Galli della Loggia e il pontificato ideologico. Ha ragione
Papa Francesco fa ideologia e non politica, si distanzia dalla Dottrina sociale della Chiesa e ha creato una frattura con il Magistero sociale che va da Leone XIII a Giovanni Paolo II. Sul Corriere della Sera, lo storico laico Galli della Loggia traccia un ritratto impietoso di questo pontificato, cogliendo alcuni punti critici che dovrebbero essere ormai evidenti.
In un suo editoriale sul Corriere della Sera del 10 maggio, Ernesto Galli della Loggia parla della politica di Papa Francesco che - egli dice - diventa nei fatti in-politica o antipolitica. Interessandosi di politica secondo la mens di papa Francesco, la Chiesa in realtà se ne allontana e finisce nell’ideologia. Galli dice una cosa che posso dire di ripetere da tempo, ossia che il magistero sociale di papa Francesco non consente più alcuno spazio alla Dottrina sociale della Chiesa, la quale è da considerarsi ormai la “grande assente”, una cosa da “oltrepassare”.
Per dirla con le sue parole: “Ciò che qui colpisce è il sostanziale abbandono di quella dottrina sociale della Chiesa che aveva tenuto il campo da Leone XIII fino a Giovanni Paolo II” (valutazione che io avrei esteso fino a Benedetto XVI). Secondo Galli questo abbandono è dovuto a due modalità di intervento assunte da papa Francesco: non rivolgersi a tutti ma solo alle categorie considerate marginali e disagiate, con una vicinanza indifferenziata e populistica per ogni movimento che nasca dal basso; l’abbandono della prospettiva religiosa e trascendente: ambedue le tendenze riducono il suo parlare a ideologia. In questo modo – egli dice – la Chiesa fatica ad esprimere la propria identità e il proprio preciso ruolo quando interviene sulle questioni del mondo, ossia tende a non parlare più da Chiesa ma da agenzia di altro genere.
La ricognizione di Galli della Logga è pertinente. Il suo approccio è quello della scienza politica e per questo gli si possono attribuire delle inesattezze o delle superficialità che in un editoriale giornalistico ci possono comunque stare. Qualificare la dottrina sociale della Chiesa come esprimente una posizione di centro tra socialismo e capitalismo – come egli fa - è indice di un approccio a questi problemi ormai molto datato: tutti ormai sanno che la dottrina sociale della Chiesa non è riducibile a questi schemi di comodo.
Di notevole portata – invece - la notazione di Galli della Loggia quando fa notare che proprio perché “portatrice di un discorso che appare attento a depurare il sociale storico da ogni effettivo richiamo religioso” la posizione della Chiesa di papa Francesco diventa automaticamente ideologica. Il piano naturale non più in rapporto a quello soprannaturale diventa naturalismo, ossia assolutizza se stesso con gli esiti ideologici conseguenti, compreso l’esito di distruggere lo stesso piano naturale.
Far notare che la Chiesa si è posta su questa strada – che è poi la strada del modernismo – è un merito. Ed è significativo che sia un pensatore laico a dire alla Chiesa di non rinunciare al punto di vista religioso e trascendente quando parla di politica, altrimenti diventa un’agenzia politicante. Tutti i discorsi di papa Francesco ai movimenti popolari – per fare solo l’esempio forse più noto – non sono stati condotti da una prospettiva religiosa e trascendente, il che di conseguenza li ha resi anche ben poco politici, perché i movimenti popolari sono stati messi tutti sullo stesso piano, compresi quelli che vorrebbero instaurare il comunismo o che predicano la violenza.
Del resto il concetto di “popolo” adoperato spesso da papa Francesco risulta problematico in quanto non si riesce a ricostruire il nesso che lo lega al concetto religioso di “popolo di Dio” quale si realizza nella Chiesa: il popolo, sociologicamente inteso, sarebbe luogo di auto-comunicazione di Dio allo stesso modo della Chiesa, sarebbe luogo di grazia e luogo teologico, ma ciò apre ad una traduzione ideologica del cristianesimo che si fa giudicare dai movimenti popolari anziché giudicarli.
Galli della Loggia parla di “frattura” di questo pontificato rispetto al precedente magistero papale. Per quanto riguarda la Dottrina sociale della Chiesa la cosa è evidente e l’affermazione condivisibile, anzi già anticipata da tempo da parte di molti, tra cui chi scrive queste righe. L’approccio papale al problema della immigrazione, a quello degli indigeni dell’Amazzonia, a quello dei poveri, a quello della comunità politica globale, al cosiddetto “nuovo umanesimo”, ai movimenti popolari, alla società multi-religiosa, alle politiche delle agenzie delle Nazioni Unite non tengono conto o contraddicono i principi della Dottrina sociale della Chiesa.
Non solo la proposta di Francesco per un “reddito universale” - che Galli ricorda – è contraria alla Dottrina sociale, non solo l’avversione per l’Occidente, non solo l’abbandono delle ragioni dell’Europa cattolica rispetto a quelle protestanti, non solo il silenzio su regimi come quello venezuelano o quello cinese … sono contrari alla Dottrina sociale della Chiesa, ma l’impianto stesso del rapporto tra la Chiesa e il mondo, fondato prevalentemente su un pastoralismo senza dottrina.
La Chiesa non deve essere solo un ospedale da campo per sanare le ferite dei marginalizzati, essa esprime il Logos di Dio per la costruzione della comunità politica secondo il diritto naturale e divino, affinché le ferite – pur nei limiti di una umanità decaduta – siano prevenute da una costruzione fisiologica della società. Ma anche del diritto naturale è rimasta scarsa traccia in questo pontificato e lo stesso dialogo tra fede e ragione nella verità, su cui Benedetto XVI aveva lanciato una proposta di resistenza e di ripresa, è trasformato in un dialogo esistenziale indifferenziato e indifferente con tutti.