Eutanasia, 15mila morti in un anno nel Canada dei diritti
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Nel report annuale sull'assistenza medica al suicidio in Canada, 15mila persone hanno trovato la morte per eutanasia, il 4,7% di tutti i decessi nel Paese. E la scriminante non è tanto la patologia ad esito infausto, ma l’errata percezione che quella vita non sia più vita.
- Tempi duri anche per le preghiere pubbliche dei cattolici di Luca Volontè
L'11 dicembre 2024, il Ministero della Salute canadese ha pubblicato il Quinto rapporto annuale sull'assistenza medica al suicidio, rapporto che riguarda l’anno 2023.
Dal 2016 il Canada si è dotato di una legge sull’eutanasia. Dal 2021 il bacino di utenti si è ulteriormente allargato: non solo i pazienti terminali possono chiedere di morire, ma anche coloro i quali non sono sul punto di spirare. Per accedere all’eutanasia occorre essere in possesso dei seguenti requisiti, come ricordava a suo tempo Luca Volontè da queste stesse pagine: «Soffrire di una grave malattia o disabilità (esclusa una malattia mentale fino al 17 marzo 2023); trovarsi in uno stato avanzato di declino fisico o mentale che non può essere invertito; sperimentare sofferenze fisiche o mentali insopportabili a causa di una malattia, un'infermità, una disabilità o uno stato di declino o depressione che non possono essere alleviate con cure che la persona consideri accettabili». Va da sé che a motivo di questi requisiti e relativamente alla categoria di persone non malati terminali, potrebbero virtualmente rientrare tutti i cittadini canadesi stanchi di vivere, oltre naturalmente alle persone disabili e alle persone affette da patologie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson, la sclerosi laterale amiotrofica o la sclerosi multipla e la demenza, anche se, in quest’ultimo caso, la demenza non può costituire l’unico motivo per chiedere l’eutanasia. Questo il quadro normativo. Vediamo ora gli effetti prodotti da simile disciplina normativa.
In questi dodici mesi sono morte per eutanasia in Canada 15.343 persone, pari al 4,7% di tutti i decessi avvenuti nel 2023 (curiosamente percentuale molto simile si riscontra in Olanda in riferimento all’anno 2022). Rispetto all’anno precedente c’è stato un aumento del 15,8%. Dal 2020 al 2021 l’aumento è stato del 32,6% e del 31,2% dal 2021 al 2022. Aumentando il numero di decessi per eutanasia in senso assoluto è normale che la percentuale di crescita del fenomeno diminuisca nel tempo. Dal 2016 al 2023 sono morti per eutanasia 60.301 cittadini canadesi.
Le richieste di eutanasia sono state 19.660, quelle accolte sono state appunto 15.343. E dunque 2.906 persone sono morte prima di accedere all’eutanasia, 915 persone sono state ritenute non idonee e 496 persone hanno ritirato la loro richiesta. In buona sostanza, la maggior parte delle richieste viene accettata.
Il 95,9% delle richieste accettate veniva da pazienti terminali, il 4,1% da soggetti non in fin di vita. La patologia più ricorrente nel primo gruppo è quella oncologica. Negli ultimi anni il numero di soggetti che chiedono di morire, pur non essendo in fin di vita, è aumentato. Essere affetti da qualche forma di disabilità o di demenza incide notevolmente nella scelta di morire. Infatti tra i pazienti terminali il 33,5% di coloro che sono morti erano disabili, percentuale che sale al 58,3% tra coloro avevano ampie prospettive di vita. La persona disabile, secondo determinazioni del Ministero della Salute, è colei che è affetta da una limitazione funzionale in almeno una di queste aree: vista, udito, mobilità, agilità, destrezza, dolore, apprendimento, sviluppo, salute mentale o memoria. Una definizione quindi dalle maglie molto ampie.
Passiamo alle persone affette da demenza: il 76,4% tra i pazienti terminali che hanno chiesto l’eutanasia presentava qualche forma di demenza e tra quelli non terminali la percentuale scendeva al 23,6%. Quindi, dato che il campione più rappresentativo è costituito da disabili e persone affette da deficit cognitivi in stadio terminale di una patologia, si può concludere che si sceglie di morire per motivi legati alla qualità di vita quando la patologia ha un esito infausto.
Questa conclusione è corroborata dai motivi addotti dai diretti interessati al fine di richiedere l’eutanasia, motivi che possono essere più di uno in capo alla medesima persona. Il 95,5% ha indicato “perdita della capacità di impegnarsi in attività significative” (96,3% per i soggetti non terminali); poi a seguire: "Perdita della capacità di svolgere le attività della vita quotidiana"; “Perdita di dignità”; "Controllo inadeguato del dolore" (più della metà), nonostante il report ci informi che il 75% delle persone che sono morte avevano avuto accesso alle cure palliative; “Perdita dell’indipendenza”, “Percepirsi come un peso per parenti, amici, assistenti”, etc. Interessante e tragico inoltre questo dato: il 47% dei pazienti non terminali ha chiesto l’eutanasia anche per solitudine.
Una breve riflessione sulla motivazione legata al dolore: stupisce non poco che la metà dei decessi abbia trovato come concausa l’incapacità di curare il dolore nonostante i pazienti fossero stati sottoposti alle cure palliative, dato che queste ultime oggi sono nella stragrande maggioranza dei casi assolutamente efficaci. C’è dunque da concludere che se il paziente vuole morire perché soffre, nonostante sia stato sottoposto a cure palliative, queste non sono di per sé inefficaci, bensì deve essere il protocollo delle cure palliative che risulta inadeguato. In altre parole: le cure ci sono, ma non vengono usate nel giusto modo.
Naturalmente ci sono anche gli illeciti giuridici. Nell'ottobre 2024 il Coroner capo della provincia canadese dell’Ontario ha pubblicato un rapporto diviso in tre parti (clicca qui, qui e qui) in cui segnalava che tra il 2018 e il 2023 si sono verificati alcuni decessi per eutanasia causati dalla mancanza di un’abitazione, dalla paura, dalla solitudine e che i poveri sono a rischio di coercizione. In quel periodo di tempo e in quella provincia furono 428 i decessi avvenuti contra legem e ben il 25% dei professionisti deputati a fornire l’eutanasia aveva agito al di fuori della legge. In merito alle irregolarità basti pensare che la richiesta di eutanasia deve essere volontaria, volontarietà che però può essere delegata a terze persone nel caso ad esempio di persone affette da patologie neurodegenerative.
Che giudizio dare in sintesi di tutti questi dati? La maggior parte delle richieste, come visto, viene da pazienti terminali. Ma non è tanto la malattia in sé a determinare la scelta di morire, bensì la malattia insieme alla percezione che la propria vita non abbia più valore e non ha più valore perché la sua qualità è giudicata insoddisfacente per i più diversi motivi: disabilità, incapacità di provvedere a se stessi, solitudine, depressione, etc. Dunque la scriminante non è tanto la patologia ad esito infausto, bensì l’errata percezione che quella vita segnata dalla malattia non è più vita. La scriminante ha dunque una matrice culturale, non clinica in senso stretto. C’è poi la zona grigissima dei pazienti affetti da demenza – lo ricordiamo: ben il 76% dei decessi tra i pazienti terminali – il cui consenso libero e informato appare più un requisito da soddisfare pro forma che un autentico vincolo per accedere all’eutanasia.
Un’ultima nota: ciò che sta accadendo in Canada, come nei Paesi Bassi e in Belgio, potrebbe ripetersi qui in Italia nel prossimo futuro. La deriva eutanasica improntata sulla disponibilità della vita per motivi legati alla qualità dell’esistenza potrebbe facilmente innervare non solo la futura disciplina normativa in materia, ma anche i costumi e la coscienza collettiva dei nostri connazionali.