Esuli cubani fuori da San Pietro. Ma non è "censura"
Una manifestazione di cubani anti-castristi doveva tenersi in piazza San Pietro durante l'Angelus del Papa il 24 ottobre. La polizia italiana ha impedito loro l'accesso, avvertita, forse, dalla stessa ambasciata di Cuba. Negli Usa l'episodio ha fatto scandalo (più che in Italia). Ma non è censura. Una protesta durante l'Angelus non è opportuna.
In Italia se n'è parlato poco o niente, ma nella comunità latinoamericana degli Usa la vicenda è diventata persino d'ispirazione per una canzone ed ha causato proteste davanti all'arcidiocesi di Miami. Stiamo parlando del mancato accesso di cinquecento espatriati cubani in piazza San Pietro, il 24 ottobre. Volevano attirare l'attenzione pubblica internazionale sulla violazione dei diritti umani nel Paese dei Caraibi, facendosi notare durante l'Angelus domenicale di Papa Francesco con bandiere a strisce blu rosse ed abiti bianchi.
Si erano dati appuntamento proprio a piazza San Pietro, ma la maggior parte di loro non ce l'ha fatta a superare il prefiltraggio della Polizia italiana e si è dovuta accontentare di rimanere in via della Conciliazione. I video amatoriali pubblicati dagli stessi manifestanti danno la possibilità di ricostruire le dinamiche del mancato ingresso: nelle immagini, infatti, si vedono le forze dell'ordine chiedere ad alcuni uomini e donne in total white la loro nazionalità per poi non consentirne l'accesso oltre le transenne a ridosso dei propilei di via della Conciliazione. In un'altra videoregistrazione finita sui social sono state catturate le spiegazioni fornite ai manifestanti da un funzionario di polizia che ha detto loro di aver "informato il Vaticano" dal momento che quella presenza aveva "una valenza particolare, diversa da quella di tutti gli altri giorni" e in merito al quale c'era stata un'"indicazione". L'indicazione, secondo un simpatizzante italiano della protesta ripreso a dialogare con le forze dell'ordine, potrebbe essere arrivata dall'ambasciata cubana a Roma.
Dopo un'attesa di qualche ora, sembra che siano stati ammessi ad entrare in piazza San Pietro soltanto cinquanta dei circa cinquecento cubani anticastristi arrivati a Roma ma senza bandiere, mentre gli altri hanno ascoltato le parole del Papa sdraiati sui sampietrini di via della Conciliazione. Nella stessa settimana dell'incontro Bergoglio-Biden, l'episodio del 24 ottobre è costato al Vaticano un diluvio di critiche nella comunità di espatriati negli Stati Uniti ed è stato duramente stigmatizzato anche da Marco Rubio, senatore repubblicano della Florida e candidato alle primarie per le presidenziali 2016. Che un pezzo da novanta della politica a stelle e strisce come Rubio si sia spinto a dire che "è scandaloso che gli (ai dimostranti cubani, ndr) sia stato impedito di entrare in piazza San Pietro" fa capire quanto la vicenda, passata piuttosto sottotraccia in Italia, abbia assunto dimensioni significative oltreoceano.
Ma nonostante la causa pro-libertà portata avanti dalle cinquecento persone giunte a Roma tra sabato 23 e domenica 24 ottobre, non è questo il caso di parlare di "censura" e di "discriminazione" da parte del Vaticano ai danni degli anticastristi, come sta avvenendo da giorni sui media e sui social degli esuli cubani. C'è poco da eccepire sul comportamento delle forze dell'ordine italiane, probabilmente in collaborazione con quelle vaticane: informati in anticipo della circostanza, hanno semplicemente prevenuto lo svolgimento di una manifestazione di protesta - peraltro non autorizzata - in contemporanea con l'Angelus del Papa. Ad organizzare il tutto con tanto di appello, locandina ed hashtag (#yovoyalvaticano) era stato l'influencer cubano-americano Alexander Otaola, impegnato per la liberazione dei prigionieri politici sull'isola ma noto per il frequente ricorso a provocazioni, che nella trasmissione "Hola Ota-Ola!" aveva anche ospitato dei video in cui i manifestanti accusavano esplicitamente il Papa di coprire la dittatura comunista. Insomma, si era in presenza di elementi tali da temere che la manifestazione potesse tramutarsi in contestazione, magari con la clamorosa interruzione del Papa durante la recita dell'Angelus. Davvero troppo.
Veramente Otaola pensava di poter portare sotto alla finestra del Palazzo Apostolico - non autorizzato - cinquecento persone vestite ugualmente, con striscioni contro il regime castrista e con l'intenzione di "protestare in Vaticano", senza che di allertassero gli organi preposti? Era inevitabile che il sistema di sicurezza si attivasse in anticipo per scongiurare il rischio di una contestazione in mondovisione ad un leader religioso nel bel mezzo di una preghiera. Si è trattato, quindi, di un'operazione di prevenzione più che di censura. L'immagine riproposta per avallare l'interpretazione della "censura" sui social d'oltreoceano è stata soprattutto quella di un cubano inginocchiato, riuscito ad entrare in piazza, a cui un agente di sicurezza probabilmente vaticano ha sottratto la bandiera cubana estratta. Un episodio che si sarebbe potuto evitare, ma che non cancella come in questo caso non ci sia da stupirsi o da indignarsi se la polizia ha impedito lo svolgimento di una protesta che, seppur motivata dalla causa della difesa dei diritti umani della popolazione cubana oppressa dal comunismo, era fuori contesto e fuori luogo.
Nei mesi scorsi un gruppo di esuli cubani, con bandiere al seguito, aveva avuto l'occasione di un face-to-face con Papa Francesco al termine dell'udienza generale in Aula Nervi durante il quale avevano gridato che "il popolo cubano chiede libertà". Il Pontefice, sorridendo, li aveva benedetti ma senza replicare. Non è un mistero la sua linea 'morbida' con L'Avana, ma l'unico effetto che pare aver avuto l'iniziativa improvvisata di Otaola è quello di aver gettato discredito sulla Santa Sede più che sollevato attenzione sui crimini del regime.