Francesco ricorda qual è il metodo del Sinodo
«Che il Sinodo agisca sempre “cum Petro e sub Petro” non è una limitazione della libertà, ma una garanzia dell’unità». Così Papa Francesco ha ricordato ai padri sinodali, commemorando il 50° anniversario del Sinodo. Solo il Papa, alla fine, è chiamato a pronunciarsi come «Pastore di tutti i cristiani» e i vescovi sono «gerarchicamente sottoposti a lui».
Il 17 ottobre 2015 Papa Francesco ha commemorato in Aula Paolo VI il cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi. Ha ribadito che la sinodalità è una caratteristica essenziale della Chiesa a tutti i livelli, ma che il Sinodo si svolge non solo «cum Petro» ma anche «sub Petro». Solo il Papa, alla fine, è chiamato a pronunciarsi come «Pastore e Dottore di tutti i cristiani» e i vescovi – da soli o anche tutti insieme – sono «gerarchicamente sottoposti a lui quale Capo del Collegio». Il Papa celebrava il cinquantenario del Motu proprio Apostolica sollicitudo del beato Paolo VI, che fissava nel 1965 lo scopo del Sinodo: offrire «informazioni e consigli» al Papa, che lo convoca quando e dove «gli parrà opportuno» e lo organizza come gli sembra preferibile.
Francesco ha affermato che «fin dall’inizio del mio ministero come Vescovo di Roma ho inteso valorizzare il Sinodo, che costituisce una delle eredità più preziose dell’ultima assise conciliare» e che «per il Beato Paolo VI, il Sinodo dei Vescovi doveva riproporre l’immagine del Concilio ecumenico e rifletterne lo spirito e il metodo». Di fatto, il Sinodo è ancora oggi regolato dal Motu proprio Apostolica sollicitudo. Ma lo stesso Pontefice aveva affermato che il Sinodo, «col passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato». Nel 1985, san Giovanni Paolo II affermava che «forse questo strumento potrà essere ancora migliorato. Forse la collegiale responsabilità pastorale può esprimersi nel Sinodo ancor più pienamente». Infine, nel 2006, Benedetto XVI provvedeva ad accogliere le raccomandazioni dei suoi predecessori attribuendo nuovi compiti al Sinodo. Ora Francesco annuncia di volere «proseguire su questa strada», anzitutto attraverso un approfondimento della nozione di Sinodo, «un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica».
Il punto di partenza è il “sensus fidei” del popolo di Dio, che la Tradizione cattolica considera «infallibile “in credendo”». Ma che cos’è il popolo di Dio? Qui possono insinuarsi degli equivoci. Non va inteso come l’insieme dei fedeli in qualche modo contrapposto al Papa e ai vescovi. Il Papa e i vescovi, ciascuno con il loro ruolo gerarchico, ne fanno parte a pieno titolo. «Il sensus fidei impedisce di separare rigidamente tra Ecclesia docens ed Ecclesia discens». In occasione dei due ultimi Sinodi sulla famiglia – compreso quello in corso – il Papa ha inteso interpellare i fedeli del mondo intero tramite questionari, ma avverte che «certamente, una consultazione del genere in nessun modo potrebbe bastare per ascoltare il sensus fidei», che è appunto una realtà più complessa, e che attraverso i questionari sono state ascoltate non tutte le famiglie e neppure tutte le Chiese locali ma «alcune di esse». L’ascolto, però, è importante: «una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto».
Il Sinodo dei Vescovi «è il punto di convergenza di questo dinamismo di ascolto condotto a tutti i livelli della vita della Chiesa». Il cammino sinodale inizia ascoltando i fedeli, «secondo un principio caro alla Chiesa del primo millennio: “Quod omnes tangit ab omnibus tractari debet”». Il cammino del Sinodo prosegue poi «ascoltando i Pastori», cioè i vescovi. Infatti, i Vescovi «agiscono come autentici custodi, interpreti e testimoni della fede di tutta la Chiesa, che devono saper attentamente distinguere dai flussi spesso mutevoli dell’opinione pubblica». Infine, il cammino sinodale «culmina nell’ascolto del Vescovo di Roma», chiamato a pronunciarsi come «Pastore e Dottore di tutti i cristiani». Solo il Papa infatti è «supremo testimone della “fides totius Ecclesiae”», «garante dell’ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa».
«Il fatto che il Sinodo agisca sempre “cum Petro et sub Petro” – dunque non solo “cum Petro”, ma anche “sub Petro”» – ha spiegato il Pontefice – «non è una limitazione della libertà, ma una garanzia dell’unità. Infatti il Papa è, per volontà del Signore, il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità tanto dei Vescovi quanto della moltitudine dei fedeli. A ciò si collega il concetto di “ierarchica communio”, adoperato dal Concilio Vaticano II: i Vescovi sono congiunti con il Vescovo di Roma dal vincolo della comunione episcopale (“cum Petro”) e sono al tempo stesso gerarchicamente sottoposti a lui quale Capo del Collegio (“sub Petro”)». Gesù stesso «ha costituito la Chiesa ponendo al suo vertice il Collegio apostolico, nel quale l’apostolo Pietro è la “roccia” (cfr Mt 16,18), colui che deve “confermare” i fratelli nella fede (cfr Lc 22,32)».
Naturalmente, il rapporto gerarchico è servizio, non potere o arroganza. Ogni vescovo è «vicario di quel Gesù che nell’ultima cena si è chinato a lavare i piedi degli apostoli (cfr Gv 13,1-15). E, in un simile orizzonte, lo stesso Successore di Pietro altri non è che il “servus servorum Dei”». Per tutti, l’unica autorità è l’autorità del servizio, l’unico potere è il potere della croce». La sinodalità della Chiesa, ha aggiunto Francesco, si riflette nelle Chiese particolari, con i Sinodi diocesani che riproducono, al loro livello proprio, quello che è il Sinodo dei vescovi nella Chiesa universale. Si riproduce nelle regioni ecclesiastiche, con le Conferenze Episcopali, di cui il Pontefice ripete – non è la prima volta – che dovrebbero prendersi la responsabilità di pronunciarsi su avvenimenti gravi delle loro nazioni, senza attendere che ne parli il Papa, il che spesso «non è opportuno».
E la sinodalità si estende, in forme tutte da studiare, all’ecumenismo. Ricordando in particolare il dialogo in corso con le Chiese Ortodosse, con cui l’accordo teologico è pressoché totale salvo che sul primato del Vescovo di Roma, Francesco si è detto «persuaso che, in una Chiesa sinodale, anche l’esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce», ripetendo le parole di san Giovanni Paolo II nell’enciclica «Ut unum sint» del 1995: «Quale Vescovo di Roma so bene [...] che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova».
Al di là dello stesso ecumenismo, ha concluso il Papa, «il nostro sguardo si allarga anche all’umanità. Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni (cfr Is 11,12) in un mondo che – pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica – consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa che “cammina insieme” agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell’uomo per le generazioni che verranno dopo di noi».