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l'analisi

Gaza: nessuna via d’uscita dal conflitto prolungato

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La guerra a Gaza segna uno stallo rispetto alle prospettive di soluzione negoziale a dispetto della vivacità delle operazioni militari, i cui successi però sono pagati con un alto tributo di sangue. E la convergenza tra Iran, Turchia e molti paesi arabi non promette nulla di positivo.
- Dietro la guerra, il rifiuto del compromesso, di Graziano Motta 

Attualità 02_11_2023

La guerra a Gaza segna uno stallo rispetto alle prospettive di soluzione negoziale a dispetto della vivacità delle operazioni militari. Le forze armate israeliane hanno reso noto ieri di aver colpito dall'inizio della guerra, il 7 ottobre scorso, circa 11mila obiettivi di Hamas e ad altre milizie palestinesi nella Striscia di Gaza. Sul campo di battaglia due divisioni dell’esercito israeliano sono penetrate nella Striscia da nord e da est tagliando fuori di fatto la parte settentrionale del territorio palestinese dai settori centro-meridionali. Il comandante della 162a Divisione, il generale Itzik Cohen, ha dichiarato che «le forze della divisione sono penetrate in profondità e sono giunte alle porte di Gaza City. Negli ultimi cinque giorni abbiamo smantellato molte capacità di Hamas e attaccato installazioni strategiche». 

Un successo pagato con un alto tributo di sangue: 15 i soldati israeliani caduti il 31 ottobre (per la maggior parte fanti e carristi della brigata Givati), quasi 350 dall’inizio del conflitto che si aggiungono ai 1.400 morti durante i raid di Hamas in territorio israeliano scatenasti il 7 ottobre e proseguiti nei due giorni successivi. Più alte le perdite palestinesi: Hamas non quantifica i propri caduti che saranno presumibilmente molte centinaia considerato l’intenso fuoco aereo, d’artiglieria e dei carri armati penetrati nella Striscia e impegnati insieme alla fanteria in durissimi combattimenti a distanza ravvicina.

Quanto ai civili i morti sarebbero quasi 9mila secondo il ministero della Salute di Gaza, che è però un organismo controllato da Hamas che ha tutto l’interesse a gonfiare il numero di vittime tra la popolazione per esercitare pressioni sull’opinione pubblica e i governi di Europa e Medio Oriente affinché premano su Israele e lo inducano a fermare l’offensiva. Ipotesi che al momento non sembra avere molto credito a Gerusalemme. Il premier Benyamin Netanyahu ha promesso ieri ai cittadini israeliani di continuare a combattere «finché non adempiremo la missione, continueremo fino alla vittoria».

In un post su X, Netanyahu ha affermato: «Sarà una lunga guerra. Abbiamo ottenuto risultati importanti, ma anche perdite dolorose». Rivolgendosi ai famigliari dei caduti ha detto che «l'intera nazione di Israele vi abbraccia, famiglie, dal profondo del cuore. Siamo tutti con voi in questo momento di grande dolore. I nostri militari sono caduti in una guerra ingiusta, la guerra per la nostra casa». Il ministro della Difesa israeliana, Yoav Gallant, ha parlato ieri di «risultati significativi dei pesanti combattimenti in profondità nella Striscia di Gaza ci costano un prezzo elevato. Siamo pronti e preparati per una offensiva lunga e complessa che richiede coraggio, determinazione e perseveranza».

Nonostante le molteplici condanne da parte della comunità internazionali, la chiusura di 20 ambasciate all’estero e la rottura o quasi delle relazioni diplomatiche con Venezuela, Bolivia e Colombia, Israele sembra determinato a tirare dritto e ad assicurarsi la distruzione totale di Hamas che invece sembra voler puntare sugli ostaggi ancora nelle sue mani per imporre a Israele un cessate il fuoco.

Per il rilascio degli ostaggi è necessario "un cessate il fuoco" a Gaza, ha detto ieri Ismail Haniyeh capo di Hamas aggiungendo di aver informato in questo senso i mediatori dei negoziati affidati soprattutto al Qatar che ospita da anni la dirigenza del movimento jihadista palestinese. Secondo Haniyeh, gli ostaggi israeliani nella Striscia sono sottoposti alla «stessa morte e trattamento» che i palestinesi fronteggiano. Il capo di Hamas ha poi detto ai mediatori che il massacro deve finire.

Secondo il New York Times forze speciali americane (con ogni probabilità Delta Force) aiuterebbero i colleghi israeliani a cercare gli ostaggi. Il sottosegretario al Pentagono Christopher P. Maier ha detto recentemente che «stiamo aiutando attivamente gli israeliani a fare una serie di cose» e il compito principale è quello di assistere nel lavoro per «identificare gli ostaggi, compresi quelli americani. È davvero nostra responsabilità farlo». Funzionari che hanno parlato in condizione di anonimato, hanno riferito al giornale che sono state inviate diverse decine di unità statunitensi per le operazioni speciali, oltre a una squadra che era già in Israele per l'addestramento. 

Oltre a contribuire alla localizzazione degli ostaggi, le truppe americane verranno utilizzate anche per le evacuazioni e, se necessario, per proteggere le ambasciate nella regione. Secondo il giornale, diversi paesi occidentali avrebbero segretamente spostato forze speciali più vicine a Israele per intervenire nel salvataggio di ostaggi o nell’evacuazione su larga scala dalla regione dei connazionali. Da quanto reso noto da tempo da molti media e fonti ufficiali reparti britannici, olandesi, tedeschi e di altre nazioni europee sono presenti da diversi giorni nelle due basi militari britanniche di Cipro (Akrotyiri e Dhekelya) a poche decine di miglia da Israele, Libano e dalla Striscia di Gaza.

L'Arabia Saudita, che prima del 7 ottobre stava negoziando uno storico ripristino delle relazioni diplomatiche ed economiche con Israele, ha condannato «con la massima fermezza» il bombardamento israeliano sul campo profughi di Jabailya (che a dispetto del nome è un quartiere di Gaza City) che avrebbe provocato decine di morti tra i civili mentre, secondo Israele, ha preso di mira un comandante di Hamas e i suoi miliziani. «Il Regno dell'Arabia Saudita condanna con la massima fermezza il bombardamento disumano delle forze di occupazione israeliane sul campo profughi di Jabaliya, nella Striscia di Gaza assediata, che ha ucciso e ferito un gran numero di civili innocenti», ha dichiarato il Ministero degli Esteri saudita. 

Ieri, in una conferenza stampa congiunta da Ankara con il suo omologo turco Fidan Hakan, il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, ha affermato che se il governo israeliano non porrà fine alla sua aggressione a Gaza, la regione andrà «fuori controllo», con «gravi conseguenze», e gli Stati Uniti e Israele devono essere ritenuti responsabili dell'eventuale escalation della guerra. Come riporta l'agenzia Anadolu, Amir-Abdollahian ha anche accusato Israele di usare «armi proibite» nei suoi attacchi su Gaza: «Sono passati 26 giorni e il regime sionista continua a uccidere donne, bambini e civili a Gaza, compresi tutti i tipi di genocidio, massacro e crimini di guerra. Il regime sionista utilizza tutti i tipi di armi proibite in questi attacchi». «Se la guerra non verrà fermata, la responsabilità di una situazione fuori controllo nella regione sarà colpa degli Stati Uniti, di Israele e di coloro che sostengono i crimini di guerra», ha detto ancora il ministro iraniano. 

La convergenza di vedute tra Iran, Turchia e molti paesi arabi non promette nulla di positivo in caso di un allargamento del conflitto che potrebbe essere dietro l’angolo. Dopo il lancio di droni e missili da crociera contro la città israeliana di Eilat (tutti intercettati dalle difese aeree) da parte delle milizie yemenite Houthi (armate e sostenute dall’Iran), Israele ha spostato una corvetta della sua Marina nelle acque del Mar Rosso per intercettare ulteriori ordigni. In Libano c’è invece attesa per quanto dichiarerà venerdì il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, fedele alleato di Teheran e che secondo le indiscrezioni porrà un ultimatum a Israele per interrompere l’offensiva anella Striscia di Gaza abbinato alla minaccia di scatenare un pesante attacco sulla Galilea dal confine libanese.

Il 30 ottobre il premier israeliano ha lanciato un nuovo monito agli Hezbollah. «Voglio dire agli Hezbollah che farete l’errore della vostra vita se deciderete di entrare in pieno nel conflitto. Voi subirete un colpo che non vi potete nemmeno immaginare». Una resa dei conti anche con Hezbollah potrebbe risultare inevitabile se Israele punta davvero a ripristinare la sicurezza dei suoi confini. Per il consigliere israeliano per la sicurezza nazionale, Tzachi Hanegbi, dopo aver sconfitto Hamas nella Striscia di Gaza le forze israeliane dovranno eliminare la minaccia rappresentata da Hezbollah al confine settentrionale di Israele. «Il giorno dopo Hamas, dovremo riflettere su ciò che stiamo portando avanti in questo periodo in Libano. Ciò che abbiamo imparato ci obbligherà ad agire» contro Hezbollah, ha detto Hanegbi al Jerusalem Post.

L’unica notizia positiva giunge dal Cairo dove il governo egiziano ha autorizzato l’evacuazione limitata a feriti e cittadini stranieri dalla Striscia di Gaza. Al valico di Rafah è in costruzione un ospedale da campo egiziano realizzato con strutture prefabbricate che permetterà di assistere diversi feriti provenienti da Gaza.