Giornalisti accusati di stupro, a proposito di deontologia
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Lettera a Sara Giudice, la giornalista coinvolta nelle accuse di stupro: «Oggi lei invoca deontologia professionale dai suoi colleghi, ma anche noi avremmo voluto vedere più deontologia quando lei ha avuto a che fare con Shalom. Spero che possa imparare dalla saggezza del Vangelo di Matteo: “Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”.
Pubblichiamo una lettera che suor Rosalina Ravasio, fondatrice della Comunità Shalom, ha pubblicato sulla pagina Facebook della Comunità a margine del caso che vede coinvolti i giornalisti Nello Trocchia (Il Domani) e Sara Giudice (Piazza Pulita). I due giornalisti sono stati denunciati con l’accusa di stupro da una collega. Senza voler entrare nel merito di una complicata vicenda giudiziaria e nella presunzione di innocenza per entrambi, suor Rosalina riflette qui su un aspetto particolare: il concetto di deontologia professionale che la Giudice avrebbe visto venir meno nel suo caso da parte di alcuni organi di informazione. Ebbene, la Giudice è la stessa giornalista che si occupò della vicenda di Shalom, ingiustamente infangata proprio a Piazza Pulita per accuse rivelatesi false.
Cara giornalista S.G.
Spero che possa imparare dalla saggezza del Vangelo di Mt 7,12: “Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”. È più facile a dirsi che a farsi, vero? Leggo: “Bacio consensuale …” riguardante la denuncia di una giornalista ad un’altra giornalista! Ops, ma tu guarda un po' chi si rivede!
La giornalista, S.G., da noi ben conosciuta, scopre che notizie, fatti, situazioni, possono essere “confezionate” o “imbeccate” da chi ha interesse che le cose siano viste da un'angolazione particolare, viste e percepite secondo un'angolazione preordinata, meglio se negativa o fintamente allarmista, col solo scopo di creare sensazionalismo.
Benvenuta S.G.: quindi ora rinuncia alla “facile” presa sui lettori, dissimulando la realtà sotto il nome di giornalismo d'inchiesta? Come già detto in altre circostanze: un giornalista, per qualsiasi testata esso lavori, non è un “nostro” o “vostro nemico” ma nemmeno un “nostro” (o vostro) amico. Non esiste una ricetta per il rapporto con i giornalisti, ma possiamo considerare due punti:
A) Se, appunto, non “sei amico” del giornalista di turno rischi, a farla molto semplice, di essere messo alla gogna. Anche perché, è ormai evidente, che la maggioranza dei mezzi di informazione ha, quale obiettivo primario, non tanto quello di informare oggettivamente la società nella maniera intellettualmente più onesta, bensì di fare - o creare lo - “scoop” sensazionale che accalappi il favore del pubblico prima che lo faccia qualcun altro, cioè la concorrenza.
B) Spesso, quello che viene definito un “articolo interessante”, può rivelarsi un insieme di parole che non apporta reale informazione, poiché manca un reale approfondimento sui fatti riportati. Quanto è stato scritto sulla nostra comunità è un esempio di questo: una narrazione che, a nostro avviso, non ha considerato il vissuto delle persone coinvolte, ignorando completamente le loro esperienze. Anzi, sono state scritte e raccontate storie “fantastiche” (sia sui residenti che sulle persone che hanno lasciato la comunità) senza un briciolo di dignità e sensibilità, in totale spregio a quello che giornalisticamente è chiamato “un punto fondamentale deontologico per qualsiasi giornalista”: cioè la verifica nei fatti negli accadimenti reali.
Recentemente ho letto sui giornali che una nota giornalista d'inchiesta, nello stesso momento in cui si lamentava dei comportamenti scorretti di alcuni colleghi, è stata accusata di cattiva condotta verso un’altra collega. Questa è la stessa giornalista che, in passato, dopo essere stata per alcune ore davanti ai nostri cancelli, si presentò con decisione e, a nostro avviso, con poca sensibilità, nella casa di un nostro caro volontario, P.G., già gravemente malato e in fase terminale (morirà quindici giorni dopo) tacciandolo di “pseudo reticenza” e di non volere raccontare la verità, in quanto faceva fatica a parlare e a coordinare le parole, essendo nella fase più acuta della sua malattia (tumore dalla testa al pancreas). Lo stato di sofferenza, di debolezza e di decadenza fisica, era molto palese, è stata deontologica questa modalità giornalistica? Grande P., hai combattuto contro il male e la falsità fino all'ultimo. Ora, caro P., godrai della Pace e della Vittoria dei giusti, quelli non giudicati dagli uomini, ma da Dio.
Non voglio dilungarmi troppo, ma vorrei evidenziare alcune parole riportate dai difensori della giornalista sui giornali. Leggo: «Gli articoli sono stati scritti senza rispettare le regole deontologiche che impongono la verifica delle notizie. Di conseguenza, gli articoli contengono informazioni volutamente false».
Bellissimo sentire parlare del «disprezzo delle regole deontologiche» da una giornalista. È davvero curioso sentire invocare il rispetto delle regole deontologiche che dovrebbero regolare il mondo dei giornalisti, ma è confortante sapere che esistono ancora.
Cara giornalista, si ricorda di come ci ha trattati? Del sensazionalismo e delle informazioni che, a nostro avviso, non rispecchiavano la realtà? Oggi lei invoca onestà intellettuale e deontologia professionale dai suoi colleghi, ma anche noi avremmo voluto vedere più giustizia, correttezza e deontologia quando lei ha avuto a che fare con la nostra realtà.
Certamente fra i giornalisti, come in tutti i settori, esistono persone oneste e disoneste. Cercare un'angolazione che sia la più giusta e onesta possibile da parte di un giornalista serio ed impegnato pensavo fosse una cosa “deontologicamente” normalissima e ovvia e comune. Ma così per noi non è stato.
Infine, ho letto un'ultima riflessione da parte della giornalista, sul suo profilo Instagram: «Sapientemente brandelli di frasi vengono cuciti per farci apparire colpevoli». Ha ragione, cara S.G. Spero che possa imparare dalla saggezza del Vangelo in Mt 7,12: “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”.
È più facile a dirsi che a farsi, vero?
*Fondatrice della Comunità Shalom
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