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IL RETROSCENA

Dietro la guerra, il rifiuto del compromesso

Decenni di tratttaive non hanno mai portato a nulla, malgrado ciò un trattato di pace fra Israele e Palestina non sarebbe impossibile. Anche se un grande ostacolo è la visione islamica della terra.

Esteri 02_11_2023

La mancata, finora, liberazione degli oltre 200 ostaggi israeliani da parte dei palestinesi di Hamas  - salvo quattro donne –  ci dimostra quanto impegnativa, complessa e ardua sia l’opera della diplomazia nel cercare di neutralizzare le conseguenze dell’aggressione terroristica e i massacri inenarrabili  dei miliziani musulmani nei villaggi ebraici confinanti con la Striscia di Gaza dalla quale si son mossi. E ci conferma quanto parziale e divisivo sia l’approccio del mondo arabo persino dinanzi alle ostentate proclamazioni di innocenza di Hamas da parte del “grande rais” turco Recep Tayyp Erdogan e dinanzi ad una  situazione conflittuale, irrisolvibile da oltre 70 anni.

La delicatezza e inquietudine del momento sono emerse soprattutto con le dimostrazioni nei paesi musulmani e occidentali a sostegno della causa palestinese, accese, traboccanti di odio anti-ebraico. Non pochi osservatori hanno intravisto una chiara avversione al Cattolicesimo che – parole di san Giovanni Paolo II – ha definito gli ebrei “fratelli maggiori”. Manifestazioni tanto clamorose da far dimenticare a moltissimi media i massacri di civili israeliani di sabato 7 ottobre e la decapitazione dei loro bambini; nonché da “minimizzare” l’aggressione russa dell’Ucraina, oscurare la prosecuzione delle deliberate devastazioni quotidiane di infrastrutture civili (scuole, ospedali, mercati, edifici pubblici e residenziali, centrali energetiche) e soprattutto da far ignorare i suoi morti.

Meraviglia, ma sono in pochi a rilevarlo, che anche nell’emergenza prosegua il trattamento preferenziale riservato dalla diplomazia (occidentale e persino delle Nazioni Unite, rispettose della maggioranza espressa all’Assemblea Generale e confermate dalle dichiarazioni del Segretario Antonio Guterres) al mondo islamico, Egitto e Qatar in particolare, che hanno ottenuto dalla parte offesa, Israele, un riconoscimento dei diritti umanitari di centinaia di migliaia di donne, vecchi, bambini palestinesi ,ed anche riguardo nei confronti degli ostaggi; in pratica conseguendo il passaggio di automezzi egiziani di soccorso per Gaza attraverso il valico di frontiera di Rafah, senza nulla in contropartita. Come la fine o la sospensione dei lanci di missili sul territorio israeliano e/o un sostanziale rilascio di ostaggi. Nelle strade e sui media si enfatizza soltanto la tragica situazione dei palestinesi di Gaza 

Mentre i palestinesi della Cisgiordania, in maggioranza sostenitori dell’Autorità Nazionale al cui vertice c’è Mahmud Abbas, successore di Yasser Arafat, evitano di condannare o deplorare  i massacri dei terroristi di Hamas, al potere a Gaza, denunciando soltanto le responsabilità israeliane,del governo Netanyahu e dei coloni ebrei e soprattutto le numerose vittime degli “occupanti” israeliani. Dimentichi di decenni di trattative che hanno fatto seguito agli accordi di Oslo del 1993 e ai premi Nobel della pace, con il diretto coinvolgimento dei presidenti degli Stati Uniti , Clinton e Bush junior in particolare: E dimentichi deliberatamente del rifiuto di Arafat di accettare “storiche” occasioni di pace, compromessi territoriali e sulla condivisione di Gerusalemme (vedi qui).

Fanno orecchie di mercante pure a quanti ricordano loro di essere stati, tutti i paesi musulmani, sconfitti da Israele in tre guerre da loro promosse. Nel 1948, guerra contro la risoluzione dell’ONU del novembre 1947 che prevedeva la nascita di due Stati nazionali, l’arabo e l’ebraico (quelli, a parole, chiesti ora dai palestinesi) e di un corpus separatum  con statuto internazionale per Gerusalemme. Nel 1967 la fulminea “guerra dei sei giorni” con la conquista israeliana della Cisgiordania, Striscia di Gaza e alture del Golan. E nel 1973 la guerra cosiddetta del Kippur, in ricordo del suo inizio a sorpresa nel giorno sacro di preghiera degli ebrei, che ha visto consolidarsi  le conquiste territoriali di Israele .(Hamas considera l’attuale guerra una diretta continuazione, 50 anni esatti dall’inizio della prima il 6 ottobre).  

In genere i  palestinesi evocano soltanto la “nabka”, genericamente ed enfaticamente: anche se molti di essi non la considerano una disfatta ma una vittoria popolare! Evitano di ricordare che l’Egitto e la Giordania hanno concluso trattati di pace con Israele e che gli “Accordi di Abramo” sono alla base delle relazioni attuali con altre nazioni arabe. Fra le  più importanti con il Marocco, il cui sovrano è discendente di un ramo del profeta Maometto, c'è la Giordania. Quindi un trattato di pace fra Palestina e Israele non sarebbe impossibile.

Evitano di spiegare comunque il perché di queste guerre e del rifiuto dei compromessi di pace. E questo, secondo alcuni seri analisti, perché per essi è inconcepibile qualsiasi limitazione della proprietà privata o pubblica su quella che considerano loro terra, un loro bene. In effetti nel loro diritto civile, emanazione della Sharia islamica, non si considerano nemmeno gli istituti della comproprietà e dell’usufrutto. Nelle loro università non vi sono cattedre di diritto comparato. Un esempio – definito nefasto – di comproprietà è per essi quello della Basilica del Santo Sepolcro perché causa di innumerevoli litigi fra cristiani, per secoli. Ed evocano i vari "firmani" della Sublime Porta ottomana, dal Seicento in poi, e lo “statu quo” ancora oggi in vigore.