Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
conferenza stampa

Instrumentum laboris: la sinodalità conta più della verità

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Il testo preparatorio per la prossima Assemblea sinodale «non dà risposte, ma pone solo domande», ha detto il card. Hollerich. Salvo irrigidirsi quando qualcuno le domande le fa sui contenuti: guai a ricordare l'insegnamento della Chiesa, il bene supremo è "camminare insieme".

Ecclesia 21_06_2023

La Conferenza Stampa di ieri pomeriggio, in occasione della presentazione dell’Instrumentum Laboris della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, scritto da una ventina di persone tra aprile e maggio (qui la lista), è stata la drammatizzazione del senso del documento: il contenuto è il processo.

«Il testo dell’Instrumentum laboris non ha la pretesa di essere un trattato teologico sulla sinodalità. Il testo non dà risposte, ma pone solo domande», ha spiegato il cardinale Jean-Claude Hollerich nel suo intervento iniziale (per i testi degli interventi, vedi qui). Stessa musica da parte del Segretario generale del Sinodo dei vescovi, il cardinale Mario Grech: «Non troverete nel testo una sistematizzazione teorica della sinodalità, ma il frutto di una esperienza di Chiesa, di un cammino nel quale tutti abbiamo imparato di più, per il fatto di camminare insieme e interrogarci sul senso di questa esperienza».

Il contenuto del Sinodo è la sinodalità, ma non la sinodalità come contenuto. Non si tratta di una contraddizione: il senso del Sinodo che celebrerà la sua prima Assemblea Generale il prossimo ottobre (la seconda e conclusiva è attesa per ottobre 2024) non è mettere a tema la sinodalità, ma mettere in pratica la sinodalità come mero processo, nel quale le differenti posizioni contenutistiche non sono altro che trama e ordito per la tessitura della rete sinodale. La realizzazione dell’armonia nella differenza non significa trovare una posizione vera, ma lasciare che ciascuno esprima la sua posizione, che ciascuno ascolti quella altrui, e che nessuno pretenda di avanzare verità.

È la linea di papa Francesco, che declassa la verità a oggetto di passatempo per i teologi e intronizza la prassi. Qualcuno ha parlato dell’inversione tra ortodossia e ortoprassi come cifra di questo pontificato, ma la verità è più deprimente, perché  dell’“orto” (da orthos, retto, giusto) non sono rimaste nemmeno le cipolle per piangere. È la direzione impressa dal predicatore del ritiro antecedente l’Assemblea Generale di ottobre, il domenicano padre Timothy Radcliff, che nel suo intervento a Bologna del 29 gennaio scorso, definiva il Sinodo come «l’improbabile raduno degli amici di Dio», il cui compito sarebbe quello «di immaginare perché le persone pensano in modo diverso, sentire con la loro pelle, vedere con i loro occhi», per «imparare a gioire per quelle differenze, trarre piacere da quelle differenze. Solo dopo si può parlare delle differenze più profonde». Punto.

La verità non è più né vincolo né obiettivo, perché c’è un bene superiore: il «camminare insieme», espressione che è risuonata in continuazione durante la Conferenza Stampa e che si trova per 35 volte nell’IL. Altri termini gettonatissimi sono «discernimento», che compare fino alla nausea per ben 183 volte, «processo» 91 volte, «dinamismo» 17; rapida analisi lessicologica che però è assai eloquente. E molto eloquente è il paragrafo n. 6 dell’IL: «camminare insieme, cioè fare sinodo, è il modo per diventare davvero discepoli e amici di quel Maestro e Signore che di sé ha detto “Io sono la via” (Gv 14,6)». La verità e la vita gli estensori se li sono dimenticati: Cristo è semplicemente la via; perciò chi “cammina insieme” è già discepolo del Signore.

Il senso del Sinodo è la sinodalità stessa: le domande sui contenuti non sono gradite. Si capisce così perché i due cardinali presenti e p. Giacomo Costa si siano un tantino irrigiditi quando Diane Montagna ha fatto quel che deve fare un giornalista: porre una domanda precisa, su un punto preciso dell’IL. Nella fattispecie, il punto in questione era la domanda n. 6 della sezione B. 1. 2.: «Alla luce dell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris laetitia, quali passi concreti sono necessari per andare incontro alle persone che si sentono escluse dalla Chiesa in ragione della loro affettività e sessualità (ad esempio divorziati risposati, persone in matrimonio poligamico, persone LGBTQ+, ecc.)?». Montagna chiedeva se, vista la presenza della domanda, fosse possibile che la Chiesa arrivasse a cambiare il proprio insegnamento su questi punti. Si poteva rispondere sì o no, e magari darne le ragioni. Invece è iniziata la retorica della sinodalità.

Il cardinal Hollerich ha risposto che l’obiettivo del Sinodo non è parlare dell’insegnamento della Chiesa, ma essere aperti e accogliere tutti. Grech ha incalzato sull’obiettivo di creare spazi per accogliere tutti, e, piuttosto innervosito, ha detto: «We rush to judge people – ci affrettiamo a giudicare le persone», cosa che la giornalista americana non aveva minimamente fatto. Poi è arrivata la reprimenda di p. Costa, il quale ha spiegato che comprendere il Sinodo significa guardare alla prospettiva d’insieme, non concentrarsi sulla tal riga alla tal pagina. Già, ma allora sarebbe stato il caso di presentare un quadro, non un documento.

Il gesuita ha poi enfatizzato la «conversazione nello Spirito» come vero e proprio metodo della “Chiesa sinodale”: «La dinamica della conversazione nello Spirito articola tre passaggi fondamentali, da declinare nelle diverse situazioni. Il primo è dedicato alla presa di parola da parte di ciascuno, a partire dalla propria esperienza riletta nella preghiera durante il tempo della preparazione. Il secondo passaggio punta a costruire legami: ciascuno prende la parola per esprimere che cosa durante l’ascolto lo ha toccato più profondamente e quando ha sentito lo Spirito Santo far risuonare la propria voce [...] Infine nel terzo passaggio, sempre sotto la guida dello Spirito Santo, si identificano i punti chiave emersi durante la conversazione e si raccolgono i frutti del lavoro comune, in vista del passaggio all’azione».  L’IL, alla p. 13, offre persino lo schemino riassuntivo.

Secondo p. Costa, questo metodo sarebbe necessario per affrontare in modo evangelico temi controversi, senza ignorare le differenze, ma senza lasciarsi intrappolare in esse. Il cardinale Grech ha a sua volta sottolineato come la «conversazione nello Spirito» sia la vera chiave per comprendere il Sinodo e rinunciare così alle risposte immediate e precostituite. Ma lui, Grech, alle domande un po’ “importune” non ha proprio risposto: non solo la non risposta a Diane Montagna, ma anche quella del tutto elusiva a chi chiedeva conto di come mai, nelle ben 130 domande presenti nell’IL, non siano presenti quelle espresse dal mondo più “conservatore”. Il cardinale maltese ha sgattaiolato dicendo che «non siamo divisi in fazioni», che «dobbiamo essere aperti allo Spirito, essere insieme, farci coinvolgere». La sinodalità di questo Sinodo si sta profilando come l’arma più micidiale per distruggere la Chiesa: dissolvere i contenuti della fede nel metodo sinodale: l’eresia proposta nella «conversazione nello Spirito» prevale sulla verità pronunciata come insegnamento autorevole.

Dulcis in fundo, qualcuno ha fatto notare che risultava piuttosto stucchevole che, tra le immagini ufficiali del Sinodo sulla sinodalità, vi fossero quelle delle opere di p. Marko Rupnik (vedi qui, in fondo alla pagina, e qui). Tanto più che tra le domande presenti nell’IL, ne troviamo alcune di questo tenore: «In che modo la prospettiva sinodale può contribuire a creare una cultura di prevenzione degli abusi di ogni tipo?»; o ancora: «Come possiamo continuare a fare passi concreti per offrire giustizia a vittime e sopravvissuti degli abusi sessuali, spirituali, economici, di potere e di coscienza compiuti da persone che stavano svolgendo un ministero o un incarico ecclesiale?». Cominciare a rimuovere le opere di un abusatore seriale potrebbe magari essere un primo gesto di coerenza. E non c’è bisogno di “conversare nello Spirito” per capirlo.

Due informazioni tecniche fornite durante la Conferenza Stampa. La prima: il prossimo 30 giugno verranno sottoposti al Papa i nomi dei membri non vescovi, da cui il Papa dovrà scegliere i 70 eletti. La seconda: il Sinodo verrà celebrato nell’Aula Paolo VI, perché, come ha spiegato p. Costa, l’ampio spazio della sala permetterà di sistemare dei tavoli attorno ai quali si riuniranno i membri del Sinodo, a gruppi di dodici. Per l’aperitivo, ci penserà il cardinale Gambetti.

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