il nome di Deus Sabaoth, cioè «Dio degli eserciti», «Dio delle schiere», che è stato infelicemente tradotto in italiano come «Dio dell’universo», ma in realtà sta proprio per «Dio delle schiere celesti», degli angeli. L’esempio forse più conosciuto è quello che troviamo nel libro di Giosuè (5, 14) - quando Giosuè, prima della presa di Gerico, vede un angelo di Dio che va da lui e dice che è «il capo dell’esercito del Signore».

Ancora, abbiamo un riferimento molto esplicito ai cherubini, che hanno la missione, la particolarità di essere anzitutto il trono di Dio: ecco l’espressione «Dio, che siede sui cherubini» (Sal 98, 1). Per questa ragione i cherubini erano stati rappresentati per ordine di Dio stesso (che si era rivelato sul Sinai a Mosè) sul Kapporet, cioè sul “coperchio” dell’Arca dell’Alleanza, con i cherubini che si dovevano guardare frontalmente e la gloria di Dio che discendeva su di loro.

O ancora, pensiamo ai cherubini come ai guardiani del luogo santo: quando Dio caccia Adamo ed Eva dal paradiso terrestre pone i cherubini a guardia della dimora e dell’albero della vita (cf. Gn 3, 24); inoltre, i cherubini vengono rappresentati nella tenda, all’interno del tempio, nel tabernacolo, cioè nella parte sacra, separando il Santo dal Santo dei Santi. Dunque, sono i guardiani del luogo sacro e sono il trono stesso di Dio.

Nel secondo periodo, quello post-esilico, vediamo invece che gli angeli svolgono una mediazione. Emerge questa componente più forte della presenza angelica. Una mediazione discendente e una mediazione ascendente. Facciamo un esempio. La mediazione discendente è la mediazione tra Dio e gli uomini e quindi [gli angeli] esercitano una missione presso gli uomini. Classico esempio è l’arcangelo Raffaele nel libro di Tobia o anche l’arcangelo Michele nel capitolo 12 del libro di Daniele. O ancora, la mediazione angelica nella rivelazione profetica. Per esempio, nel libro di Daniele, ai capitoli 8 e 9, ci sono due visioni, due rivelazioni che ha Daniele. Ed è l’arcangelo Gabriele che spiega a Daniele il senso di queste rivelazioni. Una è la rivelazione del capro e del montone; l’altra, importantissima, è quella delle settanta settimane che avrebbero portato alla venuta del Cristo.

Cosa molto importante: l’Antico Testamento afferma anche la presenza di angeli malvagi. Li presenta sempre, per così dire, come molto distanziati, periferici, infatti sono posti nei luoghi deserti. Pensiamo ad Azazel (cf. Lv 16, 8.10.26), che è il demone del deserto, al quale si mandava il famoso capro espiatorio; non gli si offriva evidentemente il capro, ma gli veniva mandato il capro in segno di espiazione, di allontanamento dei peccati dalla vita di Israele, verso il deserto dove c’era Azazel. Pensiamo agli abissi, al Leviatano (cf. Sal 74, 14; 104, 26; Is 27, 1), questa famosa figura che è un demone degli abissi. Pensiamo ai cosiddetti tanninim, cioè i mostri marini, anch’essi mostri degli abissi (presenti in più punti, come, per es., Sal 73, 13). Oppure pensiamo ad Asmodeo, il demone presente nel libro di Tobia (cf. 3, 8. 17).

Quindi, questi angeli decaduti vengono nominati, hanno un nome. Un altro nome che ricorre è Satàn, Satana, che è l’accusatore: lo ritroviamo, per esempio, nel libro di Giobbe (1, 6-12). Satàn va davanti a Dio ad accusare, in qualche modo, Giobbe. C’è poi la sintesi dei libri sapienziali. Nel libro della Sapienza abbiamo la famosa frase: «La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo» (Sap 2,24), il che spiega il capitolo 3 del libro della Genesi, dove il serpente è proprio il diavolo.

Quello che è importante è che l’AT nega un dualismo, cioè nega che ci siano due entità paritarie, come Dio, il buono, e Satana, il cattivo: Dio il buono, con i suoi angeli buoni, e Satana il cattivo, con i suoi angeli cattivi, come se fossero entrambi divinità, come se fossero entrambi della stessa natura divina: non è così. Per l’AT è chiarissimo che gli angeli buoni sono subordinati a Dio; anche gli angeli cattivi costituiscono una reale forza malvagia, ma non è pari a Dio; cercano di rovinare il piano di Dio, ma sono sottoposti e sottomessi a Dio. Quindi, questa visione del mondo degli angeli malvagi e ribelli, come descritta nell’Antico Testamento, è un “guadagno” importantissimo per comprendere la verità degli angeli.

Se passiamo al Nuovo Testamento, troviamo che sia la presenza degli angeli buoni che degli angeli cattivi è veramente dappertutto. Ma c’è una caratteristica nel NT che chiaramente risponde al fatto che Cristo, il Figlio di Dio, è venuto, si è incarnato. Troviamo che gli angeli buoni e cattivi ruotano, in qualche modo, attorno alla presenza di Cristo e del Regno di Dio. Cioè tutta loro presenza, in bene e in male, è legata alla presenza di Gesù Cristo e alla presenza della Sua Chiesa e all’edificazione del Regno di Dio.

C’è un’immagine chiarissima che troviamo nel Vangelo di Giovanni, al capitolo 1, quando Gesù dice: «Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo» (Gv 1,51). Cioè il Figlio dell’uomo ha, per così dire, un effetto catalizzante nei confronti degli angeli. Gli angeli sono al Suo servizio e vivono in qualche modo della Sua mediazione; la loro mediazione è subordinata e legata a quella di Cristo.

È da notare anche come la presenza degli angeli è fortissima in due momenti cruciali della vita di Cristo, cioè nei racconti della Natività, nel Vangelo di Luca (capitoli 1-3), dove vediamo gli angeli presenti che cantano la gloria di Dio; e li troviamo al momento della Risurrezione, nel sepolcro vuoto, nell’annuncio alle donne. Questo sta a indicare appunto il loro essere totalmente al servizio di Cristo.

Un aspetto che è molto importante sottolineare è che nel NT troviamo quello che potremmo chiamare un dualismo, ma non ontologico. In che senso? Nel senso che, con la venuta di Cristo, gli schieramenti si dividono: la neutralità è impossibile. E dunque abbiamo Cristo e i Suoi angeli e coloro che aderiscono a Cristo, da una parte; e dall’altra parte, abbiamo Satana con gli angeli ribelli e coloro che mediante il peccato vogliono aderire e aderiscono di fatto al demonio. Lo scontro è frontale. Questo è il senso degli esorcismi, narrati soprattutto nel Vangelo di Marco, e del lamento dei demoni che riconoscono Cristo, «io so chi tu sei: il Santo di Dio!» (Lc 4, 31-37). Come dire, la battaglia, lo scontro è arrivato al suo momento fondamentale: i demoni sanno che è arrivato il Vincitore, è arrivato Cristo. Ora, a questo apparire di Cristo, le potenze degli inferi si scatenano.

Il NT, da questo punto di vista, ha un linguaggio chiarissimo, inequivocabile. Prendiamo un esempio. Nella Prima Lettera di san Giovanni (1 Gv 5,19) viene detto chiaramente come gli angeli malvagi e Satana siano i dominatori di questo mondo, sotto il cui dominio finiscono coloro che commettono il male; di nuovo, la Prima Lettera di san Giovanni (1 Gv 3,8) dice che chi commette il peccato viene dal diavolo. Se da san Giovanni ci spostiamo a san Paolo, vediamo che anche l’universo in qualche modo risulta come saturo dei demoni. Pensiamo alle due espressioni della Lettera agli Efesini: la prima, dove san Paolo parla del «principe delle potenze dell’aria» (Ef 2,2); la seconda, in cui si legge degli «spiriti del male che abitano le regioni celesti» (Ef 6,12). Quindi non solo il mondo degli uomini, ma in qualche modo l’universo è saturo della presenza degli angeli malvagi.

Come dicevamo, il NT conosce un’esplosione della presenza angelica, degli angeli buoni e degli angeli cattivi. Solo la parola “Satana” ricorre ben 34 volte, “diavolo” 33 volte, “il maligno” 12 volte, di cui una è quella che termina il Padre Nostro, dove non chiediamo di essere liberati dal male in generale, ma dal maligno. E poi abbiamo altri termini che ricorrono più raramente ma che vanno in qualche modo a rimpolpare la presenza del vocabolario legato alla sfera demoniaca, come per esempio “il nemico”, “l’avversario” o “Beelzebul”.

Tutto questo indica appunto una presenza forte degli angeli, in questo caso cattivi, nel NT. Per quale ragione? È un pessimismo? No, è perché la missione di Cristo è primariamente, precisamente, quella di «distruggere le opere del diavolo» (1 Gv 3,8), come dice san Giovanni nella sua Prima Lettera. Cristo viene per distruggere le opere del maligno, per distruggere le opere del diavolo, per cacciare il diavolo che aveva occupato tutti gli spazi della vita dell’uomo e del cosmo. È questo il grande senso degli esorcismi di Cristo: una delle primissime cose che Cristo fa non è guarire, ma scacciare i demoni. E lo stesso faranno gli Apostoli. Gesù è presentato nei Vangeli - vedi la famosa parabola di Luca al capitolo 11 - come l’uomo più forte che sconfigge l’uomo forte. In quella parabola c’è l’uomo forte che custodisce la casa e poi arriva uno più forte di lui che gli strappa tutto e lo caccia via. Ecco, questo uomo più forte, che è venuto a scacciare l’uomo forte, è Cristo, che è venuto a scacciare il maligno.

Sconfitto da Cristo nella Sua Incarnazione e soprattutto nella Sua Passione, Morte e Risurrezione, il demonio - come presenta chiaramente il libro dell’Apocalisse al capitolo 12 - va a far guerra alla Sua discendenza, alla Chiesa. E lo fa, come spiega il libro dell’Apocalisse al capitolo 13, mediante i poteri di questo mondo, le famose due bestie: la bestia che sale dal mare e la bestia che sale dalla terra. Il potere: il potere politico e il potere di seduzione, le due bestie dell’Apocalisse. Non solo il demonio agisce tramite queste due bestie, queste due strutture, ma va in giro anche a vagliare ogni uomo: il famoso testo della Prima Lettera di san Pietro ci dice che «il diavolo come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare» (1 Pt 5,8).

Ma questa attività del maligno ha un limite e ha un termine. Cioè, ha un limite la sua seduzione nei confronti delle singole persone, ma anche il suo architettare Babilonia, cioè il mondo delle due bestie architettato dal drago ha un limite: il famoso non praevalebunt, «non prevarranno». Ha anche un limite temporale: sempre il libro dell’Apocalisse mostra che Satana sarà incatenato una volta per tutte nello stagno di fuoco dove vengono incatenate anche le due bestie (Ap 20,10).

Sul versante degli angeli buoni, nel NT troviamo che essi, così come sono di aiuto al ministero di Cristo, così vengono in aiuto alla Chiesa militante. Con l’Ascensione di Gesù, gli angeli, dal servire il Cristo nel suo corpo fisico, passano a servirlo nel Suo corpo mistico. La Lettera agli Ebrei spiega: «Non sono tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza?» (Eb 1,14). Dunque, vediamo come la missione angelica si “sposta” nei confronti della Chiesa e di coloro, come dice la Lettera agli Ebrei, che devono ereditare la salvezza. In questo senso, comprendiamo la grande presenza degli angeli negli Atti degli Apostoli.

Negli Atti degli Apostoli abbiamo diversi episodi; il primo lo troviamo al capitolo 5, 19, quando il sommo sacerdote fa arrestare gli apostoli e gli angeli intervengono per liberarli dalla prigione pubblica. Episodio analogo, al capitolo 12, è quello dell’arresto di Pietro, che viene messo in carcere, ma arriva l’angelo che lo libera. Oppure, sul finire degli Atti degli Apostoli, al capitolo 27, 23-24, quando Paolo sta per avere un naufragio, un angelo gli appare e gli dice di stare tranquillo, con i suoi compagni di viaggio, perché lui dovrà comparire a Roma. E gli preannuncia dunque che uscirà illeso, vivo, dal naufragio. Così come gli angeli malvagi subiranno una sconfitta definitiva quando Cristo tornerà nella gloria, antiteticamente gli angeli buoni accompagneranno Cristo quando verrà nella gloria (cfr. Mt 24,31).

Dunque, vediamo questo percorso che matura dall’AT: l’angelologia dell’AT è soprattutto incentrata sull’unicità di Dio, dunque gli angeli come creature al servizio di Dio (non come dèi o semidèi), gli angeli come coro che adora Dio o come schiere mandate da Dio per eseguire i Suoi ordini, gli angeli come mediatori di Dio; nel NT, gli angeli diventano i mediatori di Cristo, che è il vero Dio, cioè si configura maggiormente il loro essere in qualche modo attorno a Cristo, per servirlo, per adorarlo, nel caso degli angeli buoni; per insidiarlo e combatterlo, nel caso degli angeli malvagi.

Ci sono altri passi delle Scritture che non abbiamo citato, perché è impossibile citarli tutti; ma questa carrellata permette di capire che le Scritture parlano, e abbondantemente, della presenza angelica e della presenza demoniaca. La pretesa di ridurre a mitologia queste affermazioni veterotestamentarie e neotestamentarie significa veramente svuotare il senso più denso, più importante, più forte delle Scritture, in particolare del NT, il quale sottolinea proprio l’importanza di questa venuta di Cristo e di questo scatenarsi, dall’altra parte, del potere delle tenebre che riconosce in qualche modo che è venuta la sua ora. E inoltre significa non comprendere più la grande battaglia che la Chiesa ha da compiere nella sua storia, assistita, protetta, servita dagli angeli buoni, e dall’altra parte insidiata dal maligno. Dimenticare questa dimensione significa non comprendere più qual è la vera cifra della Storia, cioè questo grande combattimento nel quale noi siamo dentro.

La prossima volta, se Dio vuole, vedremo la presenza degli angeli nella Tradizione della Chiesa e in particolare nei Padri.