Escalation in Cisgiordania, Netanyahu tace
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Città prese di mira ogni giorno dall’esercito di Israele, mentre i coloni agiscono come terroristi nei Territori Occupati, nel completo silenzio del governo israeliano e delle cancellerie internazionali
Non solo nella Striscia di Gaza, ma ormai, in modo evidente, anche in Cisgiordania si muore, in quella che è una guerra sotterranea e non dichiarata. Mentre i coloni agiscono indisturbati, senza intralci, nei Territori Occupati, come dei terroristi, uccidendo gli abitanti di quei luoghi, i soldati hanno recentemente ammazzato, in più di un’operazione, ma simultaneamente, dieci palestinesi. L’obiettivo dei coloni ultraortodossi è cacciare i palestinesi dalla loro terra per poterla occupare impunemente, e se non sono sufficienti le minacce e le aggressioni, si alza il tiro e si passa all’assassinio. È quanto accaduto al villaggio di Wadi Rahhal, alle porte di Betlemme, preso di mira da decine di coloni, molti dei quali armati e con il volto coperto. L’esercito, da parte sua, giustifica le uccisioni come conseguenze di azioni mirate all’individuazione di terroristi, e a nulla sono valse le proteste dell’Autorità palestinese, mentre Hamas invita i palestinesi alla mobilitazione e a sfidare i coloni con tutti i mezzi.
È così che si continua a morire in Cisgiordania, nel completo silenzio delle cancellerie internazionali. Jenin, Tubas, Ramallah, Tulkarem, Nablus e Hebron sono città prese di mira quotidianamente dalle truppe israeliane con uccisioni e arresti preventivi, che vedono coinvolti anche tanti minori. La gente comune ha paura e l’odio contro gli ebrei aumenta di giorno in giorno. Da parte israeliana cresce, invece, il disprezzo contro i palestinesi. Il numero degli abitanti della Cisgiordania, uccisi dal 7 ottobre ad oggi, è salito a 651.
L’esercito tace su quanto accade in quei luoghi. Tace anche il governo di Netanyahu. Nessuna conferenza stampa per i morti della Palestina, ma annunci per confermare la liberazione di Qaid Farhan al-Qadl, arabo israeliano, recluso dentro un tunnel nella Striscia di Gaza e rapito dai miliziani di Hamas lo scorso 7 ottobre. Ma sulla liberazione dell'ostaggio ci sono pareri contrastanti.
Qaid Farhan al-Qadl è un beduino di cinquantadue anni. Uno dei tanti beduini di origine palestinese che il governo israeliano non vede di buon occhio. La notizia è dello scorso maggio; in un solo giorno, ad opera delle autorità israeliane, furono demolite ben quarantasette abitazioni ad Abu Aissa, nel villaggio di Wadi al-Khalil, un borgo palestinese-beduino non riconosciuto da Israele e cacciati dalle loro abitazioni oltre trecento residenti. Da oltre dieci anni le autorità israeliane ricorrono a numerosi pretesti per sgomberare e segregare le comunità beduine della regione del Negev: dall’ampliamento delle autostrade, alla costruzione di zone industriali, dalla creazione di foreste per il Fondo nazionale ebraico alla designazione di zone a uso militare.
Quel giorno, Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord, dichiarò: «Le immagini di unità di polizia iper-militarizzate, tra cui la famigerata Yoav e le unità di polizia di frontiera, che assaltano Wadi al-Khalil per demolire le case e confiscare i beni dei residenti sono l’ennesima agghiacciante dimostrazione della crudeltà e delle continue ingiustizie e violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità israeliane nei confronti dei cittadini palestinesi di Israele, in particolare di quelli che vivono nel Negev». Recentemente, il portavoce della presidenza dell'Anp, l’Autorità Nazionale Palestinese, Nabil Abu Rudeineh ha affermato che l'escalation in Cisgiordania contro le città, i villaggi porterà a conseguenze terribili e pericolose.
Anche papa Francesco, ancora una volta, ha lanciato un appello per la pace in Medio Oriente: «Il Medio Oriente sta vivendo momenti di tensione fortissima, che in alcuni contesti sfociano in scontri aperti e lampi di guerra. Il conflitto – ha detto il pontefice – invece di trovare un'equa soluzione, sembra diventare cronico, col rischio che si estenda fino ad incendiare l'intera regione. Questa situazione ha causato migliaia e migliaia di morti, distruzioni enormi, con immani sofferenze e il diffondersi di sentimenti di odio e rancore, che preparano il terreno per nuove tragedie».
Gli attacchi a Gaza da parte dell’aviazione e dell’artiglieria proseguono a ritmo serrato. Funzionari palestinesi hanno affermato che le incursioni israeliane sulla Striscia hanno ucciso almeno sedici persone, tra cui cinque donne e tre bambini. La maggior parte è stata uccisa durante i raid notturni nella città meridionale di Khan Younis, già sottoposta a pesanti bombardamenti negli ultimi due mesi. Il consigliere per le Comunicazioni sulla Sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha dichiarato che gli Stati Uniti nutrono ancora la «speranza» per un nuovo accordo sul cessate il fuoco e sullo scambio dei prigionieri a Gaza, se Israele e Hamas «restano impegnati nei negoziati».
«La guerra è mille cose che si vedono e le cronache registrano quanto accade – ha dichiarato il cardinale Pierbattista Pizzaballa –. Ma ci sono cronache che non vengono scritte, raccontate, ma che incidono duramente sulla vita delle persone. I palestinesi hanno negli occhi quello che accade a Gaza e in Cisgiordania, gli israeliani, pensano, invece, ai loro ostaggi».
Qualche dato su questa assurda guerra: il ministero della Difesa israeliano ha riferito che dal 7 ottobre l'amministrazione Biden ha fornito ad Israele più di 50mila tonnellate di bombe e missili, oltre a veicoli blindati e dispositivi di protezione individuale indispensabili per gli attacchi sia a Gaza che nel Libano. Le consegne sono state effettuate da 500 aerei da trasporto e 107 navi.
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