Giacinta, la santa bambina che ci ricorda le realtà ultime
Ricorre oggi il centenario della nascita al Cielo di santa Giacinta Marto. La piccola veggente di Fatima ricevette un’abbondanza di grazie dalla Madonna e offrì le sue sofferenze per la salvezza delle anime, intensificando i sacrifici dopo la visione dell’Inferno. Gesù e Maria «amano molto chi soffre per convertire i peccatori», diceva. La sua santità ricorda la necessità di parlare dei Novissimi
Il 20 febbraio di cento anni fa, alle 22.30, pochi giorni prima di compiere il suo decimo compleanno, terminava la vita terrena della piccola Giacinta Marto (1910-1920), veggente di Fatima insieme al fratellino Francesco (1908-1919) e alla cugina Lucia dos Santos (1907-2005). Proprio grazie alle Memorie di suor Lucia, scritte in obbedienza alle richieste del vescovo di Leiria (monsignor José Alves Correia da Silva), conosciamo molti particolari della vita di santa Giacinta, che dei tre pastorelli «fu, a quanto mi sembra, quella a cui la Vergine Santissima ha comunicato maggior abbondanza di grazie e maggior conoscenza di Dio e della virtù». Così scriveva appunto suor Lucia, nella prima memoria (1935), dopo aver ricordato con ammirazione un atto di umiltà compiuto dalla cuginetta.
Nel centenario della sua nascita al Cielo giova allora richiamare le virtù eroiche di Giacinta, che con il suo esempio ricorda al mondo e alla stessa Chiesa la realtà delle cose ultime, i Novissimi (Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso), centrali nel messaggio lasciato dalla Madonna a Fatima e oggi purtroppo scomparse da molte catechesi. Con grave danno per le anime, che finiscono per non conoscere il senso della vita quaggiù e la battaglia spirituale che qui - e ora - si compie, in vista dell’eternità.
La primissima infanzia di Giacinta era passata tra giochi, balli, allegria e spensieratezze, normali per quell’età. Quando giocava con gli altri bambini era spesso permalosa. Aveva però un carattere dolce. E l’educazione cattolica, ricevuta in famiglia, faceva presa sul suo animo. Un giorno conobbe da Lucia, di tre anni più grande di lei e avanti nella dottrina, la storia della Passione di Nostro Signore. Giacinta si commosse fino a piangere. Più volte, in seguito, se la fece raccontare di nuovo, e diceva: «Povero Gesù! Io non farò nessun peccato! Non voglio che il Signore soffra di più!».
Le tre apparizioni dell’Angelo protettore del Portogallo, nel 1916, prepararono la via alla Madonna, istruendo i pastorelli sulla necessità di offrire atti di adorazione, preghiere e sacrifici, in riparazione ai peccati commessi contro la Santissima Trinità, e in particolare per l’indifferenza e i sacrilegi con cui è offeso Gesù nell’Eucaristia. Se già i tre erano accesi di amore eucaristico (Lucia, eccezionalmente, aveva già fatto a sei anni la Prima Comunione, e i due cugini più piccoli ardevano di ricevere Gesù nascosto), la terza apparizione dell’Angelo rafforzò questa loro predisposizione. Il messo celeste, con i tre in ginocchio, comunicò Lucia dandole «la sacra Ostia, e divise il Sangue del calice tra Giacinta e Francesco dicendo nello stesso tempo: “Prendete e bevete il Corpo e Sangue di Gesù Cristo, orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati. Riparate i loro crimini e consolate il vostro Dio”».
Già a sei anni, dunque, Giacinta seppe di essere chiamata a collaborare alla salvezza delle anime, fu introdotta alla conoscenza del valore redentivo del sacrificio e, sempre insieme a Francesco e Lucia, fu poi confermata in questo insegnamento fin dalla prima apparizione della Madonna, il 13 maggio 1917. Fin da allora la Beata Vergine disse ai tre che sarebbero andati in Cielo, nominò il Purgatorio (dove si trovava un’amica di Lucia), e chiese la loro disponibilità al progetto divino: «Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà inviarvi, in atto di riparazione per i peccati da cui Lui è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori?». «Sì, lo vogliamo», fu la risposta.
In questa sua mirabile, prima, catechesi, Maria Santissima, aprendo le mani, partecipò ai bambini un anticipo dei beni eterni che si sarebbero meritati, «comunicandoci una luce così intensa, una specie di riflesso che da esse usciva e ci penetrava nel petto e nel più intimo dell’anima, facendoci vedere noi stessi in Dio, che era quella luce, più chiaramente di come ci vediamo nel migliore degli specchi». Era la grazia che li avrebbe sostenuti nelle sofferenze.
A quell’assaggio di Paradiso seguì, due mesi più tardi, nell’apparizione del 13 luglio, la visione dell’Inferno. «La Madonna ci mostrò un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto terra. Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma umana che fluttuavano nell’incendio, […] tra grida e gemiti di dolore e disperazione […]. I demoni si riconoscevano dalle forme orribili e ributtanti di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti e neri. Questa visione durò un momento. E grazie alla nostra buona Madre del Cielo, che prima ci aveva prevenuti con la promessa di portarci in Cielo (nella prima apparizione), altrimenti credo che saremmo morti di spavento e di terrore». La Madonna parlò quindi loro della volontà divina di «stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato. Se faranno quel che vi dirò, molte anime si salveranno e avranno pace».
Cosa fosse la realtà dell’Inferno colpì, anche più degli altri due veggenti, Giacinta. «Quanta compassione sento per i peccatori! Se potessi mostrar loro l’Inferno!», era una delle frasi che diceva meditando sul fatto che molti smetterebbero di peccare se conoscessero quale eternità attende chi, fino all’ultimo istante terreno, rifiuta Dio. Per la sua profonda pietà verso i peccatori, andò quindi intensificando le penitenze e gli atti di accettazione delle croci che via via si presentarono nella sua vita. Divenne «insaziabile nella pratica del sacrificio» e se ne inventava sempre di nuovi. Già gravemente ammalata, nel primo ospedale in cui la condussero, parlando di Gesù e Maria, disse che «mi piace tanto soffrire per Loro amore» e aggiunse: «Essi amano molto chi soffre per convertire i peccatori».
Lo spirito di sacrificio di Giacinta, il suo ardore per le anime nacquero quindi dalla conoscenza delle realtà ultime - del Regno di Dio e di quello di Satana - non certo dalla loro ignoranza, che diversamente avrebbe impedito il manifestarsi della sua eccelsa santità. La stessa suor Lucia, rispondendo a una domanda fattale da tanti, spiegava: «Com’è che Giacinta, così piccolina, si lasciò compenetrare e capì un tale spirito di amore e penitenza? Mi sembra che fu: primo, per una grazia speciale che Dio, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, le volle concedere; secondo, guardando l’Inferno e vedendo la disgrazia delle anime che vi cadono. Certe persone anche pie, non vogliono parlar dell’Inferno ai bambini per non spaventarli; ma Dio non esitò a mostrarlo a tre […]».
Anche Benedetto XVI, pensando a un colloquio avuto con suor Lucia, ricordò che «mi ha detto che le appariva sempre più chiaramente come lo scopo di tutte le apparizioni sia stato quello di far crescere sempre più nella fede, nella speranza e nella carità». Le tre virtù teologali che hanno condotto Giacinta a essere strumento di salvezza per innumerevoli anime, facendola risplendere nella gloria di Dio.