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INTERVISTA/ GIANLUCA ALIMONTI

Fusione nucleare, un passo avanti ma la strada è lunghissima

Un piccolo ma significativo passo per l’umanità verso la produzione dell’energia che riproduce il funzionamento del Sole in un reattore. Questo è l’esito dell’esperimento di energia a fusione nucleare del Lawrence Livermore National Laboratory di San Francisco. Ma non possiamo abbandonarci a facili entusiasmi: la strada è ancora lunghissima. Intervista al professor Gianluca Alimonti (Infn) sul valore, importante, di questo esperimento. E sulle difficoltà che dobbiamo ancora superare prima di avere i primi reattori a fusione nucleare. Che comunque non sarà energia gratuita, né "democratica". 

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Un piccolo ma significativo passo per l’umanità verso la produzione dell’energia che riproduce il funzionamento del Sole in un reattore. Questo è l’esito dell’esperimento di energia a fusione nucleare (da non confondere con la fissione, già in uso da più di mezzo secolo) del Lawrence Livermore National Laboratory di San Francisco, effettuato il 5 dicembre e annunciato il 13. Però questo non vuol dire che avremo presto energia gratis per tutti o che “entro dieci anni” saremo liberi dalle fonti finora utilizzate. Per evitare facili entusiasmi ed al tempo stesso non abbandonarci alla frustrazione, abbiamo intervistato il professor Gianluca Alimonti, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e docente di Energetica all’Università degli Studi di Milano.

Alimonti è un realista, già in altre occasioni ci ha messo in guardia dal troppo entusiasmo per le energie nuove, sottolineandone i costi e i rischi. Innanzitutto gli chiediamo cosa sia cambiato con l’esperimento di ieri rispetto ai risultati conseguiti negli ultimi sei decenni di ricerca sulla fusione nucleare. «In natura la fusione è quel processo che genera energia nelle stelle. Il nostro Sole, ad esempio, fondendo dei nuclei di idrogeno genera elio e il rilascio di una notevole quantità di energia. In campo militare la fusione nucleare si è ottenuta già molto tempo fa, con l’esplosione della prima bomba all’idrogeno nel 1952. Altro discorso è cercare di originare la fusione sulla Terra, ma controllandola, per produrre energia elettrica, così come già avviene da decenni nei reattori a fissione nucleare. Nell’esperimento del Llnl non si è “scoperto” niente di nuovo, però, per la prima volta, in questo tipo di fusione, la cosiddetta “fusione inerziale” si è ottenuto un risultato positivo, molto importante: ottenere dalla fusione più energia rispetto a quella che è servita per innescarla”.

Sono due i percorsi differenti di ricerca, due metodi di produzione di una fusione nucleare. «Il grande problema da superare è che, per stimolare questa reazione, occorre scaldare l’idrogeno a una temperatura di 100 milioni di gradi. Prima di tutto è difficilissimo scaldare a temperature così elevate un qualsiasi elemento sulla Terra, perché neanche nel Sole si raggiungono quelle temperature. Secondo: anche raggiunta quella temperatura, occorre mantenere quel plasma ben separato da qualsiasi altra struttura che possiamo costruirvi attorno, perché qualunque materiale terrestre fonde a più di 3500 gradi, figuriamoci a 100 milioni. Per ottenere questi due obiettivi, si stanno seguendo due linee di ricerca parallele. Una è quella del confinamento magnetico e l’altra quella del confinamento inerziale. Nel primo caso si mira a isolare a scaldare questo plasma in fusione attraverso dei potenti campi magnetici. Questa linea di ricerca ha portato alla realizzazione di Iter, la prima macchina sperimentale, in Francia, finanziata da tutto il mondo. L’altra linea, quella del confinamento inerziale, è molto differente: si isola in una grande camera a vuoto una micro-goccia di deuterio e trizio (due isotopi dell’idrogeno) e li si colpisce simultaneamente con 192 raggi laser ad alta potenza, sufficienti a creare un’onda di calore e pressione tali da raggiungere le temperature di fusione, all’interno di questa micro goccia». La differenza di concetto è che quest’ultimo metodo sfrutta una micro-esplosione, mentre nel metodo del confinamento magnetico si cerca di sfruttare una reazione continua di deuterio e trizio. In febbraio, a Londra, nel reattore sperimentale Jet (confinamento magnetico) si era ottenuta una fusione nucleare durata 5 secondi: un primo passo verso il risultato della reazione continua in un esperimento. «Se ci siamo riusciti per 5 secondi potremo riuscirci per un'ora, e un domani potremo tenere accesi i reattori a fusione per sempre», era stata la dichiarazione del Joint Europea Torus. Anche se, pure allora, l’energia prodotta era ancora inferiore a quella usata per l’esperimento. Il test al Llnl negli Usa, invece, batte quest’altro traguardo: l’energia prodotta supera, appunto, quella usata.

Ma con un limite ancora molto grande. «Uno dei problemi maggiori per passare dalla fase sperimentale a quella industriale – spiega Alimonti - è quello di garantire la continuità di queste micro esplosioni. Per ora se ne è ottenuta una sola. I laser vengono concentrati su quel punto per una durata brevissima, solo per far partire la fusione. In realtà, in un reattore funzionante, si deve prevedere una continuità di micro esplosioni, quindi anche un funzionamento continuo dei laser. Il guadagno energetico ottenuto in questo esperimento (più energia prodotta rispetto a quella consumata) è la differenza fra l’energia prodotta dalla fusione in quel punto e l’energia concentrata, sempre in quel punto, dai laser. Ma bisogna dire che l’energia che è stata necessaria per attivare i 192 raggi laser ad alta potenza è stata 100 volte di più rispetto a quella infine prodotta. Da un punto di vista sperimentale, abbiamo dunque un primo e importante guadagno di energia. Ma da un punto di vista industriale, abbiamo ancora una perdita. Il rapporto fra l’energia attinta complessivamente dalla rete e quella poi prodotta è ancora di 100 a 1. Questo non per sminuire il risultato, ma per dire quanta strada c’è ancora da fare prima di costruire un reattore a fusione funzionante».

Considerando il passo avanti fatto, è possibile comunque immaginare un futuro diverso. Rispetto alla fissione nucleare «… un reattore a fusione nucleare, ammesso che si arrivi a costruirne uno (cosa tutt’altro che scontata, anche adesso), avrebbe bisogno di molte meno risorse. Gli unici carburanti sono deuterio e trizio. Il primo, nelle minime quantità necessarie, può essere facilmente recuperato dall’acqua. Il trizio verrebbe generato all’interno del reattore stesso. Quindi non avremmo più bisogno di grandi quantità di combustibile. E non dovrebbero neppure più esserci grandi problemi di scorie: la fusione ne genererebbe una quantità più piccola, contenuta all’interno del reattore e con una vita di decadimento media molto più breve rispetto a quella delle scorie prodotte da un attuale reattore a fissione». Ci sarebbe una potenziale rivoluzione anche dello sfruttamento delle risorse. «Sì, ma sottolineerei il fatto che un reattore a fusione devi saperlo costruire e gestire. Quindi non sarebbe comunque un’energia “democratica”. Non è gestibile facilmente da chiunque. Tutte le volte che si parla di energia “democratica” penso sia una forzatura. Nemmeno l’energia solare è democratica, perché per costruire i pannelli fotovoltaici dobbiamo dipendere dalla Cina che detiene la maggior parte dei giacimenti delle terre rare utili a costruirli e perché li realizza a minor costo». Quindi «Mai farsi illusioni sulla previsione di un’energia democratica, o gratuita per tutti. L’energia è una linfa vitale che, in un modo o nell’altro, è sempre in mano a qualcuno».