Fine vita, lo stop del Governo alla legge toscana non basta
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Il Governo ha impugnato alla Consulta la legge toscana sul suicidio assistito. Perché non spetta alle regioni legiferare, ma affinché questa non sia una strategia perdente, è bene affermare la contrarietà ad una legge sul fine vita. Anche per via parlamentare.

Modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte costituzionale 242/2019 e 135/2024 è il nome della legge della Regione Toscana che ha legittimato il suicidio assistito. Un testo normativo che trova la sua matrice giuridica nella proposta di legge di iniziativa popolare promossa dai Radicali. Per accedere all’aiuto al suicidio il paziente deve essere in possesso dei requisiti indicati dalla Corte costituzionale nelle due sentenze citate nel titolo della legge (qui e qui un approfondimento): la persona deve essere capace di intendere e volere, essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da patologia irreversibile e da sofferenze giudicate intollerabili.
La legge regionale ha poi previsto una procedura per accedere al suicidio assistito: una Commissione multidisciplinare costituita presso ogni Ausl ha l’onere di verificare la sussistenza dei requisiti che abbiamo appena indicato e di appurare che il paziente sia stato informato sulla possibilità di accesso alle cure palliative. La Commissione successivamente chiede un parere al Comitato per l’etica istituito sempre dalla Regione. Se il parere è positivo, la Ausl definisce le modalità per praticare l’aiuto al suicidio, il Comitato per l’etica esprime un suo secondo parere e infine la Commissione predispone il necessario per l’«autosomministrazione del farmaco autorizzato».
Il testo di legge è stato approvato lo scorso 11 febbraio e promulgato il 14 marzo. Il Centrodestra fece immediatamente ricorso al collegio di garanzia della Regione, ma lo perse. Ora ci ha pensato il Consiglio dei Ministri ad impugnare la norma davanti alla Corte Costituzionale. Il motivo principale del ricorso è dato dal conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato: non sta alle Regioni legiferare su questo tema, perché materia riservata esclusivamente allo Stato dall’art 117 della Costituzione: spetta solo allo Stato la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». E la salute è un diritto civile. Sempre secondo la Costituzione spettano in modo concorrenziale allo Stato e alle Regioni «la tutela della salute». Dunque se leggiamo in combinato disposto entrambi gli enunciati ciò significa che lo Stato deve fissare i principi normativi sui diritti civili e sociali e alle Regioni rimane il compito da dare attuazione pratica a questi principi.
Dunque, nel nostro caso, compete solo al Parlamento decidere se un paziente può o non può accedere all’aiuto al suicidio, indicando, in caso positivo, anche i requisiti e le modalità per l’accesso. Una volta deciso che il suicidio assistito è un diritto del paziente, spetterà alle Regioni dare concreta attuazione a queste disposizioni del Parlamento. Nel caso in cui invece le Regioni avochino a sé la regolamentazione della materia sul fine vita – proprio come sta accedendo attualmente – ci potrebbe essere uno strambo federalismo eutanasico: alcune Regioni, come la Regione Toscana, legittimano l’aiuto al suicidio, altre no, come il Veneto, la Lombardia e il Piemonte. Va da sé che invece una materia di questa rilevanza legata a diritti fondamentali della persona come il vivere e il morire non può che essere disciplinata in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. E questo può avvenire solo grazie al Parlamento.
Non spetta poi alle Regioni legiferare sull’aiuto al suicidio, perché, a ben vedere, la materia non è quella relativa alla salute dei cittadini, ma la materia riguarda il diritto penale e dunque, sempre ex art 117 Cost, di spettanza esclusiva del Parlamento. Infatti la Corte Costituzionale, secondo molti interpreti tra cui anche i proponenti la legge toscana (ma noi non siamo tra questi), non ha riconosciuto un nuovo diritto, la legittimazione al suicidio assistito, bensì ha ridotto l’ambito delle condotte penalmente rilevanti in merito al reato di aiuto al suicidio ex art. 580 cp. Dunque se la materia ha natura penale di certo non possono normare su di essa le Regioni.
Infine spetta al Parlamento e non alle Regioni legiferare sul tema perché, più banalmente, è stata la stessa Corte Costituzionale a chiederlo esplicitamente più volte al Parlamento. La Consulta non l’ha chiesto alle Regioni, bensì al Parlamento.
A tal proposito si obietterà che il Parlamento è obbligato a legiferare su questa materia proprio perché la Corte costituzionale glielo ha chiesto. No, non c’è obbligo sia perché il potere legislativo è autonomo rispetto a quello giudiziario, sia perché l’iniziativa legislativa, ex. art. 70 Cost. non spetta ai giudici. Giudici che, nel caso delle due sentenze già citate della Consulta, hanno invece giocato a fare i parlamentari.
Detto tutto ciò, concentrare la strategia per opporsi alla legge toscana solo sul conflitto di poteri, aspetto sicuramente da far valere davanti alla Consulta, è comunque una strategia perdente perché, così facendo, già si è accettato il principio contrario a morale – sì al suicidio assistito – facendo opposizione non sull’oggetto del contendere – appunto la liceità giuridica e morale del suicidio assistito – ma solo sul soggetto chiamato a legiferare. È un po’ come se tutti fossero d’accordo che Tizio debba essere ucciso e ci si dividesse solo sul nome del killer. A ben vedere, questo più che un esempio è la descrizione fedele della realtà.