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LA LETTERA

Expo, il luna park per gente sola e radical chic

Qualche breve considerazione sull'Expo. Il tema, sfamare il mondo, è stato trattato superficialmente. Non è stato un successo organizzativo, come dimostrano le code. Ma la gente dice di aver socializzato. In coda. E questo è segno di una grande solitudine, un vuoto che noi cristiani dobbiamo colmare.

L'Albero della Vita, simbolo di Expo 2015

Caro direttore,

vorrei confessarti che non sono stato all’EXPO, recentemente chiusosi, e non mi pento. Vorrei fare, in proposito, alcune considerazioni.

1) L’evento, probabilmente anche senza intenzione, di fatto è stato trasformato in una specie di luna park o, se si preferisce, di Disneyland per radical chic, alla ricerca della bistecca di zebra o dei succulenti piatti di insetti, quando il vero tema posto era di una serietà drammatica, essendo la fame nel mondo. A fronte della estrema serietà del problema, cui è stato fatto qualche accenno formale, si è preferito attirare la gente con il più leggero tema delle novità culinarie, che più di un miliardo di persone non potrà mai neppure sognare. A parte le iniziative dello stand della Città del Vaticano, sul tema è in pratica calato il silenzio, almeno nella comunicazione al popolo. Non sono affatto un pauperista (semmai sono povero) e quindi apprezzo la ricerca della buona cucina, che aiuta l’uomo a meglio godere dei doni del Signore: voglio dire che l’EXPO ha perso una grande occasione di porsi come spartiacque verso la soluzione di questa problematica, per tanti versi scandalosa.

2) Per amor di patria, tante persone appaiono interessare a proclamare che l’EXPO è stato un grande successo: in effetti mi sembra che si sia verificato un grande flop organizzativo, che ha “costretto” migliaia di persone a stare persino 8 ore in fila solo per poter entrare per qualche decina di minuti in certi stand. Il flop è tanto più grave in quanto sono arrivate esattamente le persone previste (20.000.000) e non di più, il che significa che le file erano o potevano essere ampiamente previste, trovando soluzioni organizzative diverse. Ricorderemo quello avvenuto come l’EXPO delle file e delle code, mentre dimenticheremo presto la bistecche di zebra, parlamento europeo permettendo.

3) Anche in occasione di questo evento si è imposto il “politicamente corretto”, cioè il conformismo più banale, sia nell’immagine fatta circolare sia nei giudizi di contenuto. Mi pare che non sia stata prodotta alcuna novità sostanziale e che tutto si sia ridotto ad un gioco, da cui alcuni ora tentano di trarre vantaggi politici.

4) C’è da riflettere anche sul comportamento del popolo italiano (sono stati pochi gli stranieri), che ha sopportato fatiche indicibili solo per entrare nello spazio espositivo (abbiamo già accennato alle ore di coda) e per vedere come si mangia in qualche paese esotico. Si tratta di quello stesso popolo che si incazza se deve fare una fila di 10 minuti all’ASL o in banca. Come è possibile? Forse i lunghi anni di crisi e di vessazioni fiscali hanno indotto una voglia pazza di distrazione e di “divertimento”, che sperava di trovare soddisfazione nella ricerca di novità leggere. O forse sta avvenendo un abbassamento del livello culturale generale, che fa passare per buono un gioco di lustrini ed un abbaglio di luce esotica. Oppure, più semplicemente (ma non meno gravemente), è l’ennesima vittoria di quel marketing che costituisce l’arma vincente di tanti prodotti fatti passare per ottimi, anche se sono scadenti. 

Ma detto questo, vorrei fare un’ultima considerazione, anche autocritica. Durante una trasmissione radiofonica dedicata all’EXPO, un giornalista ha chiesto ad un visitatore come faceva a sopportare 8 ore di coda. La risposta è stata questa: “la fila è stata bella perché mi ha permesso di socializzare”. Queste parole mi hanno fatto tenerezza e mi hanno fatto pensare, perché ritengo che esse siano il segno di una grande solitudine di una persona che “deve” fare 8 ore di fila per poter “socializzare”. Ed ho pensato che noi cristiani dobbiamo porci il problema di questa enorme solitudine e dobbiamo riempirla con un annuncio di vita che non abbia vergogna di Cristo, l’unico che possa riempire la nostre mancanze. Si parla tanto di poveri: in questa società ci sono i poveri per cause economiche, ma forse sono ancora di più, almeno in Occidente, i poveri che soffrono per la solitudine in cui vivono. Allora, ciascuno di noi, personalmente e nelle nostre comunità, dovrebbe mobilitarsi per contribuire a perforare il muro di questa solitudine. E sappiamo che, per questo, il nostro richiamo cristiano deve essere “deciso come gesto, elementare nella comunicazione, integrale nelle dimensioni e comunitario nella realizzazione”. Non possiamo rimanere indifferenti rispetto alla solitudine dei nostri fratelli uomini.