Genitori, affrontate le opposizioni dei figli
Ragazzi cui non manca nulla ma che distruggono la propria vita o quella degli altri con un’incosciente determinazione che ci sgomenta. È una “adolescenza zero” quella dei nostri giovani, come la definisce la psicanalista Laura Pigozzi nel suo recente saggio, frutto dell’analisi di casi clinici.
Ragazzi che girano per le discoteche con lo spray al peperoncino per rubare tranquillamente cellulari e collanine dei coetanei in fuga e rimangono indifferenti di fronte alla loro morte come nella tragedia di Corinaldo. Un trentenne che insegue, sempre dopo la discoteca, due presunti rivali che hanno espresso apprezzamenti sulla sua ragazza, speronandoli con l’auto lanciata contro lo scooter degli improvvidi corteggiatori che perdono la vita; giovani americani in vacanza che feriscono a morte col coltello un carabiniere, senza rendersi conto neppure di cosa stanno facendo, anche se è certo che cercavano e consumavano droga; un minorenne che lancia un bidone della spazzatura in spiaggia colpendo e ferendo gravemente un ragazzino che si trovava in tenda.
Un bollettino di guerra i cui protagonisti sono loro, i nostri adolescenti, tanto “protetti” ma privi di una qualsiasi occupazione in questa turbolenta estate, come nei weekend di tutto l’anno, rigorosamente dedicati alle feste, ai balli e agli sballi. Tutta colpa loro? O abbiamo qualche innegabile responsabilità su cui faremmo bene a interrogarci?
La psicanalista Laura Pigozzi ci aiuta in un percorso urgente di presa di coscienza dei compiti educativi, ormai abbandonati o mal interpretati dagli adulti di questa società malata, che non ha più il coraggio e la gioia di mettere al mondo figli e quando arriva un bambino lo tiene stretto, troppo stretto, al punto di impedirgli di crescere e fiorire.
Nel suo recente saggio Adolescenza zero (edito da Nottetempo) la Pigozzi mostra, attraverso dolorosissime storie vissute dai ragazzi da lei analizzati, come “l’adolescenza oggi è uno stato in cui non si cresce, non si diventa adulti: non c’è vita. Ai ragazzi non viene riconosciuto il fiorire della soggettività. Li infantilizziamo di continuo. Il soggetto nasce, si definisce e si afferma al momento del distacco dalla famiglia, nell’adolescenza appunto. Ma questo accade sempre meno. La vicinanza estrema impedisce la cura perché impedisce il soggetto, che non sviluppa mai la capacità di far fronte agli eventi traumatici. L’eccessiva assenza altrettanto.
La causa di tanti disagi sembra essere l’incapacità dei genitori a sopportare la normale “opposizione” di un figlio. Se mamma e papà neutralizzano ogni possibile conflitto, i ragazzi sono portati a confliggere con se stessi attraverso le cosiddette auto aggressioni: l’inquietante fenomeno delle cutters, ragazze che si tagliano, è in vorticoso aumento. Dunque anche i mondi apparentemente perfetti e ossessivamente programmati delle famiglie contemporanee costituiscono un pericolo per la vera libertà dei nostri ragazzi; l’illimitata tolleranza e comprensione dei genitori li priva di autonomia e senso di responsabilità. Il limite (divieto) e la richiesta (compito) sono ancora strumenti indispensabili nel rapporto educativo, benché ormai misconosciuti nell’eccessivo permissivismo e nel confuso intreccio di relazioni parentali (genitori divisi con nuovi partner, famiglie allargate) di oggi. E a ben vedere è la carenza diffusa di “senso della vita” e quindi di valori certi negli stessi adulti, patrimonio prezioso e indispensabile per la crescita dei figli, che produce proprio quel senso di vuoto, di noia e indifferenza disperata che spinge i nostri ragazzi alla deriva. Impressiona il costante aumento di giovani e giovanissimi affetti dal male di vivere che vengono accolti nelle strutture d’emergenza (a Milano un incremento del 28 per cento!). Nel loro vissuto, spesso, emerge la dipendenza affettivo-emozionale causata dal cosiddetto plusmaterno, che non consente loro una vera separazione dalla madre, che li lancerebbe verso la vita vissuta in piena libertà, anche attraverso gli errori.
Una conseguenza inevitabile dell’atteggiamento iperprotettivo dei genitori è la presenza soffocante della famiglia nella scuola. La Pigozzi osserva che oggi “la scuola è chiamata a star dietro a tutti, come una mamma; dovrebbe invece stare davanti a tutti, come una guida”. Quanti insegnanti accetterebbero volentieri questa funzione di guida, che dovrebbe partire dall’atteggiamento del preside per proseguire nei consigli di classe, che avrebbero il compito di dare un segno, un’impronta al cammino dello studente al di fuori delle mura domestiche? Non occorre piuttosto insegnare la capacità di far fronte agli eventi, trasformandoli con un accompagnamento intelligente dell’insegnante?
È una crisi di autorevolezza quella che indebolisce e persino corrompe il rapporto educativo in famiglia e nella società di oggi, come acutamente osserva Catherine Ternynck, psicanalista che insegna all’Università Cattolica di Lille, nel saggio L’uomo di sabbia (Vita e Pensiero). Oggi “a costituire l’autorità, più che il principio, è la logica esplicativa sottesa. Possiamo rallegrarci di una simile evoluzione che, sotto l’ingiunzione, invita al senso. Ma non dimentichiamo le possibili derive”. L’argomentazione eccessiva può infatti volgersi in caricatura. Certi genitori non la finiscono più di analizzare e mettere in parole ogni virgola educativa, con il rischio di dissolvere il divieto e neutralizzarne la portata.