Fenomenologia dei “liberali” del green pass
Chi oggi nella classe politica e mediatica è a favore del lasciapassare sanitario è anche chi ha appoggiato senza il minimo dubbio lockdown e abolizioni di libertà costituzionali per “educare il popolo”. Innanzitutto i progressisti che fanno capo al Pd, poi gran parte dell’attuale cultura politica cattolica e molti esponenti delle destre “nazionali”. E, infine, ci sono sedicenti liberali.
Chi nel ceto politico, intellettuale, mediatico italiano oggi sostiene l’imposizione del lasciapassare sanitario (denominato ingannevolmente “green pass”, manco fosse una soluzione “ecologica”), le discriminazioni sociali che ne conseguono o addirittura la costrizione universale ai vaccini anti-Covid è, in larga parte, anche chi per un anno e mezzo ha appoggiato senza il minimo dubbio i lockdown, le limitazioni o abolizioni delle libertà sancite dalla Costituzione, il coprifuoco, l’obbligo delle mascherine anche dove evidentemente non servivano a niente per “educare il popolo”. Nella maggior parte dei casi si può tracciare agevolmente la genealogia culturale e ideologica dei sostenitori di queste posizioni, in Italia storicamente ben radicate e mai superate, a fronte di una cultura delle libertà al contrario sempre fragile e malferma.
Innanzitutto, troviamo ovviamente in questa schiera i “progressisti” che politicamente fanno capo al Partito democratico e ad altre formazioni dell’attuale sinistra. Da tempo essi avevano riverniciato il loro antico o ereditato credo comunista, sostituendolo con una mitologia para-libertaria “dirittista” e “diversitaria”. Ma, come abbiamo visto a partire dal febbraio-marzo 2020, al primo richiamo della foresta dell’“emergenza”, sotto la forma pandemica, la vernice si è presto scrostata, riportando in luce il mai scomparso istinto stalinista del “partito unico”, la logica del potere militaresca, l’idea del controllo sociale totale riproposta sotto forma di “dittatura della Scienza”.
In seconda battuta, nel partito “lockdownista” e oggi “greenpassista” troviamo gran parte della cultura politica cattolica, sia “sociale” che moderata e conservatrice, separata su tante questioni ma dal 2020 sostanzialmente unita - pur con significative eccezioni - dall’idea che le libertà individuali debbano essere, a prescindere, subordinate al “bene comune”: che nel caso sanitario del coronavirus consisterebbe nella segregazione e nella vaccinazione obbligatoria, benché - per carità! - da offrire gratuitamente a tutti i “poveri” del mondo.
Infine, tra i sostenitori ad oltranza delle politiche emergenziali in nome della salute pubblica si fanno notare anche molti esponenti delle destre conservatrici e “nazionali”, devoti alla “ragion di Stato” al punto da deridere ogni rivendicazione di libertà e ogni richiamo ai fondamenti costituzionali in nome dell’esigenza primaria di unirsi nella “trincea” e nella “guerra” in corso, secondo le metafore belliciste a loro tradizionalmente care, e che quei governi - oltre alle più alte cariche istituzionali e alle autorità scientifiche ufficiali - hanno usato e usano a piene mani.
C’è però anche un settore delle culture politiche italiane che, dal “lockdownismo” dell’esecutivo Conte al dogmatismo vaccinista e “greenpassista” di quello Draghi, ha fatto registrare, in misura per alcuni imprevedibile, una crescente, muscolare adesione alla linea emergenzialista: è quello di molti tra coloro che si definiscono liberali (non liberal, cioè non progressisti), intransigenti sostenitori del mercato e della concorrenza in economia, filo-atlantisti o europeisti non dogmatici in politica estera. Da costoro ci si sarebbe attesa una particolare attenzione non soltanto per il rispetto delle basilari libertà individuali occidentali (libertà personale, di circolazione, di impresa, di culto, di riunione, di espressione) largamente violate in un anno e mezzo di emergenzialismo sanitocratico, ma anche più specificamente per la libertà anche in campo sanitario, quindi contro ogni obbligo vaccinale esplicito o mascherato sotto il ricatto delle discriminazioni, e in difesa della libera scelta di trattamenti e terapie. E, parallelamente, ci si sarebbe attesa quantomeno una valutazione problematica, dati alla mano, dei dogmi diffusi dall’asse Governi-Cts, secondo cui il Covid sarebbe un flagello apocalittico e l’unica via d’uscita da esso sarebbe rappresentata dai vaccini esistenti.
Sorprendentemente, invece, proprio da questi liberali - che rispetto ai lockdown avevano quantomeno espresso critiche e rivendicato l’esigenza di un ritorno alla normalità sul piano economico - sono venute nelle ultime settimane le più stentoree perorazioni in favore della vaccinazione di massa indiscriminata e della discriminazione civile introdotta attraverso i “green pass”. Perorazioni spesso accompagnate da una delegittimazione e demonizzazione di chiunque si opponesse a tali politiche attraverso la sigla infamante di “no vax”, e dalla derisione dei critici attraverso l’accusa, ad essi rivolta, di essere trogloditi “terrapiattisti”, pericolosi diffusori di idee sovversive, o tout court nemici della civiltà.
Come spiegare non solo posizioni del genere, ma anche la rabbia, il livore, la violenza che le caratterizzano? Credo sia piuttosto facile, a patto che non ci si lasci ingannare dall’etichetta “liberale” che questi soggetti si auto-applicano arbitrariamente. Con la storia del liberalismo e con le sue radici culturali essi non hanno, infatti, molto a che fare. Si tratta prevalentemente di esemplari delle élites accademiche, giornalistiche, politiche - cresciuti nelle confortevoli, autoreferenziali stanze di dipartimenti, redazioni, think tank, sottoboschi istituzionali - che si percepiscono come un’aristocrazia di gente che “piace alla gente che piace”, un’accolita di eletti conoscitori della modernità, smart, titolati in via esclusiva a parlare delle sfide del mondo contemporaneo, a differenza della deplorable gente comune. A loro è in realtà completamente estranea una visione complessiva, prospettica della storia occidentale, e dunque essi ignorano del tutto il fatto che la radice prima del liberalismo è il costituzionalismo, cioè la cultura dei limiti insuperabili di ogni potere attraverso il diritto, sedimentata nelle consuetudini e nel costume, e che solo su quella base può crescere la “società aperta” individualista.
Per loro il liberalismo si riduce ad una sorta di rozza versione aggiornata del platonismo e della tecnocrazia positivista: il culto del governo dei “competenti” (incarnato naturalmente oggi innanzitutto dal loro “eroe” Mario Draghi, ma anche dagli “esperti” sanitari affiliati), di quelli “saputi”, a cui le masse ignoranti dovrebbero soltanto obbedire con gratitudine e devozione, senza disturbare il manovratore. Questi “primi della classe” si rimirano nello specchio del proprio narcisismo, ringraziando Dio, come il fariseo della parabola evangelica, di non essere come “quel pubblicano”. Il regime sanitocratico è per loro la palestra del “nuovo mondo” luminoso che i competenti costruiranno, della “dittatura dei fighetti” nella quale essi sognano di primeggiare.