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LA STORIA

Giuseppe, il maestro dei presepi preferito dai Papi

Lo chiamano tutti “il re dei Presepi”, ma lui, Giuseppe Motta, classe 1953, ritiene di essere semplicemente un uomo appassionato di Dio, “in debito” con il Gesù Bambino che gli è sempre stato accanto. Da 28 anni, Giuseppe costruisce e vende in Italia e all’estero statuine del presepe oltre a organizzare corsi nelle scuole.

Cronaca 01_12_2015
Giuseppe Motta, con la lettera di papa Francesco

Ancora oggi, nei giorni d’inverno in cui è già buio alle cinque di pomeriggio, mi sembra sentire un irresistibile odore di legno, muschio, carta macerata. É il momento di fare il presepe», dice Giuseppe Motta, classe 1953, che da 28 anni a Groppello d’Adda costruisce e vende in Italia e all’estero statuine del presepe oltre a organizzare corsi nelle scuole e nelle parrocchie. É lui l’autore della Natività con i quattro Papi (Giovanni XXIII e Wojtyla, Benedetto e Francesco) che l’anno scorso ha ricevuto dal Sommo Pontefice una lettera di incoraggiamento. Non si sente però il re dei Presepi, come tutti lo chiamano. Ritiene di essere semplicemente un uomo appassionato di Dio, “in debito” con il Gesù Bambino che gli è sempre stato accanto. 

Quando era piccolo aiutava suo padre ad allestire il presepe. Ora ricorda che in famiglia lavoravano giorni e giorni per costruire la mangiatoia, tracciare il percorso dei ruscelli, far splendere le stelle nel cielo, sistemare la paglia che il 25 dicembre avrebbe accolto il Salvatore. C’era poi il rito della Cometa, il giorno dell’Epifania e la discussione sulla direzione da dare alla stella dei Magi: se Gasparre, Melchiorre, Baldassarre venivano da Oriente, la scia luminosa doveva essere collocata a Occidente in modo da segnare la direzione verso il Bimbo, Figlio di Dio. Quelle prime nozioni di “geografia-astronomica” erano preziose lezioni di vita: «ognuno di noi ha una cometa da seguire e le sue luci sono visibili già nei primi anni d’infanzia». 

Erano i favolosi anni Sessanta e le famiglie cattoliche, invece dell’abete natalizio, simbolo di festa per i popoli del Nord, preferivano il presepe che diventava da fine novembre all’Epifania un vero e proprio laboratorio di creatività domestica. «La domenica pomeriggio con mia madre e mio padre», racconta Giuseppe, «andavo per boschi alla ricerca di legnetti, ghiaia, cortecce di pino ricoperte di licheni. E il lavoro di completamento continuava fino a quando le statuette dei Magi prendevano posto sempre più vicino alla capanna». Oltre alla rappresentazione della Natività della famiglia Motta c’era quella che Giuseppe faceva nella parrocchia di San Bartolomeo a Groppello con don Luigi Penati. 

«Da lui ho appreso la tecnica della carta, la colorazione con le terre, il gioco della luce. Ma non solo: ho captato il senso di questa raffigurazione sacra». Con il “don” Giuseppe ha capito che il presepe rappresenta l’inizio della vita terrena di Gesù, bambino povero, senza casa costretto a nascere in una mangiatoia perché non c’era posto in albergo per la sua famiglia. «Grazie a quelle prime meditazioni concrete con padre Luigi ho imparato a guardare con occhi diversi i poveri della mia classe, i bambini malvestiti del mio quartiere, gli immigrati che, allora, erano i meridionali». 

L’idea di come sottolineare il valore della natività e di rendere comprensibile il suo messaggio ha continuato a catturare l’attenzione di Giuseppe per tutta la sua adolescenza e buona parte della giovinezza, periodo in cui ha frequentato corsi d’arte del presepio in varie parti d’Italia. «Poi mi sono sposato», continua, «e ho condiviso questa passione con mia moglie Rachele e con i miei figli. Contemporaneamente lavoravo come informatico per mandare avanti la famiglia e mi dedicavo alla passione per il presepe solo nel tempo libero che coincideva con le ore rubate al sonno. Nei pomeriggi di sabato e domenica per tutto il tempo d’Avvento, seguendo l’esempio di mio padre, andavo con Rachele e i miei figli per boschi a cercare muschio, legnetti, ghiaia. Fare il presepe voleva dire spiegare la vita e l’infanzia di Gesù ai miei bambini, significava andare nelle loro scuole a parlare di Natività cercando di allestirne la scenografia. Voleva dire evangelizzare con le immagini, con il lavoro manuale, con il gioco delle statuette». 

Giuseppe ha creato presepi nelle palestre, nelle aule, nelle strade di quartiere, nelle cittadine vicino a Groppello d’Adda. Intanto si occupava di codici, database, linguaggi software: il lavoro gli piaceva, ma sotto-sotto sentiva un senso di estraneità rispetto a quell’ambiente. I suoi figli erano ancora piccoli quando è arrivata la lettera di licenziamento.  Non si è perso d’animo, anzi. Nei giorni seguenti la brutta notizia ha cominciato a pensare intensamente alla Cometa, a quale poteva essere la sua direzione. Ha chiesto aiuto nella preghiera al Bambino che tante volte nella sua vita aveva deposto sulla paglia della mangiatoia e nel giro di qualche mese dopo il licenziamento ha cominciato la sua attività di presepista. La passione è diventata una professione. «Svolgo questo lavoro non avendo come obiettivo il guadagno, l’orientamento che seguo è quello di far conoscere la nascita di Gesù ai bambini e agli adulti. La Provvidenza è venuta con generosità in mio soccorso: sono riuscito a portare avanti la mia famiglia facendo un lavoro che amo profondamente. Fare il presepe per me è una forma di meditazione durante la quale metto in campo azioni, pensieri, immaginazioni, emozioni che riportano continuamente ai racconti evangelici, al Vecchio e Nuovo testamento: la mangiatoia, l’adorazione dei pastori, gli angeli nel cielo, il bue, l’asinello… Tutto questo materiale non è solo simbolo religioso, ma “luogo” in cui si identifica un’intera comunità, rappresenta il modo in cui Dio si inserisce nelle vicende umane». 

Giuseppe ripete sempre ai genitori che è importante che i piccoli facciano il loro presepe così mettono Gesù nella loro storia, nella famiglia di Nazareth che è anche la loro famiglia. Il presepe ha una grande funzione educativa: ci abitua a un’idea di Dio che non è Re Irraggiungibile, ma un bambino indifeso come noi. Questo è vero, però, se non facciamo della Natività un allestimento da competizione con cui mettere in mostra il nostro ego.  C’è un grande ritorno al presepe fra i bambini del mondo: Usa, Spagna, Inghilterra, Austria. Questi Paesi sono gli interlocutori con cui Giuseppe ha contatti quasi quotidiani. «Un ritorno che, spero, possa significare anche riconciliazione delle famiglie che intorno al Presepe riscoprono la loro identità, la loro missione d’amore», conclude. 

Nell’autunno 2016 i presepisti di venti nazioni del mondo si incontreranno a Bergamo in un convegno Internazionale sul Presepe. Anche quest’anno dall’8 dicembre 2015 al 10 gennaio 2016 sarà aperta la XXVIII Mostra dei Presepi presso l’ex Chiesa di Maria Nascente a Groppello d’Adda e sarà visibile il Presepe Sotto le Stelle lungo il Naviglio Martesana.