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LA NOVITA' DELL'ORDINE

Giornalismo scientifico, purché sia di qualità

L'Ordine dei giornalisti ha integrato nei doveri anche l'informazione scientifica. In Italia si è creata una polarizzazione tra allarmisti  e minimalisti. In democrazia il dubbio non è un reato, ma è indice di maturità. Sugli effetti del virus così come sull’affidabilità delle vaccinazioni.

Editoriali 30_12_2020

Il Festival della virologia a reti unificate non si ferma. Dopo l’overdose di informazione ossessiva e ripetitiva sul Covid-19, ora è la volta dell’enfasi sui vaccini. Tutti gli scienziati occupano per ore le trasmissioni televisive più gettonate per alimentare il “culto della fiala” e bombardare l’opinione pubblica di rassicurazioni sull’efficacia e l’affidabilità del vaccino e sull’esigenza di inoculare il farmaco nel più breve tempo possibile all’intera popolazione o almeno al 60% di essa, al fine di raggiungere la sospirata immunità di gregge, propedeutica al ritorno alla cosiddetta vita normale.

Col contagocce, invece, nei palinsesti dell’informazione mainstream le notizie sui farmaci anti-Covid e sugli anticorpi monoclonali, che non occupano nemmeno l’uno per mille degli spazi informativi stabilmente monopolizzati dalle celebrazioni del vaccino.

Tutto questo ridimensiona il primato che l’informazione di qualità aveva rivendicato nella prima parte dell’emergenza sanitaria, tra marzo e maggio, e appanna sensibilmente la credibilità della categoria dei giornalisti. Sembra che le coscienze di moltissimi cronisti in prima linea nel raccontare l’evoluzione della pandemia siano anestetizzate. L’appiattimento sulla narrazione dominante del Covid da curare solo in ospedale e da affrontare con intermittenti lockdown è una delle colpe maggiori del giornalismo degli ultimi mesi. Continuano a dominare un allarmismo sensazionalista e una drammatizzazione del dolore che poco hanno a che fare con il diritto di informare e che anzi allontanano i cittadini da una corretta comprensione di quanto sta accadendo nel nostro Paese e fuori dai confini nazionali.

Il bilanciamento tra diritto all’informazione e tutela della salute appare alquanto problematico, considerata l’attesa messianica che circonda il vaccino anti-Covid e le reazioni che si registrano di fronte a manifestazioni di scetticismo sulla sua capacità di farci uscire dalla pandemia.

Non esistono infatti verità assolute e un approccio dogmatico all’argomento rischia di rivelarsi fallace ed è pertanto sconsigliabile. Ecco perché sospendere il giudizio sul vaccino nell’attesa di ulteriori test, e chiarire che farlo non è necessariamente un azzardo ma neppure una semplice formalità, equivale a un atteggiamento di buon senso. Il pluralismo delle opinioni è il sale della democrazia dell’informazione e ogni forma velata o smaccata di pensiero unico sul Covid e sui vaccini non può che essere catalogata come violenza dittatoriale.

In ambito nazionale, per quanto riguarda la produzione di contenuti giornalistici sui vaccini e, in generale, sull’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, va segnalata una novità importantissima in materia di deontologia. Nei giorni scorsi, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha aggiornato il Testo unico dei doveri del giornalista, integrando l’art.6, che prima si intitolava “Doveri nei confronti dei soggetti deboli” e che ora s’intitola “Doveri dei confronti dei soggetti deboli. Informazione scientifica e sanitaria”. Si riconosce, quindi, per la prima volta, una identità professionale specifica al giornalismo scientifico e sanitario. La previsione di un ruolo cruciale per questo segmento di informazione si ricava dalle integrazioni sostanziali che il testo dell’art.6 ha subìto il mese scorso e che si evidenziano in corsivo: «Il giornalista evita nella pubblicazione di notizie su argomenti scientifici un sensazionalismo che potrebbe far sorgere timori o speranze infondate avendo cura di segnalare i tempi necessari per ulteriori ricerche e sperimentazioni; dà conto, inoltre, se non v’è certezza relativamente ad un argomento, delle diverse posizioni in campo e delle diverse analisi nel rispetto del principio di completezza della notizia; c) diffonde notizie sanitarie e scientifiche solo se verificate con fonti qualificate sia di carattere nazionale che internazionale nonché con enti di ricerca italiani e internazionali provvedendo a evidenziare eventuali notizie rivelatesi non veritiere;  d) non cita il nome commerciale di farmaci e di prodotti in un contesto che possa favorirne il consumo e fornisce tempestivamente notizie su quelli ritirati o sospesi perché nocivi alla salute».  Tali modifiche entreranno in vigore il primo gennaio 2021.

Dunque in ambito medico-sanitario e di rappresentazione di situazioni di dolore e disagio, agli iscritti all’Ordine dei giornalisti è richiesto dal Testo unico dei doveri del giornalista del 2016 e da precedenti carte deontologiche (in particolare quella di Perugia del 1995) un saldo ancoraggio alle fonti istituzionali che fotograno evidenze scientifiche, una stabile attitudine alla verifica dei materiali e delle testimonianze a disposizione e una imperturbabile equidistanza da due eccessi ugualmente deprecabili: il sensazionalismo allarmista e l’euforia minimalista.

Il ruolo dei media, come emerge dalla corretta interpretazione dei principi deontologici, non è quello di alimentare pulsioni disfattiste e autodistruttive, né di legittimare comportamenti lassisti e di disimpegno rispetto alle norme dettate a protezione della nostra salute. Invece si è creata una sorta di polarizzazione tra due schieramenti estremisti: gli allarmisti in servizio permanente effettivo e i minimalisti sempre pronti a trovare spunti per paragonare il Covid-19 all’influenza e ad altre patologie del passato.

Visto che nessuno ha la verità in tasca, sarebbe anzitutto doveroso rispettare i punti di vista di tutti, senza però rinunciare a capire e a farsi delle domande. In democrazia il dubbio non è un reato, ma è indice di maturità. Sugli effetti del virus così come sull’affidabilità delle vaccinazioni.