Fiumi di parole per un Sinodo che parla in burocratese
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Tra slogan ritriti e dichiarazioni di intenti poco credibili l'Instrumentum Laboris dà l'impressione che l'ultima sessione del percorso sinodale interessi ben poco ai fedeli. E forse anche al Papa.
La conferenza stampa di presentazione dell’Instrumentum Laboris per il Sinodo di ottobre si candida ufficialmente a sottrarre agli Europei di calcio in Germania il primato di evento più noioso dell'estate 2024. A voler essere un po' impertinenti, un'ora e venti di conferenza e trenta pagine di documento si potrebbero riassumere attingendo al repertorio sanremese: "Fiumi di parole".
I passaggi da titolo, alla fine, sono sempre quelli: più trasparenza su soldi e abusi sessuali, meno clericalismo, più spazio a donne e laici. Nell'Instrumentum Laboris si legge che «la richiesta di trasparenza e rendiconto nella Chiesa e da parte della Chiesa si è imposta a seguito della perdita di credibilità dovuta agli scandali finanziari e soprattutto agli abusi sessuali e di altro genere su minori e persone vulnerabili».
A risultare poco credibili, tuttavia, sono proprio queste dichiarazioni d'intenti se si pensa ai recenti casi di monsignor Alberto Perlasca e di don Marko Rupnik. Il primo è stato riabilitato come promotore di giustizia sostituto presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e non è stato rinviato a giudizio nel processo vaticano nato dallo scandalo del palazzo di Londra nonostante all'epoca dei fatti ricoprisse l'incarico di capo ufficio amministrativo della Prima Sezione della Segreteria di Stato; il secondo è stato cacciato dalla Compagnia di Gesù dopo la denuncia pubblica di alcune ex suore ritenuta altamente credibile dai gesuiti, poi però è stato quasi subito incardinato sacerdote nella diocesi di Capodistria. Al mosaicista sloveno è stata prima revocata (non si sa ancora da chi) la scomunica per «assoluzione del complice in confessione», poi è stata risparmiata la deroga alla prescrizione per denunce risalenti a trent'anni prima. Infine, dopo la sollevazione dell'opinione pubblica e la dura presa di posizione della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, è scattata la deroga che ha consentito di far partire un'indagine presso il Dicastero per la Dottrina della Fede di cui però, quasi un anno dopo, non si sa alcunché.
Leggendo le pagine dell'Instrumentum Laboris, tra i passaggi problematici si può segnalare la richiesta di «fedeli laici, uomini e donne, adeguatamente formati possano contribuire alla predicazione della Parola di Dio anche durante la celebrazione dell'Eucaristia. In alcuni casi, anche fedeli laici, uomini o donne, possano essere ministri straordinari del Battesimo». Chissà se almeno i laici, qualora accontentate «alcune Chiese locali», rispetteranno il timing sulle omelie dato di recente da Francesco: non più di otto minuti. Altro argomento spinoso è quello del diaconato femminile. Il documento afferma che non se ne parlerà ad ottobre perché «mentre alcune Chiese locali chiedono che le donne siano ammesse al ministero diaconale, altre ribadiscono la loro contrarietà. Su questo tema, che non sarà oggetto dei lavori della Seconda Sessione, è bene che prosegua la riflessione teologica, con tempi e modalità adeguati» aggiungendo che «alla sua maturazione contribuiranno i frutti del Gruppo di studio n. 5, il quale prenderà in considerazione i risultati delle due Commissioni che si sono occupate della questione in passato».
Il tema più discusso, come sappiamo, è stato sottratto dal tavolo dei padri sinodali lo scorso febbraio dopo un chirografo in cui il Papa ha disposto la costituzione di specifici gruppi di studio. Francesco, infatti, aveva spiegato in una lettera al cardinale Mario Grech, segretario generale della Segreteria generale del Sinodo, di aver scelto quest'opzione per poter far sì che questioni teologiche così delicate venissero affrontate «secondo un metodo autenticamente sinodale» mentre nella sessione di ottobre non sarebbe stato possibile, secondo il Papa, garantire uno studio approfondito. Dunque, da un lato l'indicazione di affrontare queste questioni – in cui è inclusa quella del diaconato femminile – con un metodo autenticamente sinodale, dall'altro la decisione di toglierne la discussione dai lavori del Sinodo stesso.
In ogni caso, quello che pare di capire è che l'ultima sessione di questo percorso sinodale iniziato nel 2021 con ben altre aspettative (e timori) non produrrà granché di determinante (o, sotto altri punti di vista, di sconvolgente). Al massimo potrà dare ancora il palcoscenico al relatore generale del Sinodo, il cardinale Jean-Claude Hollerich, di gigioneggiare in conferenza stampa, pensando ancora di provocare sorpresa o stupore se dice di essere «molto peccatore».
La verità, detta a mezza a bocca da diversi padri sinodali, è che questo Sinodo non ha alcun appeal tra la gente, parla sin dall'inizio un linguaggio "burocratese" che renderebbe necessario un Instrumentum Laboris ad hoc solo per orientarsi tra fase diocesana, fase continentale, fase universale, gruppi di studio, eccetera, eccetera, eccetera. L'impressione, peraltro, è che lo stesso Pontefice si sia un po' stufato del "giocattolo" e lasci fare Hollerich e Grech, ben consapevole che alla fine – come ha detto in conferenza il cardinale lussemburghese – sarà soltanto lui a decidere.
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