Eutanasia a Trieste, ecco dove porta la legge sulle Dat
Claudio de’ Manzano, 84 anni, rimane paralizzato alla parte destra e incapace di parlare. La figlia, divenuta amministratore di sostegno, chiede lo stop di alimentazione e idratazione, dicendo che il padre (senza Dat) avrebbe voluto così. I medici si oppongono, ma lei ottiene il trasferimento in una clinica dove il genitore muore di fame e di sete. Una deriva causata dalla legge 219.
Pensate che il caso Lambert non sarebbe mai potuto accadere qui in Italia? Allora leggete qui. Claudio de’ Manzano, 84 anni, è colpito da ischemia cerebrale nel dicembre dello scorso anno. Viene ricoverato nel reparto neurologico Stroke Unit dell’ospedale di Cattinara, a Trieste. Arriva gennaio e de’ Manzano continua a versare in gravi condizioni: parte destra paralizzata, incapacità di parlare e mangiare senza aiuto del sondino naso-gastrico. “A quel punto”, racconta la figlia Giovanna Augusta al quotidiano Il Piccolo, “mi sono domandata cosa avrebbe voluto lui in una situazione del genere, per se stesso, anche senza aver mai manifestato la propria volontà con le Dat”.
La donna racconta che, prima del trauma, lei e il padre avevano spesso parlato di fine vita e il padre le aveva fatto capire chiaramente che non avrebbe mai voluto finire in una condizione come quella in cui ora lui versava, privo di autonomia, incapace di camminare e parlare. La figlia allora si fa nominare amministratore di sostegno dal giudice tutelare. Nel decreto si specifica che quest’ultima ha la facoltà di prestare il consenso informato “in caso di necessità di cure mediche e interventi in rappresentanza esclusiva del soggetto amministrato, di assumere tutte le decisioni in ordine alle terapie ed eventuali sospensioni delle stesse così come previsto dalla legge sul biotestamento n. 219 del 2017”.
Quindi lei, forte di questo decreto del giudice, prende la decisione di interrompere alimentazione e idratazione, ma i medici si oppongono. Tale facoltà a favore dei medici è prevista dalla legge 219. La medesima legge prevede che, nel caso di conflitto tra medici e amministratore di sostegno, la palla deve passare al giudice tutelare. E così avviene.
Dato che non conosciamo il contenuto del decreto procediamo ora per ipotesi. Pare che il giudice abbia vietato di interrompere alimentazione e idratazione assistite. È certo invece che abbia permesso le dimissioni dall’ospedale, chieste dalla figlia. La signora Augusta allora trasferisce il padre alla Salus, una struttura disponibile a interrompere alimentazione e idratazione. E così il padre muore per fame e per sete il febbraio scorso. Non paga di aver sottoposto a eutanasia il padre, la figlia, che è anche avvocato, fa un esposto alla Procura per verificare che la clinica di Cattinara abbia rispettato la legge.
Il giudizio morale su questa vicenda è intuibile: gravissimo aver ucciso il padre, con o senza il suo consenso. Sotto il profilo giuridico, invece, che dire? In prima battuta il rifiuto da parte dei medici dell’ospedale di Cattinara di procedere a eutanasia è tutelato dalla legge. Secondo aspetto: per quale motivo il giudice tutelare avrebbe vietato di interrompere alimentazione e idratazione? Una prima motivazione potrebbe essere data dal fatto che il padre non voleva morire. Ma probabilmente non è questa la vera motivazione. Infatti, la volontà del paziente inabilitato non è vincolante - decide alla fine l’amministratore di sostegno - e poi nel comunicato stampa rilasciato dall’ospedale non si fa menzione di questo aspetto. Forse la motivazione è semplice: il giudice si è trovato d’accordo con i medici nel non voler uccidere il signor de’ Manzano.
Arriviamo infine a un aspetto giuridicamente interessante. Come pare, il giudice avrebbe vietato di interrompere alimentazione e idratazione, poi però in un’altra clinica questo divieto non è stato applicato. Da qui la domanda: il divieto del giudice segue il paziente o è valido solo per una certa struttura ospedaliera? Il decreto del giudice è valido solo per le parti della vertenza: figlia versus ospedale di Cattinara. Non è valido erga omnes, ossia per tutti coloro che non sono parti in causa della vertenza giudiziaria. Quindi, i medici della clinica Salus hanno legittimamente potuto prendere una decisione diversa rispetto a quella presa dai colleghi del Cattinara.
Questa vicenda ci insegna un paio di cose. Primo: come dice la legge 219, a decidere della vita e della morte di interdetti e inabilitati è il rappresentante legale e solo lui. I medici possono opporsi (è stato un risultato del fronte cattolico durante i lavori parlamentari, il quale non riuscendo a ottenere l’obiezione di coscienza ha portato a casa questo surrogato dell’obiezione di coscienza). Ma se il giudice poi decide che si deve uccidere il paziente i medici non possono più opporsi. Se invece, come nella vicenda qui narrata, il giudice è d’accordo con i medici nel non staccare la spina al paziente, poco cambia, perché sarà sufficiente per il rappresentate legale trovare una clinica accondiscendente e si arriverà comunque all’eutanasia.
Secondo insegnamento: il principio di autodeterminazione del paziente se ne va in soffitta e viene sostituito dal principio di eterodeterminazione del rappresentante legale e del giudice. Il povero signor de’ Manzano magari aveva pur cambiato idea - non riusciva a parlare, però non era escluso che fosse cosciente - ma grazie alla figlia non potremo mai saperlo.