"Cara Amazzonia...", la partita è solo rinviata
Presentata l'Esortazione apostolica post-sinodale "Querida Amazonia": non recepita la richiesta dei preti sposati e delle donne diacono, ma papa Francesco domanda che il Documento finale del Sinodo venga applicato con tutto quanto esso contiene. E seppur la sensazione sia quella di un testo "sgonfiato" dalle critiche, si divaricano eccessivamente Vangelo e cultura mentre si fa un’apologia velata della Pachamama. Nel frattempo gli "interpreti ufficiali" del pontificato dichiarano non chiuse le questioni più spinose e spingono in avanti insieme al sinodo tedesco. ESPAÑOL II ENGLISH
- UNA "FRENATA" MAL DIGERITA DAI PROGRESSISTI, di Nico Spuntoni
È stata finalmente pubblicata l’Esortazione Apostolica post-sinodale di Papa Francesco. Querida Amazonia è un documento non troppo lungo: 111 paragrafi, distribuiti in quattro macro sezioni, che hanno l’obiettivo di esprimere le «risonanze» del Pontefice sul cammino sinodale, escludendo la volontà sia di sostituire che di ripetere il Documento finale. Il Documento è al contrario raccomandato all’attenzione dei lettori dell’Esortazione: «Ho preferito non citare tale Documento in questa Esortazione, perché invito a leggerlo integralmente» (§ 3). Anzi, al paragrafo successivo la raccomandazione della lettura diventa un’esortazione a tutta la Chiesa a lasciarsi «arricchire e interpellare da questo lavoro», ed alle persone che vivono in Amazzonia, pastori e laici, ad impegnarsi «nella sua applicazione» (§ 4).
Il tenore di questa apertura dell’Esortazione apostolica comunica già un’indicazione decisamente importante: il Papa domanda che il Documento venga applicato, con tutto quanto esso contiene. La conseguenza è che la presente esortazione dovrà essere letta in parallelo con le conclusione finali del Sinodo. Qui il Papa fornisce risonanze, «un breve quadro di riflessione che incarni nella realtà amazzonica una sintesi di alcune grandi preoccupazioni che ho già manifestato nei miei documenti precedenti» (§ 2); là vi sono indicazioni che dovranno essere applicate. Il detto dice “in cauda venenum”, ma qui il pericolo sembra esser stato trasferito in capite.
Sembra questo l’aspetto più importante di un testo che risulta piuttosto ripetitivo, infarcito di aspetti generici e luoghi comuni, senza stringere mai su nulla. Buona parte del testo si diffonde a mettere in luce la saggezza dei popoli amazzonici, la loro armonia con la creazione, etc., e anche quando si afferma che è fondamentale portare loro il kerygma (§§ 64-66), sembra quasi che si tratti di mettere la famosa ciliegina su una torta, che in fondo, era già gustosa di per sé.
L’Esortazione poggia su quattro “sogni”, rispettivamente sociale (§§ 8-27), culturale (§§ 28-40), ecologico (§§ 41-60) ed ecclesiale (§§ 61-110). Vengono riprese le problematiche della colonizzazione, dello sradicamento territoriale, della cultura indigena da custodire e del problema ecologico, il tutto condito da testi poetici – ci spiega Tornielli nel suo editoriale - «che aiutano il lettore a entrare in contatto con la stupenda bellezza di quella regione, ma anche con i suoi quotidiani drammi».
Anche la sezione che riguarda l’aspetto più propriamente ecclesiale è una ripresa molto vaga del tema dell’inculturazione, peraltro con affermazioni talmente generiche che si prestano ad essere pericolosamente interpretate in qualsiasi direzione. Come quando si divaricano eccessivamente Vangelo e cultura, esortando i missionari a non voler esportare insieme al Vangelo anche la propria cultura (§§ 67-69). O come quando si mette in guardia dalla troppa fretta nel «qualificare come superstizione o paganesimo alcune espressioni religiose che nascono spontaneamente dalla vita della gente» (§ 78) e che «è possibile recepire in qualche modo un simbolo indigeno senza necessariamente qualificarlo come idolatrico» (§ 79). Praticamente un’apologia della Pachamama. O ancora quando si dichiara inammissibile «di fronte ai poveri e ai dimenticati dell’Amazzonia, una disciplina che escluda e allontani, perché in questo modo essi vengono scartati da una Chiesa trasformata in dogana» (§ 84).
La sensazione è dunque che si tratti di un testo “sgonfiato” per necessità, di fronte alle tante critiche sollevate. Anche la tanto attesa apertura al clero uxorato non è stata recepita nel testo, come neppure l’accesso ad una qualche forma di diaconato femminile. Sicuramente gli eventi delle ultime settimane hanno giocato un peso non indifferente: non solo il libro del Cardinal Sarah e di Benedetto XVI, ma anche le eccessive spinte provenienti dalla Germania devono aver invitato ad una maggiore prudenza.
Come accennato in apertura, il vero pericolo sta proprio nei primi paragrafi, che di fatto investono il Documento finale del Sinodo di un’autorità impropria. È in questa fessura che si infileranno le prossime mosse, come già ha preannunciato Spadaro, nel suo tweet di oggi: «La Civiltà Cattolica fornirà tempestivamente, come tradizione, un mio commento a questa Esortazione apostolica, che è una tappa fondamentale del processo sinodale in atto».
In attesa dell’interpretazione “magisteriale” di Spadaro, va registrato che anche Tornielli già guarda avanti, almeno per quanto riguarda il celibato sacerdotale: «questione discussa da lungo tempo e che potrà esserlo ancora in futuro, perché “la perfetta e perpetua continenza” non è “certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio”, come ha affermato il Concilio Ecumenico Vaticano II». Nel testo citato da Tornielli, il Concilio ha semplicemente presente che storicamente è sempre esistito un clero uxorato, accanto ad un clero celibe e che dunque il celibato non è strettamente richiesto dal sacerdozio. Peccato però che la natura del sacerdozio, secondo la Tradizione della Chiesa, richieda in ogni caso la continenza anche per le persone sposate, a partire dal momento dell’ordinazione. Questo testo di Presbyterorum Ordinis, n. 16, se non si vuole cozzare frontalmente con tutta la Tradizione della Chiesa - condivisa anche dagli Orientali per sette secoli e rotta solo a partire dal Concilio in Trullo del 691, per la scorretta citazione di testi del Concilio di Cartagine del 390 - dev’essere compreso come il riconoscimento della legittima coesistenza di un clero celibe e di un clero uxorato, ma continente. Si tratta di un testo che poteva – e probabilmente doveva – essere espresso in modo più chiaro, ma che è comunque passibile di un’interpretazione coerente con il dato della Tradizione della Chiesa. Se Tornielli intende interpretare il Concilio in discontinuità con la Tradizione, lo dica apertamente.
L’insieme del testo e delle prime reazioni portano dunque a pensare che la battaglia non abbia portato ai risultati sperati, ma che non si possano comunque dormire sonni tranquilli. Anzitutto, perché bisognerà capire come verrà realmente attuato il Documento finale in Amazzonia: è infatti improbabile che il Cardinal Hummes e Mons. Kreutler si limitino ad incoraggiare le vocazioni missionarie, come richiesto nell’Esortazione Apostolica (§ 90). Poi, sia Tornielli che Spadaro lasciano intendere che the show must go on: c’è un sinodo tedesco in pieno svolgimento, che già preannuncia di mettere il celibato sacerdotale sotto le scarpe; e poi si prospetta un prossimo sinodo, nel quale si cercherà di mettere sul tavolo l’idea di una Chiesa come sinodo perpetuo.