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SANTI DA LEGGERE / 1

Francesco, il santo che canta l’amore per Gesù e per la vita

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Il Sole sorto ad Assisi, il genio del Duecento, il gioioso mendicante: così la straordinaria avventura spirituale del "Poverello" è narrata da tre grandi autori come Dante, Chesterton e de Wohl.

Cultura 13_10_2025

Un ritratto letterario tra storia, poesia e radicalità evangelica
San Francesco fu protagonista di una delle più straordinarie avventure spirituali del Medioevo. Nato ad Assisi tra il 1181 e il 1182, figlio di un mercante affascinato dalla cultura cavalleresca francese, Francesco visse da giovane come rex iuvenum, re dei giovani, sognando gloria e imprese eroiche.
Ma la vita lo condusse altrove: attraverso fallimenti, malattie e incontri decisivi, come quello con il lebbroso e con il crocifisso di San Damiano, Francesco scelse la povertà, l’amore per Cristo e la gioia del Vangelo.
Fondò un ordine senza volerlo, scrisse una regola senza ambizione, e compose il Cantico delle creature, atto di nascita della letteratura italiana, in cui ogni elemento del creato diventa lode a Dio. Persino la morte, che chiamò «sorella», fu per lui motivo di gratitudine, perché permetteva l’incontro finale col Signore.
Chesterton lo descrive come genio del Duecento, provocazione per il mondo moderno. De Wohl lo racconta come eroe evangelico, appassionato e radicale. Entrambi, con stili diversi, ci restituiscono un santo vivo, che continua a parlare — e a incantare — anche oggi.

Francesco, il Sole che sorse ad Assisi
Nel Paradiso di Dante, è san Tommaso d’Aquino a raccontare la vita di san Francesco con parole ardite e sorprendenti. Non si limita a narrare eventi: li trasfigura. Per lui, Francesco è un nuovo Sole sorto ad Assisi, tanto che la città andrebbe ribattezzata «Oriente». Ogni episodio della sua vita diventa figura di Cristo, secondo quella lettura «figurale» che Erich Auerbach definisce come il nesso profondo tra storia e profezia.
Il santo d’Assisi, giovane e appassionato, viene descritto come sposo di una donna misteriosa, già amata da Cristo e disprezzata dal mondo: Madonna Povertà. Il linguaggio è audace, quasi scandaloso, ma carico di verità teologica e bellezza poetica. Francesco combatte per lei, la sceglie davanti al padre e al vescovo, e la ama con crescente ardore. In lei trova la sua vocazione e la sua somiglianza con Cristo.
Attorno a lui si radunano i primi compagni, attratti non solo dalla sua persona, ma dalla sua sposa spirituale. Bernardo di Quintavalle, Egidio, Silvestro: tutti corrono dietro a quella pace che Francesco incarna. La sua regola riceve tre conferme: da papa Innocenzo III, da papa Onorio III e infine da Cristo stesso, attraverso le stimmate ricevute alla Verna.
Francesco muore nudo sulla terra, alla Porziuncola, chiedendo ai suoi fratelli di amare quella donna che aveva amato per tutta la vita. In Dante, la sua figura brilla come immagine vivente del Vangelo: un uomo che ha reso visibile la Bellezza incarnata, e che continua a incantare chi lo incontra, anche solo tra le pagine di un poema.

Chesterton e de Wohl raccontano la santità come sfida al mondo moderno
Morto nel 1226 e canonizzato appena due anni dopo, san Francesco d’Assisi non è stato solo il fondatore di un ordine religioso: è diventato presto protagonista di una fiorente produzione letteraria, che ha attraversato i secoli e le sensibilità. Già tra Duecento e Trecento, l’agiografia francescana si divise in due correnti: da un lato, una narrazione edulcorata e miracolistica, come quella della Legenda prima e secunda di Jacopo da Varagine e dei Fioretti di san Francesco; dall’altro, una visione più realistica e storicamente attendibile, incarnata dalla Legenda maior di san Bonaventura da Bagnoregio, riconosciuta come più fedele dall’ordine francescano delle origini.
Ma chi era davvero Francesco? Come raccontarlo oggi, senza tradirne la radicalità e senza ridurlo a icona romantica?
Due autori del Novecento ci aiutano a rispondere: G.K. Chesterton e Louis de Wohl. Il primo, giornalista e saggista inglese, nel suo San Francesco d’Assisi ci offre una lettura lucida e appassionata, lontana da ogni sentimentalismo. Il secondo, romanziere ungherese naturalizzato britannico, nel suo Il gioioso mendicante ci regala un affresco storico e spirituale, vibrante di dialoghi e di emozioni.

Chesterton: il santo come genio del Duecento
Chesterton non si accontenta di una biografia agiografica. Vuole capire Francesco nel suo contesto, nella sua cultura, nella sua sfida al mondo moderno. «Troppo spesso», scrive, «le storie su san Francesco vengono usate come residui romantici del Medioevo, invece di essere, come lui stesso, una provocazione per il nostro tempo».
Con uno stile affabulatorio e una meraviglia da neofita, lo scrittore sceglie pochi aneddoti e li racconta come se li avesse vissuti. Francesco emerge come un uomo innamorato di Cristo, capace di dare tutto e di ringraziare per tutto. «Ha scritto un trattato della gratitudine», scrive Chesterton, «il cui fondamento è un abisso senza fine».
Per lui, Francesco è stato un precursore: poeta prima di Dante, tribuno dei poveri prima di san Luigi, ispiratore dell’arte prima di Giotto. Quando mise in scena la natività a Greccio, con angeli dalle ali dorate e re in costumi medievali, non fu solo un gesto devoto, ma espressione di una civiltà che cercava ancora la corporeità di Cristo.
Chesterton lo definisce «il vero genio del Duecento», un uomo pratico, entusiasta, infuocato di passione per Cristo. La sua stranezza è operosa, caritatevole, paradossale. «Noi non siamo mai saliti così in alto», scrive, «perché non siamo mai scesi così in basso».

De Wohl: il santo come eroe spirituale
Louis de Wohl, autore di numerosi romanzi sui santi, nel Gioioso mendicante ci presenta un Francesco giovane, ambizioso, amato, che abbandona tutto per seguire Cristo. La sua storia si intreccia con quella di papa Innocenzo III, Federico II, santa Chiara, il sultano Al-Kamil. Le crociate, i conflitti tra Papato e Impero, fanno da sfondo alla sua scelta radicale.
Con uno stile teatrale e appassionato, de Wohl ci fa vivere la vita del santo: dalle incomprensioni con il padre Pietro di Bernardone alla mendicanza per ricostruire San Damiano, dagli incontri con i papi al viaggio per incontrare il sultano. Francesco è un uomo che canta anche davanti alla morte.
«Benvenuta, sorella Morte», dice, aggiungendo una strofa al suo Cantico di frate Sole. E quando gli suggeriscono di pentirsi, risponde: «L’ho già fatto questa mattina. Adesso voglio lodare la bontà di Dio».

Una santità che continua a parlare
Francesco d’Assisi non è un’icona da museo, né un semplice protagonista di agiografie medievali. Dante, Chesterton, De Wohl: tre voci, tre epoche, un’unica luce, quella di una santità che non si lascia rinchiudere in formule, ma che si rinnova ogni volta che viene raccontata con verità. Francesco è il santo che ha saputo scendere per salire, che ha saputo dare per ringraziare, che ha saputo cantare anche davanti alla morte.
E la letteratura, quando lo incontra, non può che restare incantata. Perché Francesco non è solo un personaggio: è una presenza. È il santo che parla ancora e che ci invita, oggi come allora, a seguire vivendo con letizia, con libertà, con gratitudine.



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