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Esercitazione su Carducci

La dimensione della memoria e il ritorno ai luoghi dell’infanzia pervadono la poesia Davanti San Guido.
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Cultura 22_03_2020

La dimensione della memoria e il ritorno ai luoghi dell’infanzia pervadono la poesia Dinanzi a San Guido. Durante un viaggio in treno da Civitavecchia a Livorno Carducci rivede i luoghi dell’infanzia e «i cipressetti» che lo riconoscono e si ricordano di quel Carducci bambino che lanciava i sassi contro di loro. Non portano rancore, ma anzi lo invitano a sostare, a sospendere la frenesia che anima il mondo degli adulti, a ritornare bambino e a ricordare il tempo trascorso. Pochi versi sono sufficienti a Carducci per riportare il lettore indietro nel proprio passato, ad un tempo che sembra ormai fuggito per sempre. Eppure la poesia come per magia permette di far rivivere gli anni della perduta giovinezza e i cari che non ci sono più.

Nella poesia carducciana sembra incarnarsi quanto avrebbe più tardi scritto Pascoli nella «Lettera prefatoria» dei Primi poemetti: «Il ricordo è del fatto come una pittura: pittura bella, se impressa bene in anima buona, anche se di cose non belle. Il ricordo è poesia, e la poesia non è se non ricordo. Quindi noi di poesia ne abbiamo a dovizia».

DAVANTI SAN GUIDO
 

I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardâr.                  4

Mi riconobbero, e — Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr’ me co ’l capo chino —
Perché non scendi? Perché non ristai?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.               8

Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh, non facean già male!          12


Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui! —            16

— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei —
Guardando io rispondeva — oh di che cuore!   20

Ma, cipressetti miei, lasciatem’ ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!... via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.                                  24

E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.                          28

E massime a le piante. — Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò,
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.                                 32

Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.          36


Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse

Ardon che tu né sai né puoi lenir.                        40

A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!                       44

E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;            50

I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.                 54

Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,                        58

Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ’l lor bianco velo;                      62


E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —                   66

Ed io — Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Tittí — rispondea — ; lasciatem’ ire.
È la Tittí come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.                    70

E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio cipressi! addio, dolce mio piano! —        74

— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.                 78

Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia;                              82

La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,                      86


Canora discendea, co ’l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Pieno di forza e di soavità.                                    90

O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella

Di lei che cerca il suo perduto amor!                   94

— Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate

Per appoggiarmi nel fatale andare:                     98

Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. —         102

Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,                 106

Sotto questi cipressi, ove non spero
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.                     110


Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.                      114

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.                           118

Rispondi alle domande

Comprensione e analisi

 

1- Quali sono i temi principali della poesia? Spiegali.

2- Presenta i luoghi nei quali è ambientata la poesia soffermandoti sugli aggettivi, sui nomi e sulle immagini di cui si avvale Carducci per descriverli.

3- Particolarmente malinconico, nostalgico e commovente è il dialogo tra i cipressi e il poeta. Ricostruiscilo e commentalo.

4- Come appare la nonna nel ricordo del poeta?

5- Che funzione ha la novella di colei «che cerca il suo perduto amor» all’interno del componimento?

6- Perché il poeta decide alla fine di ripartire e di non sostare nel luogo di infanzia?

 

Interpretazione
Dopo aver messo in luce la dimensione nostalgica e malinconica della poesia e l’affetto del poeta per la nonna, proponi una tua interpretazione personale e approfondiscila con opportuni riferimenti all’autore e ad altre sue opere. In particolare, approfondisci la dimensione degli affetti familiari del poeta nelle poesie che hai letto.

Dopo aver svolto l’analisi leggi queste riflessioni.
In Davanti San Guido il poeta apre un dialogo con «i cipressetti […] fedeli amici d’un tempo migliore». Volentieri resterebbe con loro, lui che ormai sa «leggere di greco e di latino» e non è più «birichino» e non lancia più sassi contro gli alberi. Come impietositisi per il poeta, gli alberi esclamano: «Ben lo sappiamo: un pover uomo tu se’». Attraverso la voce saggia degli alberi, quel Carducci, colto, acclamato e onorato, riconosce la pochezza e la miseria umana, le «eterne risse» che «ardon» ancora nel suo cuore.

Di nuovo i cipressi invitano il poeta a restare. Egli, però, si congeda con un ultimo addio. Allora i cipressi lo interrogano: «Che vuoi che diciam dunque al cimitero/ Dove la nonna tua sepolta sta?». A queste parole dinanzi agli occhi appare a Carducci la cara donna. Il ricordo ritorna a quando era piccolo. Il poeta vorrebbe ancora parlare con lei: «O nonna, o nonna! deh com’era bella/ Quand’ero bimbo! ditemela ancor,/ Ditela a quest’uom savio la novella/ Di lei che cerca il suo perduto amor!». Carducci si ricorda della favola che la nonna gli raccontava sempre. Una principessa, costretta a sposare un uomo trasformato in porco, scopre un giorno che le vere fattezze del marito sono quelle di un bel giovane. Invece di tenere nascosta la notizia, come dovrebbe, la rivela a tutti. Dovrà allora andare alla ricerca del marito, di cui viene privata, per sette anni. Quando lo rivedrà, lo ritroverà addormentato. Carducci si ferma a questo punto della favola non riportando l’esito felice della storia.

Solo ora che è adulto comprende quanto fosse vera quella favola. Amara è la riflessione dopo tanto vagare, dopo tanti anni trascorsi in ricerca. Forse il percorso della vita non è altro che un ritorno a casa: «E quello che cercai mattina e sera/ Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,/Sotto questi cipressi, ove non spero/ Ove non penso di posarmi più:/ Forse, nonna, è nel vostro cimitero/ Tra quegli altri cipressi ermo là su». Bisognerebbe avere il coraggio di riconoscerlo e di sostare.

Il viaggio della vita si dispiega in continui distacchi e partenze per riconoscere alla fine che tutto quello che cercavi ti era già stato offerto all’inizio. Il poeta ora non può più rimanere, deve ripartire e ritornare alle responsabilità dell’adulto, alla sua famiglia, da «Tittì», la figlia più piccola. «La vaporiera» riparte «ansimando». «Una leggiadra schiera» di puledri la insegue, mentre un «asin bigio» non si scomoda e rimane a rosicchiare un cardo. Quanto simile a quei puledri era il giovane Carducci! Quanto si sente simile a quell’asino il poeta, ora che ha visto la delusione che lasciano il successo, il potere, gli obiettivi raggiunti!