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PAPA FRANCESCO

Esortazione, resiste il mito dell'Amazzonia felix

Risolta con una buone dose di ambiguità la faccenda dei preti sposati e delle donne prete su cui si era concentrata l'attenzione degli osservatori, l'Esortazione apostolica "Querida Amazonia" presenta in realtà un approccio e alcuni temi che lasciano perplessi: prevalenza di argomenti socio-economici, ecologismo, indigenismo. E una concezione della missione ridotta a cura della casa comune.
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Ecclesia 13_02_2020

Ammettiamolo. Negli ultimi mesi nella testa di molti cattolici la parola “Amazzonia” veniva associata a “preti sposati” e “donne prete”. Pubblicata l’esortazione post sinodale Querida Amazonia, Papa Francesco ha abolito il celibato ecclesiastico ed ha aperto all’ordinazione delle donne?

L’esortazione non si pronuncia esplicitamente su tali due aspetti, ma è un silenzio diniego oppure un silenzio che lascia aperta la porta a queste novità? Forse la risposta viene dalle prime righe dell’esortazione in cui si capisce il valore dottrinale della stessa esortazione. Tale valore deve essere dedotto dalla relazione tra esortazione e Documento finale del Sinodo, documento - che lo ricordiamo – apriva al clero uxorato (111) ed era possibilista al diaconato femminile (102-103). In parole povere: su queste tematiche così discusse prevale ciò che dice Francesco nell’esortazione o il Documento finale? Il Santo Padre preferisce dare una risposta obliqua, ambigua così da lasciare aperte tutte le porte, così ad avviare i famigerati processi.

Infatti da una parte pare che l’esortazione superi per autorità il Documento (e così, giuridicamente, dovrebbe in effetti essere): «Ho preferito non citare tale Documento in questa Esortazione» (3). Su altro versante sembra che l’esortazione si affianchi come valore dottrinale al Documento finale: «Non intendo né sostituirlo, né ripeterlo» (2). Ed infine pare che il Documento funga da chiave ermeneutica per interpretare correttamente l’esortazione e dunque sia paradigma di riferimento e di valore gerarchicamente superiore a quella: «Voglio presentare ufficialmente quel Documento. […] Dio voglia che tutta la Chiesa si lasci arricchire e interpellare da questo lavoro, che i pastori, i consacrati, le consacrate e i fedeli laici dell’Amazzonia si impegnino nella sua applicazione e che possa ispirare in qualche modo tutte le persone di buona volontà» (3-4).

Insomma ce n’è per tutti i gusti e tutti potrebbero essere soddisfatti da questa esortazione: i conservatori tradizionalisti, i moderati e i progressisti. Gli ultimi, in particolar modo, useranno la frase «si impegnino nella sua [del Documento finale] applicazione» come grimaldello per picconare il celibato e per far indossare la talare alle donne, così come auspicato nel Documento finale.

Chiusa questa riflessione sul valore dottrinale dell’esortazione – riflessione che rappresenta l’aspetto più importante dell’esortazione stessa – diamo ora uno sguardo, ma solo dall’alto, al contenuto di Querida Amazonia che si incardina su quattro sogni. Gli “I have a dream” di Francesco sono i poveri, la cultura indigenza, l’ecologia e la missionarietà. La prospettiva per indagare le prime tre tematiche, direbbe qualche maligno, pare avvalersi di una retorica sindacalista. Infatti i temi toccati sono letteralmente: le disuguaglianze sociali, lo sfruttamento dei poveri e del territorio, la globalizzazione, il colonialismo e il consumismo, l’individualismo, la discriminazione, la disuguaglianza.

Naturalmente non si fa cenno del peccato, del secolarismo, del relativismo e di temi affini. Le soluzioni indicate per sanare le problematiche prima indicate non possono che articolarsi sullo stesso piano in cui si sono rinvenuti tali problemi, cioè, nuovamente, sul piano della giustizia sociale e quindi lungo una prospettiva immanentista della storia: solidarietà, sviluppo, dialogo sociale, sostenibilità nell’economia, ecologismo, fraternità, educazione delle popolazioni, riscoperta delle radici, confronto interculturale. La dimensione trascendente – salvezza delle anime, evangelizzazione, sacramenti, virtù teologali – appare sì nell’ultimo sogno, ma come foglia di fico, in modo accidentale e soprattutto viene declinata sempre secondo le categorie orizzontali della giustizia sociale. Ad esempio scopriamo che la «missione che Dio ha affidato a noi tutti [è] avere cura della Casa comune» (19), non la salvezza eterna.

Se questo è il paesaggio descritto nei suoi aspetti principali, mettiamo ora in evidenza alcuni particolari di questo quadro amazzonico, particolari che possono meglio individuare la vera natura dell’esortazione. Il primo particolare è l’indigenismo o primitivismo: si apprezza in modo significativo la «saggezza dello stile di vita dei popoli originari – pur con tutti i limiti che possa avere» (22). È la vecchia teoria, seppur espressa in toni moderati, del buon selvaggio. Al modo di Rosseau, è la civiltà che ha corrotto l’uomo. Invece gli abitanti dell’Amazzonia, non infettati dalla civiltà industrializzata,  «semplicemente hanno dato vita a culture diverse» (29). Messa così, pare che il cattolicesimo sia un inutile optional per queste culture ed infatti l’esortazione presenta gli indigeni non come destinatari dell’insegnamento cristiano, non come discenti, bensì come maestri. Ne consegue che se la Chiesa, ridotta ad alunna, vuole presentare qualche proposta deve chiedere permesso: «Se vogliamo dialogare, dovremmo farlo prima di tutto con gli ultimi. Essi non sono interlocutori qualsiasi, che bisogna convincere, e nemmeno un convitato in più ad una tavola di pari. Essi sono i principali interlocutori, dai quali anzitutto dobbiamo imparare, che dobbiamo ascoltare per un dovere di giustizia e ai quali dobbiamo chiedere permesso per poter presentare le nostre proposte» (26).

Non più quindi «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mt 16, 15), bensì “Andate in tutto il mondo e chiedete il permesso di predicare il vangelo ad ogni creatura”. Anche il seguente quesito è a tal proposito illuminate: «la grande questione è: come loro stessi immaginano il buon vivere per sé stessi e i loro discendenti?». Non è l’indigeno che deve conformare il suo vivere al cristianesimo, che deve convertirsi, bensì è il cristianesimo che si deve fare indigeno, che deve convertirsi alla cultura amazzonica. C’è però da appuntare che anche in questo caso l’esortazione usa la figura retorica dell’antifrasi: ossia dire una cosa e poi negarla. Infatti nell’ultimo sogno l’esortazione esplicitamente parlerà di evangelizzazione e quindi di insegnamento, seppur con le riserve prima indicate.

Ulteriore particolare di questo quadro amazzonico disegnato dalla Querida Amazonia: la sacralizzazione della natura. L’Amazzonia è figlia della Madre Terra: «la terra, mentre si offre per sostenere la loro vita, come una fonte generosa, ha un senso materno che suscita rispettosa tenerezza» (71). Una esortazione che acquista nel suo incedere accenti bucolici. L’Amazzonia diventa Eden, paradiso perduto. Il tutto sfocia in una religione cosmica-ecologica: «entriamo in comunione con la foresta» (56) e non più con Dio. O meglio: Dio diventa creato. Infatti «il rapporto con Cristo, vero Dio e vero uomo, liberatore e redentore, non è nemico di questa visione del mondo marcatamente cosmica che caratterizza questi popoli, perché Egli è anche il Risorto che penetra tutte le cose. […] Egli è gloriosamente e misteriosamente presente nel fiume, negli alberi, nei pesci, nel vento» (74).
Anche negli aspetti sacramentali si riverberano elementi propri dell’animismo: Cristo «nell’Eucaristia assume gli elementi del mondo» (Ib.). Ecco allora che la conclusione è assolutamente coerente con le premesse: «Noi credenti troviamo nell’Amazzonia un luogo teologico» (57).

In sintesi: forse non saranno passati il clero uxorato e l’ordinazione femminile, ma la dottrina è stata comunque attaccata su altri fronti.