Giocano al jihad, gli studenti pro-Palestina scherzano col fuoco
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Rettorato occupato per due giorni all'università di Torino dalla nuova "Intifada studentesca". Toni, modi e slogan da jihadisti: i collettivi scherzano col fuoco.
Cinquanta studenti “pro Palestina” hanno occupato il rettorato dell’Università degli studi di Torino il 21 maggio. Quel giorno era in programma una riunione del Senato accademico. Gli studenti in lotta pretendevano di parteciparvi per esporre le loro richieste. Ma, per evitare discussioni e incidenti, il rettore Stefano Geuna ha deciso di svolgere la riunione online. Gli studenti hanno reagito recandosi ugualmente alla sede del rettorato e lo hanno occupato. «Resteremo qui finché non si presenteranno i senatori, i consiglieri per la seduta in presenza» dicono.
Già occupati da diversi giorni, con conseguente blocco delle attività didattiche, sono Palazzo Nuovo, storica sede dei corsi di laurea umanistici, il campus Luigi Einaudi, il Politecnico e il dipartimento di fisica. Gli occupanti hanno installato delle tende “a rappresentare il fatto che non lasceremo questi luoghi finché non otterremo quel che chiediamo”. Quello che chiedono, come è noto, è il boicottaggio degli atenei israeliani che, secondo loro, l’università deve adottare “per non dirsi complice di un genocidio”. “Il boicottaggio accademico – sostengono – è l’unico strumento per non essere complici dei crimini di guerra dello Stato di Israele”.
I mass media e le reti social pubblicano le loro rivendicazioni. L’esame di testi, immagini e filmati suscita alcune considerazioni. La prima riguarda il modo in cui, in sintonia con le notizie dagli altri atenei, i fatti vengono presentati: con titoli come Anche a Torino gli studenti universitari hanno deciso di occupare le Università, Altra giornata di mobilitazione per gli studenti torinesi... A parte la sciatteria di molti articoli in cui si parla di “facoltà” occupate, istituti che la riforma Gelmini ha abolito nel 2010, l’idea evocata è di una mobilitazione generale. Invece gli studenti attivi sono qualche centinaio (più gli esponenti di centri sociali come Askatasuna) su un totale di oltre 81mila iscritti all’Università e 39.700 al Politecnico.
Naturalmente è scandaloso che come sempre, sebbene in pochi, riescano a bloccare le lezioni e che, per di più, pur potendo prevedere che ci avrebbero provato, il Rettorato non sia stato presidiato per impedire che lo occupassero. È scandaloso, tanto più che niente induce a credere che siano i portavoce di 120mila studenti o almeno di una parte consistente di essi. In realtà, ed è un fatto su cui riflettere, l’impressione che a loro neanche importi del seguito e del consenso di altri studenti. “Loro” questo vogliono e tanto basta.
Accusano gli israeliani di genocidio, l’accusa gravissima che perseguita Israele da decenni, durante i quali peraltro in Palestina gli abitanti sono passati da 750mila, tanti erano nel 1949 quando per loro è stata creata l’agenzia Onu Unrwa, agli attuali 5,5 milioni. Neanche il senatore a vita Liliana Segre, che nei giorni scorsi ha contestato l’accusa a Israele di genocidio definendola “una bestemmia”, riuscirebbe a convincerli che hanno torto. D’altra parte la consolidata tradizione anti israeliana e anti sionista dell’ateneo torinese ha dato i suoi frutti. Uno dei momenti di più intensa attività anti israeliana si ebbe nel 2008 quando, per celebrare il 60° anniversario della sua nascita, Israele fu scelto come ospite d’onore dagli organizzatori del Salone del Libro. Diversi docenti furiosi lanciarono un appello a boicottare l’evento. Fu organizzato un seminario intitolato Le democrazie occidentali e la pulizia etnica della Palestina, in realtà due giorni dedicati ad accusare Israele di crimini contro l’umanità commessi con la complicità dell’Occidente, con un martellante, ossessivo uso dei termini “genocidio”, “pulizia etnica”, “olocausto”, “apartheid”, “tortura”. Uno dei relatori era Tariq Ramadan, nipote di Hasan al-Banna, il fondatore dei Fratelli Musulmani.
L’occupazione del Rettorato è stata sospesa, come “segno di apertura”, la sera del 22 maggio. Ma è stata organizzata a Palazzo Nuovo una assemblea cittadina, annunciata con una locandina realizzata con colori e grafica da propaganda sovietica. I colori e lo stile dell’Isis, lo Stato Islamico, sembrano invece aver ispirato i comunicati. L’occupazione del Rettorato è stata resa nota con un filmato in cui tre studentesse elencano le loro richieste, indossando la kefiah, sedute a un tavolo coperto da un panno rosso dal quale pende una bandiera palestinese. Fa loro da sfondo uno striscione nero. È la parte superiore di una immensa bandiera palestinese, ma fa venire in mente le insegne nere dell’Isis, le sue uniformi nere, e i suoi leader che nel 2015 si vantavano sulle reti social dicendo che avrebbero usato la loro vittoria in Libia per invadere l’Italia, attaccare il Vaticano.
Scherzano con il fuoco questi ragazzi che si fanno chiamare “intifada studentesca”, che giocano al jihad sicuri che il nemico da abbattere sia l’Occidente, oggi impegnati nell’“intifada” senza un pensiero contro Hamas, che continua a lanciare missili su Israele e a tenere prigionieri gli ostaggi finora sopravvissuti, che forse militano nel Friday for future e un mese fa hanno gridato il loro disprezzo per il mondo che li mantiene e li riconosce liberi di manifestare brandendo striscioni con su scritto “Giustizia climatica contro un governo negazionista” e tra un mese parteciperanno al Torino Pride, che quest’anno ha per slogan “D’amore e di Lotta”, e irrideranno i cattolici bigotti ostentando gesti e immagini blasfemi.
Giocano al jihad. Quello che non sanno è che i jihadisti, quelli veri, non per questo li risparmierebbero.