Gay diktat dall’Ue, ma l'Ungheria contrattacca
Prosegue il ricatto di Bruxelles sui fondi: la ragione principale sta nel “no” dell’Ungheria all’indottrinamento Lgbt nelle scuole. Attacchi (pittoreschi) perfino di Hamilton e Vettel.
Alle minacce della Commissione europea ora si aggiungono le ripicche della Norvegia, ma il Governo Orban rafforza la propria difesa dell’identità e dignità nazionale. Nelle scorse settimane, la Commissione Europea aveva indirizzato una lettera all’Ungheria (e alla Polonia) che segnava l’inizio di una possibile procedura di infrazione nei confronti del paese accusato di varie possibili violazioni dei valori europei, dello stato di diritto e di poca trasparenza. La ragione politica di fondo è la ‘ribellione’ ungherese contro l’indottrinamento Lgbt nelle scuole. A queste richieste di Bruxelles erano seguite le minacce della Commissione di ‘bloccare’ i finanziamenti del Recovery Fund se non si fossero adeguati ai dettami europei.
Di fatto, il 13 luglio il Consiglio Ecofin ha approvato pre-finanziamenti di 12 paesi e il 28 luglio ne approvava altri 4, tra questi 16 paesi non c’è l’Ungheria, insieme ad altri 12 paesi europei. Le manifestazioni di piazza delle opposizioni non hanno impedito alla Commissione Elettorale Nazionale di approvare, nei giorni scorsi, i testi dei cinque quesiti proposti dal Governo per il referendum sulla legge anti-pedofilia e sull’insegnamento della dottrina Lgbt nelle scuole (qui il testo). Le pittoresche dichiarazioni pro Lgbt di diversi piloti presenti al Gran Premio di Formula 1 (Hamilton e Vettel in particolare), che nulla avevano a che fare con la realtà della legge anti-pedofilia, non hanno intimorito il Governo Orban. Tant’è che il 2 e 3 agosto il Governo Orban ha risposto con un uno-due degno del miglior pugile professionista.
Il 2 agosto Orban in persona ha chiesto la massima partecipazione dei cittadini alla consultazione popolare promossa dal Governo che comprende 14 quesiti e terminerà il 25 agosto. Tra i quesiti ci sono gli aumenti dei salari minimi, i sussidi alle famiglie, i rimborsi dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, la moratoria sul rimborso dei prestiti, la migrazione, la protezione dell’infanzia, le azioni europee coordinate da Soros contro la legge anti-pedofilia e molte altre “questioni importanti della vita dopo la pandemia”. Il giorno seguente, 3 agosto, è stata la volta del ministro della Giustizia Judit Varga che ha anticipato i contenuti della risposta alla lettera della Commissione Europea, respingendo le accuse mosse all’Ungheria nel Report 2021 sullo stato di diritto nei paesi europei. Per evitare qualunque manipolazione e strumentalizzazione, la Varga ha pubblicato i testi della risposta in inglese, francese e ungherese sulla propria pagina Facebook.
L’Ungheria è stata attaccata da Bruxelles, ha scritto Judit Varga, “in un modo senza precedenti e solo perché la protezione dei bambini delle famiglie rimane la nostra priorità… non siamo disposti a lasciare la lobby LGBTQ nelle nostre scuole e asili… si aspettano che gli organi costituzionali indipendenti dell’Ungheria prendano le decisioni che la Commissione considera desiderabili… Questo è un abuso di potere… condanniamo e respingiamo a nome di tutti gli organi coinvolti la pressione esercitata dalla Commissione europea”.
Le polemiche delle opposizioni verso Orban non mancano, addirittura hanno criticato l’intervista che Orban ha rilasciato il 4 agosto al giornalista di Fox News, Tucker Carlson, considerato troppo di destra. La libertà di stampa non vale per Orban e per la stampa conservatrice statunitense? Gli attacchi sono continuati. Il 5 agosto la Norvegia ha negato ufficialmente 215 milioni di fondi all’Ungheria per promuoverne le organizzazioni della società civile (i fondi rientrano nell’ambito dei Norway Grants), perché non si è trovata un’intesa sui beneficiari (i donatori prediligevano le associazioni contrarie al Governo Orban). Per nulla intimorito dalla decisione della Norvegia (cavalcata dalle opposizioni), il Governo Orban ha deciso di promuovere un’azione legale contro di essa.
Si sono sciolte come neve al sole le bufale giornalistiche degli ultimi sette giorni, sull’Ungheria che avrebbe usato i servizi dell’israeliana NSO per monitorare opposizioni, leader europei e mass media e sull’Ungheria pronta a uscire dall’UE dopo il 2030. Il 3 agosto, l’onnipresente sindaco di Budapest e potenziale candidato delle opposizioni alla guida del governo, Gergely Karácsony, ha espresso le sue preoccupazioni per i rigurgiti antisemiti e discriminatori contro le popolazioni rom del paese, dimenticando come i maggiori pericoli contro queste minoranze siano oggi rappresentati dal partito Jobbik, oggi arruolato nella sua stessa confusa coalizione anti-Orban. Dopo il sondaggio pubblico che a fine luglio mostrava quanto impopolari fossero le pretese Lgbt (l’80% degli ungheresi si dichiarava contrario a un primo ministro con simpatie gay), il 4 agosto un altro sondaggio ha misurato il gradimento del leader dell’opposizione, appunto Karácsony: la sua popolarità (37%) è inferiore a quella dell’opposizione stessa (39%).
Infine, dopo settimane di polemiche, il 5 agosto è iniziata un’indagine ufficiale della procura nazionale contro la deputata europea Katalin Cseh e il partito Momentum, lautamente promosso da Soros, con l’accusa di frode sui fondi europei e finanziamenti al partito. Nel tentativo di distogliere l’attenzione dai problemi interni, l’opposizione lo stesso giorno ha presentato una semplice proposta emendativa della Costituzione per posticipare l’elezione del presidente della Repubblica da parte del parlamento, prevista tra marzo e aprile, a un periodo successivo alle elezioni parlamentari (previste a giugno). I ‘puri’ difensori della trasparenza e delle regole democratiche, contro Orban, ora mostrano le loro sporcizie.