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PROPOSTE

Flat Tax, una rivoluzione fiscale formato famiglia

Storia ed evoluzione di una proposta di riforma fiscale fatta propria dal centrodestra: la flat tax (tassa ad aliquota unica). Sarebbe un risparmio per i lavoratori, per le imprese e anche per le famiglie. E manterrebbe intatto il principio di progressività. Ma rischia di restare sulla carta, se mancano le necessarie coperture di bilancio.

Economia 03_03_2018
Manifestazione del Tea Party per la Flat Tax

La Flat Tax, tradotta letteralmente come “tassa piatta” è la proposta di sostituire tutte le principali imposte dirette su reddito e utili con un’unica tassa con un’unica aliquota. Ha il vantaggio di renderci molto facile la dichiarazione dei redditi, di incentivare l’emersione di redditi non dichiarati (il rischio non varrebbe più la candela) e di innescare, possibilmente, un circolo virtuoso di maggior occupazione e produzione. Perché, a quel punto, chi produce e guadagna di più, conserva anche di più e non viene punito da un fisco redistributivo che massacra chi ha successo (e quasi mai incentiva chi ne ha meno). Potrebbe essere la scossa necessaria a far ripartire realmente l’Italia. E’, di sicuro, la singola idea più originale di questa campagna elettorale del 2018 e domina il dibattito sulle riforme fiscali. Che vantaggi potrebbe portare alle famiglie italiane? Ma soprattutto: è applicabile?

Innanzitutto, la flat tax viene contestata alla radice dalla sinistra perché violerebbe il principio di progressività, previsto dalla Costituzione, che regola la tassazione diretta su reddito e utili. Viene dunque giudicata come “iniqua”, contraria alla giustizia sociale. Tuttavia, come fa notare Francesco Forte (più volte ministro e docente universitario) è piuttosto iniquo il sistema fiscale attualmente in vigore: “L’Irpef dovrebbe tassare i ricchi ma grava soprattutto sul reddito di lavoro. (…) Le aliquote italiane dell'imposta personale sul reddito sono, formalmente, molto aspre e ripide: 23% sino a 15mila euro, 27% sino a 28mila, 38% fino a 55mila, 41% fino a 75mila, 43% oltre i 75mila euro. Se però si guarda alla distribuzione dei redditi dichiarati dai contribuenti in Italia nel 2015 e la si aggiorna al 2019 con l'aumento del Pil, si vede che al di sopra di 200mila euro ci sono solo 80mila contribuenti con circa 35 miliardi di reddito, il 4% sugli 890 miliardi dichiarati. In pratica l'Irpef falcidia i redditi modesti e medi, soprattutto di lavoro. È iniqua”.

La flat tax è dunque più equa? Prima di tutto, un po’ di storia. E’ stata concepita, a livello teorico, dall’economista premio Nobel Milton Friedman nel 1958. La prima (piccolissima) realtà ad averla applicata sul campo è Hong Kong, con un successo strepitoso. Poi è stata adottata nell’Est Europa, dai Paesi Baltici in particolar modo, dalla Russia, dalla Georgia e da diverse altre repubbliche ex sovietiche, fra cui anche la Bielorussia, che è ancora un paese socialista. Ha dato risultati misti: molto buoni nei Paesi Baltici, buoni in Russia e Georgia, ma è stata abbandonata da Repubblica Ceca, Slovacchia e Islanda dopo una breve fase di sperimentazione. Tutto sommato, storicamente parlando, i risultati positivi superano quelli negativi.

In Italia è stata proposta per la prima volta da Antonio Martino, che ha tradotto gli studi americani degli anni ’80 che la promuovevano (anche se negli Usa non è mai stata adottata). Forza Italia ne fece uno dei pilastri della sua rivoluzione liberale promessa nel 1994. Poi però l’abbandonò nel programma di governo del 2001 e la relegò di nuovo nel libro dei ricordi. Fino agli anni ’10 di questo secolo non se n’è parlato più, finché non è stata rilanciata da un imprenditore, Armando Siri, che su questa proposta ci ha costruito un piccolo partito, il Pin. “Più ti impegni, più lavori, più di dai da fare, più cerchi di avere di più per te, per la tua famiglia, per i tuoi progetti e aspirazioni, più lo Stato ti punisce”, diceva Siri a proposito della tassazione italiana. Con la flat tax del 15% che voleva (la stessa aliquota di Hong Kong): “Più ti impegni, più guadagni, più sei invogliato a lavorare e produrre. E a vivere”. Nel 2015 l’idea è ritornata nella politica dei grandi partiti, attraverso Matteo Salvini, che ne ha fatto una bandiera politica della Lega, con tanto di progetto di legge. L’aliquota indicata era sempre al 15%, come nel progetto di Armando Siri. Nel 2017, l’Istituto Bruno Leoni ha prodotto lo studio finora più dettagliato su come possa essere applicata la flat tax: Venticinque per tutti di Nicola Rossi, presidente del think tank. Aliquota proposta: il 25%. Più alta, dunque, per trovare le coperture necessarie, calcolate in circa 30 miliardi di euro da recuperare con tagli alla spesa pubblica. Un costo sostenibile, considerando che, nel 2017 lo Stato ha speso 839 miliardi di euro. Silvio Berlusconi ha fatto di nuovo sua l’idea (e d’altra parte è stato lui, con Antonio Martino, il primo a parlarne, in Italia) e ha inserito nel programma una riforma con una tassa piatta al 23%, molto più vicina a quella dell’Ibl che non a quella di Siri e Salvini.

Ma torniamo alla domanda iniziale. E’ più equa dell’attuale tassazione? Come spiega Nicola Rossi: “la combinazione di una quota esente fissa e di una aliquota proporzionale crea una imposta progressiva. In altre parole: se la quota esente, quindi la no tax area, è fissata a 12 mila euro e la aliquota unica al 23 per cento, fino a 12 mila euro di reddito annuo non si pagano tasse, a 13 mila euro si paga l’imposta su mille euro. L’imposta netta è di 230 euro, pari al 3%. Se si guadagnano 20 mila euro, l'aliquota del 23 per cento si paga su ottomila euro. Sono circa 2.000 euro, pari a una tassazione del 10 per cento”. Con il sistema attuale, dice Rossi: “I ricchi solitamente hanno redditi da capitale, non da lavoro. Per tutte queste fonti di reddito ci sono già oggi aliquote molto vicine a quelle ipotizzate per la flat tax, più basse di quelle che gravano sui redditi. Il sistema attuale è un paradiso per le persone più abbienti, anche perché molte detrazioni, deduzioni, bonus e trattamenti di favore sono utilizzati soprattutto dai ricchi. Dubito che nei quartieri più poveri si utilizzi il bonus giardini, si scarichino le spese per il veterinario o la palestra”.

Quanto potrebbe risparmiare una famiglia? Qualche simulazione è già stata fatta anche sui redditi delle famiglie. Per un nucleo monoreddito, che guadagna 50mila euro lordi l’anno e con un figlio a carico con più di tre anni, il risparmio annuo sarebbe di 3.656 euro. In una famiglia in cui lavorano sia la moglie che il marito, con un reddito di 70 mila euro lordi e due figli a carico, uno dei quali minore di tre anni, il risparmio sarebbe di quasi 4 mila euro l’anno (3.918 per l’esattezza). Secondo i sostenitori della riforma, come Francesco Forte, la flat tax introdurrebbe implicitamente lo stesso risparmio di un “quoziente familiare”, come quello proposto da Pd, con risparmi anche maggiori.

La versione della riforma proposta dai centristi di Noi con l'Italia, è poi specificamente mirata alla famiglia: restano in vigore le detrazioni per carichi familiari, che si azzerano oltre i 95 mila euro. Poi l'aumento delle detrazioni per i figli a carico, 1.000 euro sopra i tre anni di età, 2.000 sotto. Secondo le simulazioni effettuate dall’ex viceministro Enrico Zanetti, le coppie con redditi di 30mila euro hanno sconti intorno al 30%, per 50 mila euro il taglio rispetto alla situazione attuale scende intorno al 25%. Per le famiglie monoreddito con un reddito di 30 mila euro con prole lo sconto può arrivare al 52%. Risparmiano anche i redditi medio alti: con 70 mila euro lordi all'anno lo sconto si aggira intorno al 30%. Le famiglie bi-reddito con figli a carico hanno sconti simili, che vanno dal 26% (un figlio che ha più di tre anni) al 48% di sconto per chi ne ha due (uno sopra e uno sotto la soglia di età).

Ma è applicabile? Questo è il tasto realmente dolente, che viene contestato dagli oppositori della riforma, specie nel Pd e in +Europa. Sia Francesco Forte che Nicola Rossi avvertono che la riforma deve essere introdotta gradualmente e prevedendo coperture, in modo da non turbare la stabilità dei conti. E in un paese, come il nostro, in cui il debito pubblico è pari al 132%, gli equilibri sono già sballati a sufficienza. La tassa piatta porta inevitabilmente a minor gettito. Deve essere compensata con tagli alla spesa pubblica. In parte può essere coperta dall’emersione di redditi di persone e aziende a cui non conviene più evadere o eludere il fisco, in parte dall’aumento del gettito nel caso inneschi il circolo virtuoso e una maggior produzione. Ma si tratta di speranze. Non si può fondare una politica sulle speranze, si deve trovare una copertura certa. E con gli aumenti di spesa pubblica previsti dai programmi dei partiti di centrodestra, questa copertura non si vede. Per questo la riforma rischia di rimanere solo sulla carta.