Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico
ELEZIONI

Giorni decisivi negli Usa, la Georgia vota per il Senato

Scontro al calor bianco negli Usa. La partita più importante si gioca in Georgia dove si determina oggi chi avrà la maggioranza in Senato. Ma una telefonata di Trump occupa tutta la scena. Chiede di far chiarezza sui voti nello Stato ed è subito "golpe". E domani il Congresso certificherà il presidente.

Esteri 05_01_2021
Ultimo giorno della campagna elettorale in Georgia

Scontro al calor bianco negli Stati Uniti, in vista dei due appuntamenti politici che possono cambiare la storia dei prossimi quattro anni. La partita più importante si gioca in Georgia il 5 gennaio (oggi, per chi legge) con i due ballottaggi per l’elezione di due senatori, gli ultimi che mancano all’appello dopo l’election day. La vittoria di almeno uno dei due, consentirebbe al Partito Repubblicano di dominare la camera alta del Congresso e condizionare in modo decisivo la politica del prossimo presidente. L’altra partita importantissima si giocherà il 6 gennaio (domani per chi legge) ed è il voto al Congresso per certificare la vittoria di Joe Biden. Solitamente era una passeggiata, un gesto solo formale, ma questa volta la maggioranza repubblicana in Senato promette battaglia. Ad accendere ulteriormente gli animi è una telefonata di Trump, pubblicata dal Washington Post. In Georgia, pure in questo caso.

La telefonata del presidente era indirizzata al segretario di Stato georgiano, Brad Raffensperger, responsabile per le operazioni di voto, riconteggi inclusi. Il voto in Georgia è stato conteso, a dir poco, fino all’ultima scheda. Joe Biden risulta vincitore per poco meno di 12mila voti in uno Stato di oltre 10 milioni e mezzo di abitanti. La conta è stata rifatta tre volte e il vincitore è sempre risultato Biden. Le cause intentate dai repubblicani per sospetti di frode elettorale sono state respinte dalla magistratura locale. La Casa Bianca resta però convinta che vi siano state irregolarità. E’ della Georgia il video in cui si vede, in un seggio chiuso, un gruppo di scrutatori rimasti al suo interno che estraggono borse piene di voti da sotto i banchi dello spoglio. YouTube ha rimosso quel video con una fretta inquietante. I sospetti che Trump ha elencato a Raffensperger sono quelli ormai noti: morti che votano, elettori che non erano residenti in Georgia, risultati statisticamente dubbi e soprattutto un massiccio intervento di voti postali la cui autenticità non può essere verificata.

La telefonata di Trump al segretario di Stato (repubblicano anche lui) una volta pubblicata dal Washington Post è entrata subito nell’elenco dei “tentativi di Trump di minare il processo democratico”. I Democratici chiedono che sia aperta un’indagine. I repubblicani al contrario lo difendono, affermando che Trump avesse tutto il diritto di chiedere conto, ancora una volta, di indagare sul voto georgiano. Il presidente, insomma, “non stava chiedendo al segretario di Stato di creare, dal nulla, un certo numero di voti col quale vincere le elezioni – dichiara il deputato repubblicano Jody Hice a Newsmax - Quel che dice è ciò che tutti noi sappiamo: ci sono decine e decine e decine di migliaia di voti non validi in Georgia, probabilmente centinaia di migliaia, e il presidente sta semplicemente dicendo: indaghiamo su quei voti. Vediamo cosa è valido e buttiamo via i voti fraudolenti, così da avere un conteggio preciso”. Il candidato al Senato David Perdue, ieri, nel suo ultimo giorno di campagna elettorale, ha anch’egli difeso Donald Trump: “In quella registrazione non ho sentito nulla che il presidente non abbia già detto per settimane, sin dalle elezioni di novembre, chiedendo un’indagine, una decisione, sulle irregolarità e gli atti impropri che abbiamo visto accadere in novembre, qui in Georgia”.

Con entrambe le parti che si accusano di golpe, si può ben capire la tensione in cui si svolgono queste elezioni per determinare la maggioranza in Senato. Trump, come sempre, è riuscito a occupare “tutto lo schermo” da solo, eclissando la battaglia dei candidati del suo partito e di quello avverso. La sfiducia reciproca e la delegittimazione, per altro, sono molto forti soprattutto in una delle due competizioni di oggi: quella fra la repubblicana Kelly Loeffler e lo sfidante democratico Raphael Warnock. La Loeffler, imprenditrice cattolica, è stata accusata dai Democratici di essere vicina alla setta Qanon. Lei nega di averci a che fare e l’accusa si riduce al fatto che non ha respinto pubblicamente l’endorsement dei suoi membri e simpatizzanti. Il suo rivale Raphael Warnock, pastore protestante afro-americano, è accusato dai Repubblicani di aver ricevuto Fidel Castro nell’ Abyssinian Baptist Church di New York, nel 1995. Warnock nega di aver nutrito simpatie per il defunto dittatore cubano e afferma di essere estraneo ai fatti: era troppo giovane, non aveva deciso lui il programma, non è ancora chiaro se fosse presente in chiesa al momento della visita. Con il consueto doppiopesismo mediatico, i fact checkers convalidano però la tesi di Warnock e smentiscono le accuse nei suoi riguardi, mentre la Loeffler è sempre iscritta nelle “liste nere” dei politici vicini a Qanon.